La proposta di legge non era cosa di questi giorni; navigava in Parlamento, tra rinvii e discussioni, da molto tempo, e da molto tempo era stata oggetto di ripensamenti e precisazioni, proprio al fine di giungere ad un testo sul quale potesse registrarsi un accordo ampio e trasversale.rn
Su tutte, spiccava la questione del riferimento al genere, che in una prima redazione indicava l’oggetto ed il criterio qualificante le discriminazioni. Bene avevano fatto i redattori, e tutti coloro che sul testo avevano lavorato, a eliminare un riferimento quanto mai fumoso, frutto di teorie non riconosciute e dal sapore vagamente ideologico; il riferimento al genere, infatti, nasce dall’idea – non dimostrata e non dimostrabile, credo – che l’identità del soggetto non abbia nulla a che fare con la sua biologia (che ci vuole tutti, salvo eccezioni rarissime, maschi o femmine), ma che si debba radicare in una dinamica culturale, noetica. In breve, se il sesso lo assegna la natura, il genere lo costruisce la cultura; e per conseguenza, non è qualcosa di dato, ma è qualcosa di scelto. Tanto che di generi se ne possono individuare ben più di due, ed il soggetto può anche scegliere di rifiutare di principio la classificazione del proprio io all’interno di un genere specifico (così, in parole povere, la teoria queer). Che però l’uso del termine genere sia invalso nella pratica, e che pertanto si parli di discriminazioni di genere, o di trans-gender, o di gender theories, non significa che il termine abbia perso molto della sua vaghezza; e soprattutto non implica che sia ragionevole inserirlo in un testo legislativo, che invece deve mirare, per quanto possibile, alla precisione e al rigore.
Però, dando prova di grande buon senso, il testo era stato modificato, e prevedeva soltanto l’inserimento, all’articolo 61 c.p., di un’aggravante specifica; così il testo:
All’articolo 61, comma 1, del codice penale, dopo il numero 11-ter), è aggiunto il seguente: «11-quater) l’avere, nei delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la personalità individuale, contro la libertà personale e contro la libertà morale, commesso il fatto per finalità inerenti all’orientamento o alla discriminazione sessuale della persona offesa dal reato».
Ora, su un testo del genere è stata sollevata pregiudiziale di incostituzionalità, motivando la richiesta con l’argomento che, approvando il testo in esame, si sarebbero introdotte disparità nei confronti di categorie non comprese nel testo. Traduco: se si prevedesse l’aggravante per chi commette alcuni reati con la motivazione dell’odio o della discriminazione sessuale, risulterebbero meno gravi i medesimi reati ove commessi, ad esempio, a danno di un eterosessuale. L’argomento è capzioso, giuridicamente falso, e stupido.
E’ capzioso, perché ogni aggravante non può che prevedere specifiche ipotesi, e lasciarne fuori altre. Così l’aggravante – scelgo, non a caso, la più simile – dell’odio razziale, introdotta dal D.L. n. 122/1993, convertito con modifica in legge n. 205/1993, che prevede come circostanza aggravante, appunto, quella che il fatto sia stato commesso "per finalità di discriminazione e di odio etnico, nazionale, razziale o religioso", evidentemente rende più grave un’aggressione se commessa per finalità di tal genere rispetto a una commessa per altri, pur deprecabili, motivi. Se ti accoltello perché voglio così esprimere il mio odio verso quelli della tua razza, o della tua religione, faccio qualcosa di peggio – per il nostro ordinamento – che se commettessi lo stesso reato per rubarti il portafogli. Perché lo stesso discorso non dovrebbe valere anche per le discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale?
E’ giuridicamente falso, perché la norma in questione non fa riferimento all’omosessualità, ma all’orientamento sessuale; e dunque – anche se l’ipotesi è puramente scolastica – se un gruppo di omosessuali aggredisse un eterosessuale, con la finalità di discriminare quel particolare orientamento sessuale, il reato risulterebbe aggravato in virtù di questa medesima previsione.
E’ infine stupido. E non credo ci sia bisogno di dire perché.
Che conclusione trarre da tutto ciò? Certo un senso di sconforto, soprattutto se si leggono dichiarazioni come quella seguente (non dico di chi è, per rispetto all’associazione cui appartiene): "le proposte di legge siano concrete e in grado di portare a reali cambiamenti. Per combattere le discriminazioni occorre più prevenzione, sia attraverso un serio impegno educativo e culturale volto al rispetto delle persone, sia attraverso una maggiore attività di controllo del territorio. Le grida manzoniane non servono". Certo, le grida non sono mai servite, ma l’idea che, siccome per raggiungere un certo risultato serve sempre qualcosa di più, sia meglio non fare nulla, mi sembra davvero pretestuosa.
Peccato, abbiamo perso un’occasione per dimostrare che almeno certi argomenti non vengono trattati in modo ideologico, ma con la reale intenzione di risolvere i problemi.