Nel ’68 il Concilio si era già concluso e aveva aperto una nuova pagina nella storia della Chiesa. Che legame c’è tra questo rinnovamento, che investe un po’ tutte le realtà ecclesiali e ciò che si manifesta nella società con la contestazione sessantottina?

Un cambiamento profondo

In occasione del cinquantesimo, da più parti si fa memoria del 1968, a volte enfatizzandone il ruolo e in altri casi sminuendone la portata. È indubbio che quella data comporti un passaggio importante nella lunga transizione epocale che stiamo vivendo. Una presa di coscienza, una messa in crisi delle istituzioni e il richiamo alla necessità di mettersi in ascolto del mondo e dei cambiamenti che in profondità stavano avvenendo. In sostanza il ’68 è stato una grande spinta al rinnovamento pur con esisti contradditori.

Quale è l’effettivo legame che quella stagione ha costituito per il mondo cattolico italiano? Quale collegamento c’è tra il rinnovamento che nella Chiesa si era messo in movimento con il Concilio Vaticano II e la spinta della contestazione che invase rumorosamente ogni ambito sul finire degli anni ’60 del secolo scorso?

Nel ’68 il Concilio si era già concluso e aveva aperto una nuova pagina nella storia della Chiesa. Che legame c’è tra questo rinnovamento, che investe un po’ tutte le realtà ecclesiali e ciò che si manifesta nella società con la contestazione sessantottina?

Per comprendere quanto accade nel mondo cattolico, nell’Azione Cattolica (AC) e nelle principali associazioni cattoliche dopo il ’68, è necessario cogliere alcuni nessi, in primo luogo di tipo cronologico. Il Concilio precede il ’68, si tratta infatti di una presa d’atto della necessità di “aggiornare”, come in un primo tempo si cominciò a dire, la proposta ecclesiale, un ressourcement, un tornare alle fonti, all’inizio dell’esperienza cristiana. Questa presa d’atto avviene già dieci anni prima, nel 1959 con l’indizione da parte di Giovanni XXIII. La Chiesa avverte, nella sua parte più sensibile, i segni della crisi, i profondi cambiamenti intervenuti dopo il secondo conflitto mondiale. La Chiesa si lascia interrogare dalla storia e per questo scruta i segni dei tempi. Basti pensare a quanto scrive in un famoso testo il cardinale Suhard parlando, già nel 1947, di agonia della Chiesa.

Nel vissuto ecclesiale, con il Vaticano II, dall’autunno 1962 fino all’8 dicembre 1965, quindi, si anticipa quello che sarà il movimento contestativo, con un vasto confronto sul rinnovamento e un ampio dibattito, a dimensione universale.

 

Differenti istanze di rinnovamento

Il rinnovamento è la parola chiave. Canterà Giorgio Gaber, nel 1965, in una delle sue ballate: “e la Chiesa si rinnova per la nuova società e la Chiesa si rinnova per salvar l’umanità…”; a documentare come la società del tempo avesse percepito quanto stava accadendo nel mondo ecclesiale.

Il rinnovamento in atto nella Chiesa, sotto la spinta e l’entusiasmo della celebrazione del Concilio si incontra, nel concreto vissuto delle persone e di tanti giovani in particolare, con la spinta contestativa che esplode nel ’68 e ciò comporta un sovrapporsi di atteggiamenti e di stati d’animo.

Quando il ’68 muove i suoi primi passi con la contestazione rispetto lo stato esistente delle cose, molte sue parole d’ordine andranno a ricalcare, almeno in apparenza, alcuni tra i concetti principali del rinnovamento ecclesiale, non tanto sul versante teologico quanto su quello istituzionale e sociologico. Il tema dell’intreccio tra queste due traiettorie, tra questi due differenti movimenti di rinnovamento è fenomeno complesso da analizzare, perché non riguarda solo i temi, le idee, le proposte, bensì le persone, il loro vissuto esistenziale.

Il movimento sessantottino ha una duplice spinta: si pone “contro” ed è pertanto anti istituzionale, anti autoritario, avversando nettamente le strutture esistenti: da quella militare a quella sindacale, da quelle economiche a quelle culturali e universitarie in particolare; così come avversa la storia, o meglio il passato e chiede di spezzare le continuità. Vi è poi un movimento “positivo” che cerca di immaginare con fantasia il nuovo, di porre le premesse per la costruzione del futuro, immaginando le forme di una nuova società, di nuovi rapporti tra le persone, fuori dal formalismo “borghese”, di nuove relazioni tra i generi, seguendo il percorso della rivoluzione sessuale ma anche della soggettività della donna, di ciò che sarà il femminismo e così via.

Il movimento “positivo” incrocia in più di un caso i temi del rinnovamento ecclesiale: la nuova soggettività della condizione giovanile, la coeducazione, il ruolo della donna nella Chiesa, ecc.; mentre il movimento “negativo” della contestazione finisce per essere mutuato da tanti, anche nel contesto ecclesiale, sviluppando una spinta anti istituzionale che investe le istituzioni cattoliche, l’autorità e quindi le gerarchie ecclesiastiche.

Si moltiplicano le situazioni di scontro radicale, la critica alle istituzioni cattoliche, la fuoriuscita dai seminari; anche di questa spinta negativa fa le spese l’associazionismo tradizionale che viene investito da movimenti contestativi dall’esterno e al suo interno e indebolito da una fuoriuscita di soci, dal rifiuto stesso dell’adesione attraverso una tessera. L’emorragia di aderenti, nel caso dell’AC in particolare, avviene su un duplice fronte: chi vorrebbe rinnovare radicalmente tutto e chi, invece a “causa del rinnovamento”, non si ritrova più nell’associazione.

Il rinnovamento ecclesiale nella stagione del maggio francese e nei densi mesi del ’68 italiano sta già muovendo i suoi passi. È precedente, potremo dire che in qualche modo ne prepara indirettamente il terreno, ma in molti casi nel vissuto delle persone viene superato e stravolto dalle categorie della contestazione sessantottina. Per cui, ad esempio, non si tratterà più soltanto di chiedere un nuovo ordo studiorum per i seminari, ma di contestare radicalmente la stessa struttura, di contestare non l’autoritarismo ma l’autorità tout court, di confliggere radicalmente con il passato che esso sia storia o personificazione ad esempio nel mondo adulto, dei “matusa”.

 

La difficile transizione dell’associazionismo cattolico: l’Azione Cattolica

Il rinnovamento per un verso e la contestazione per l’altro toccano le forme aggregative del laicato cattolico. Mentre nascono molte nuove esperienze, specie nell’ambito giovanile: dai piccoli gruppi spontanei alle comunità di base, fino ai “nuovi” movimenti. Le associazioni tradizionali, quelle ad ampio impianto democratico e popolare, lavorano al loro interno per realizzare quanto di nuovo e più aderente a quello che il Concilio chiedeva. Provo a richiamare sommariamente quel cammino di rinnovamento, che come ho notato, vedrà mescolati tra loro le menti che provengono dalla lezione conciliare e le spinte frutto del movimento contestativo.

Con l’inizio degli anni Settanta, l’Azione Cattolica si trova a fronteggiare una fase difficile sotto almeno due punti di vista: da un lato si inizia a percepire un certo riflusso dell’entusiasmo e del desiderio di rinnovamento che aveva caratterizzato diocesi e parrocchie nei primissimi anni post-conciliari, mentre si allarga la contestazione ecclesiale; non solo quella delle punte più avanzate, ma anche quella che si rivolge verso qualsiasi forma di organizzazione o struttura gerarchica, cui si aggiunge il moltiplicarsi dei cosiddetti gruppi ”spontanei” o informali, caratterizzati da leadership di giovani sacerdoti e con strutture a base assemblearistica più che democratica.

Intanto si costituisce, nella nuova forma organizzativa, la Conferenza Episcopale Italiana e si avviano i nuovi organismi pastorali tra le difficoltà per le remore ad “aprire” ai laici, e per le dispute sul loro ruolo: decisionale o solo consultivo. Alcuni di questi consigli risultano una riedizione delle “giunte” diocesane di AC: il forte impegno per il rinnovamento ecclesiale in cui l’AC si spende ha peraltro l’effetto di “svuotare” di responsabili i nuovi “organi” elettivi dell’associazione a tutti i livelli. L’AC si trova in quel frangente a realizzare la nuova struttura organizzativa, misurandosi allo stesso tempo con il notevole contrarsi delle adesioni (il numero dei soci passa da 1.657.722 del 1970 ai 928.503 del 1972, per assestarsi ai 637.355 del 1980). Cifre che vanno lette in un contesto generale di calo di partecipazione, di crisi di vocazioni sacerdotali e religiose e di nascita di numerose realtà spontanee. Il calo di adesioni va anche inquadrato in un contesto di rapidissima trasformazione della società italiana e mondiale.

Avvertita è anche la necessità di frenare la “diaspora” dei giovani, attratti da altre proposte, soprattutto sul piano dell’impegno sociale e politico in un tempo che si presenta come un lento canto del cigno delle ideologie, all’insegna della contestazione e dell’aggregarsi dei movimenti studenteschi in tutto il mondo occidentale, e non solo, e di una modalità non istituzionale di accostarsi alla politica.

Sfidando una certa impopolarità e andando controcorrente, l’articolazione giovanile ripropone l’identità dell’AC a misura di giovani anche attraverso “strumenti organizzativi” in quel momento assai impopolari. L’attenzione educativa porta il settore giovani dell’AC ad individuare sottolineature particolari in base alle età. Nasce così l’attenzione per i “giovanissimi”. Con riferimento all’ambiente di vita inoltre si sottolineano specificità per la proposta fatta ai giovani ad esempio di ambiente urbano o rurale, mentre si avvia una prima riflessione sulle grandi città.

 

Le grandi associazioni: gli scout e le Acli

La spinta al rinnovamento che proviene dal Concilio e dal movimento del ’68 investe anche le altre grandi associazioni cattoliche. Il caso dell’Azione Cattolica va visto a sé ma, in parallelo, possono essere considerati casi che presentano aspetti analoghi, quali quello dello scautismo e delle Acli.

Le associazioni scout italiane, sono percorse – come ha notato Mario Sina –  già nella seconda metà degli anni ’60, da fermenti e inquietudini. Si possono individuare in proposito tre ambiti: «La scoperta della dimensione politica, la ricerca di un rapporto diverso tra i sessi nello scautismo e nella società, ed infine, per l’ASCl e l’AGI, l’aspirazione ad un diverso rapporto con la Chiesa. Sono tematiche tra le quali vi è una chiara interrelazione e che, nell’animo dei diversi esponenti del movimento soprattutto a livello locale, si fondono in una concezione globale dello scautismo e dei suoi rapporti con la società che si pone in contrasto netto con quella tradizionale».

Si sviluppa in quegli anni un dibattuto interno dove, a più riprese, si mette in luce la necessità di contestare “tutto ciò che è contro la persona umana, a tutti i livelli e in tutte le strutture”.

Un tema decisivo è il dibattito sulla coeducazione individuando la necessità del superamento dei ruoli e del principio tradizionale di complementarietà. Temi e dibattiti che convergono sul movimento di unificazione tra AGI e ASCI su cui si concentra nei primi anni ’70, registrando anche una crisi e la fuoriuscita di non pochi aderenti. Nel maggio 1974 si completa l’unificazione e nasce l’AGESCI (Associazione Guide E Scout Cattolici Italiani)

Nello scoutismo, come forse nell’AC, nonostante l’ascolto della base, l’intero processo di unificazione viene risolto con una valenza molto “nazionale” e sostanzialmente diretto dall’alto, creando le premesse per una diaspora di grandi dimensioni, che forse una maggiore flessibilità e creatività organizzativa avrebbe potuto evitare. Nel dicembre 1976 la CEI approva il nuovo statuto dell’AGESCI chiarificando la “natura ecclesiale dell’associazione”. Restano anche in quegli anni problemi circa la “scelta politica” dell’associazione che nella percezione dei vescovi rischia di assomigliare un po’ troppo alla “scelta socialista” delle ACLI di Labor e di Gabaglio. L’AGESCI intraprende però un cammino che punta decisamente alla formazione attraverso un Progetto Unitario di Catechesi (PUC) e alla partecipazione, ai vari livelli, agli organismi ecclesiali a cominciare dalla consulta per l’apostolato dei laici. In quella fase di rinnovamento l’AGESCI sceglie di essere associazione, non quindi un “movimento” e neppure una federazione.

Più interno ai cambiamenti politici di quegli anni è, vista la sua identità, il percorso di rinnovamento delle Acli. Nel 1969, nel congresso di Torino, le Acli decidono la fine del collateralismo nei confronti della DC e l’acquisizione del principio del voto libero dei cattolici, sottolineando il “ruolo autonomo” delle Acli nei confronti di qualsiasi ipotesi politica.

Nell’agosto dell’anno seguente si tiene a Vallombrosa il tredicesimo Incontro nazionale di studi dove viene lanciata “l’ipotesi socialista” come nuovo asse della linea politica delle Acli.

In seguito a questa scelta si apre un fronte con l’autorità ecclesiastica; lo stesso Paolo VI nel giugno 1971 prende posizione e vengono ritirati gli assistenti spirituali. Le Acli, che vanno elaborando la scelta di una maggiore autonomia, e nel congresso del 1972 di Cagliari tentano una chiarificazione sulla loro identità e sul loro ruolo.

In quella sede si decide la modifica dei primi due articoli dello Statuto, riformulandoli più coerentemente rispetto al nuovo volto del movimento, e si dà mandato al consiglio nazionale di ristabilire i rapporti coi vescovi e la comunità ecclesiale. Negli anni della presidenza di Domenico Rosati (dal 1976 al 1985) le Acli vanno verso il superamento della frattura che si era creata e, nel dicembre 1976, si ha la nomina di un assistente spirituale.

 

Questioni aperte

Gli aspetti richiamati non possono certo esaurire la complessità e la vastità di un tema che necessita ancora studio e approfondimento, anche alla luce di un bilancio delle scelte compiute in quella fase.

Se si riguarda, a distanza di tempo, a quanto è accaduto tra gli anni ’60 e ’70 sotto la spinta del rinnovamento conciliare e della contaminazione con i fermenti contestativi del ’68, potremmo considerare alcuni problemi aperti. Ne elenco solo tre:

  • Spontaneismo e “nuovi movimenti”

Nel contesto ecclesiale, specie giovanile, dopo il Concilio e a seguito delle istanze antistituzionali sessantottine, si diffondono una miriade di gruppi spontanei, una serie di esperienze che privilegiano la dimensione locale in senso stretto e rifuggono dall’associazionismo tradizionale e che, nel caso in cui evolvano, vanno organizzandosi con strutture che duplicano quelle dell’associazionismo già esistente (ad esempio nel campo studentesco, educativo, ecc.). Indubbiamente il Concilio ha segnato una stagione con una forte presenza dello Spirito, che ha aperto nuove strade, suscitato carismi, che necessitano di un discernimento e di una composizione. Schematizzando potremmo dire che, in quegli anni, le nuove forme aggregative addebitano all’AC un irrigidimento burocratico, una troppo netta distinzione dei generi nel percorso educativo, a scapito di un’istanza coeducativa ormai vincente nella scuola e nelle forme sociali.

  • Forme associate e pastorale ordinaria

Quella stagione lascia in eredità un tema ancora da definire: il legame tra forme associate e pastorale ordinaria. Da un lato abbiamo il contesto plurale delle aggregazioni, la crisi del ruolo dell’AC così come il Concilio e il magistero di Paolo VI e della CEI erano andati definendolo vedendo nell’AC una realtà «inserita ormai nel disegno costituzionale e nel programma operativo della Chiesa».

Sullo sfondo vi è il ridefinirsi della pastorale ordinaria, il mutato ruolo della parrocchia, il sorgere delle unità pastorali e la crisi di vocazioni sacerdotali.  Un radicamento – quello delle nuove forme aggregate – che può anche contribuire ad alimentare ritardi e rallentamenti nella pastorale ordinaria, dove la crisi locale dell’AC fa venir meno quel collante, quel tessuto connettivo che era visto come fondamentale nel “progetto montiniano”, proprio per l’attuazione del Concilio nella dimensione popolare. Nel suo percorso di rinnovamento l’AC rimane fedele al servizio parrocchiale nella dimensione concreta e feriale anche a rischio di perdere la dimensione propriamente associativa per persone che scelgono l’AC non solo come servizio, ma come luogo dove vivere un’esperienza di fede e di formazione.

  • Formazione cristiana e impegno politico

Nelle scelte di rinnovamento attuate dall’AC, un’enfasi particolare nel dibattito pubblico fu attribuita alla scelta religiosa. Una delle scelte che, insieme a quella associativa, unitaria e democratica, aveva caratterizzato la riflessione e le decisioni degli organi dell’AC. La scelta religiosa in realtà è un approfondimento che trae forza dal messaggio conciliare e che punta a tradurre in un nuovo contesto storico la natura religiosa, che aveva caratterizzato l’associazione dalle sue origini ottocentesche.

Tale scelta comportava due movimenti: ribadire il primato dello spirituale, la centralità della Parola, della liturgia, della cultura, da cui “tutto il resto prende significato” (sono parole di Bachelet del ’79); e, insieme, operare il distacco da un collateralismo politico che, nato per le particolari contingenze del dopoguerra, rischiava di appiattire l’appartenenza ecclesiale sulla politica, non consentendo alla Chiesa di mostrarsi a tutti nella sua realtà di “luce per le genti”. Questa scelta non chiedeva certo il disinteresse per la dimensione sociale e politica, bensì l’individuazione di percorsi da realizzare, nella distinzione e attraverso una adeguata mediazione culturale, che una associazione non può lasciare solo ai singoli. In qualche caso, ribadire la scelta in sé, ha finito per coincidere con marcarne il solo carattere negativo; più ancora l’incapacità a trovare nuove forme di mediazione, attraverso appropriate strutture e strumenti, ha comportato più di un fraintendimento e non poche difficoltà.

Anche da questi brevi riferimenti, solo esemplificativi, è possibile comprendere la genesi di alcuni problemi che risultano ancora aperti, seppure in forme diverse, e che richiedono di continuare l’opera di attuazione della chiesa conciliare; questa ha vissuto una sorta di frenata, ma ora tenta, faticosamente, un’accelerazione con le parole dell’Evangelli Gaudium, con il richiamo all Evangelii Nuntiandi e l’invito a una chiesa in uscita, in una dinamica che va dal centro alla periferia e di nuovo al centro e di nuovo alla periferia… dove chiesa e mondo si incontrano, nella sintesi dell’annuncio, senza definizione di confini.

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