In Italia il problema non è fare impresa. Le idee ci sono, le competenze di base anche; ma risulta sempre più difficile riuscire a dare continuità ad attività che mantengano elementi di correttezza e riferimenti etici certi. Le imprese in Italia hanno il compito di rimettere in moto una macchina bloccata. Per fer questo il mondo dell’impresa ha bisogno di donne e uomini coerenti e coraggiosi, inseriti all’interno di un sistema sociale e politico più stabile e trasparente

Cosa voglia dire fare impresa in Italia è questione centrale che, purtroppo, però non sembra catalizzare particolare interesse, a differenza di tematiche meno significative sopratutto in chiave di ripresa del nostro Paese. Non credo sia un caso. Soltanto i temi generici e, in qualche misura superficiali, alimentano il circo della comunicazione mediatica, senza compromettere in faticosi e (doverosi) approfondimenti gli opinion-leaders che si succedono nei continui talk-show. Il risultato è che il tema dello sviluppo del Paese non è mai quello centrale ed i moderni e trasversali populismi sviscerano argomentazioni che non sono mai in contatto con la vita (reale) di chi lavora o cerca di farlo.

In Italia, è bene dirlo subito, il problema non è fare impresa! Le idee ci sono, le competenze di base anche; ma risulta sempre più difficile riuscire a dare continuità ad attività che mantengano elementi di correttezza e riferimenti etici certi. Il Paese, strutturalmente clientelare, si ferma, spesso, alle piccole dimensioni e difficilmente accompagna o è in grado di offrire supporto in percorsi di crescita e reale sviluppo.

Nella parola “crescita” c’è, a mio avviso, la spiegazione ed il limite della situazione che stiamo vivendo.
Le imprese sono, infatti, realtà naturalmente dinamiche. Il dinamismo non è il risultato ma, prima ancora, il metodo attraverso il quale un corpo armonico si relaziona con l’esterno e trova, al proprio interno, le risorse e gli stimoli al cambiamento e all’intraprendere. La domanda che ci dobbiamo porre è, allora, quali siano le condizioni che rendano possibile il cambiamento, come moto perpetuo verso dinamiche di crescita e di sviluppo?

La prima condizione, mi sembra, sia il riconoscimento del merito, del coraggio nell’intraprendere strade nuove. Subito dopo viene la possibilità di tenere in rete imprese e centri di eccellenza (tra cui dovrebbero esserci le Università), anche attraverso le risorse umane che sono l’architrave del cambiamento e non un costo “a progetto”. Solo successivamente, porrei il tema della semplificazione amministrativa e del peso dell’iniqua tassazione; questo non perché problematiche meno sentite, ma per l’impossibilità di risolvere la prima categoria di problemi soltanto con interventi di tipo legislativo o di regolamentazione che, invece, permetterebbero di alleggerire facilmente il peso di una burocrazia assillante.

Fare impresa è, in sintesi, una questione di mentalità del sistema, prima che di politiche. Senza un riconoscimento esplicito e una valorizzazione di tale approccio, non ci saranno mai visioni adeguate e lo Stato continuerà a manifestarsi come un concorrente “sleale” delle libertà dei singoli. L’impresa, invece, deve essere il frutto finale di un corpo sociale armonico e responsabile, capace di conciliare gli interessi senza sterili opposizioni.

Le forme di pervasiva corruzione, che oggi caratterizzano tanta parte del mondo del lavoro, trasformando i diritti in favori e la complessità delle pratiche burocratiche in terreno fertile per la distorsione della libera concorrenza, fanno prevalere spesso interessi illegittimi; si arriva al paradosso che, chi lavora, lo fa per sostenere un sistema che mira, invece, progressivamente ad escludere le persone o le realtà più corrette. Tale situazione deve indurre ad un cambiamento veloce e radicale. Abbiamo bisogno di segnali forti, in contro tendenza rispetto a tali situazioni! In particolare sarebbe di grande utilità che anche il mondo cattolico rinsaldasse le proprie reti per promuovere nuovo lavoro e più impresa. Una promozione che contempli forme di supporto anche solo di tipo sociale. Le nostre reti devono tornare a selezionare classi dirigenti valide e trasparenti anche per il mondo delle imprese. Purtroppo ci rendiamo conto che questo, spesso, non accade.

Chi non accetta forme di deviazione del mercato, ha bisogno di non rimanere isolato. Non sarebbe corretto promuovere, solo a parole, valori e comportamenti virtuosi, lasciando soli coloro i quali se ne fanno carico con la propria vita ed il loro impegno lavorativo.

Le imprese in Italia hanno il compito di rimettere in moto una macchina sempre più bloccata. Sono convinto si apriranno spazi importanti in tale direzione, spazi che vanno abitati con un atteggiamento aperto e disponibile a cambiare: anche tutto, se servisse.

Il mondo dell’impresa ha bisogno, più che mai, di donne e uomini coerenti e coraggiosi, inseriti all’interno di un sistema sociale e politico più stabile e trasparente.
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