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“Se nella società o nella comunità cristiana vogliamo far succedere qualcosa di nuovo, dobbiamo lasciare spazio perché persone nuove possano agire. In altri termini, progettare il cambiamento secondo i principi della sostenibilità richiede di consentire alle nuove generazioni di sperimentare un nuovo modello di sviluppo”
(Documento preparatorio del Sinodo sui giovani)

“È significativo che proprio i giovani – spesso rinchiusi nello stereotipo della passività e dell’inesperienza – propongano e pratichino alternative che mostrano come il mondo o la Chiesa potrebbero essere. Se nella società o nella comunità cristiana vogliamo far succedere qualcosa di nuovo, dobbiamo lasciare spazio perché persone nuove possano agire. In altri termini, progettare il cambiamento secondo i principi della sostenibilità richiede di consentire alle nuove generazioni di sperimentare un nuovo modello di sviluppo. Questo risulta particolarmente problematico in quei Paesi e contesti istituzionali in cui l’età di chi occupa posti di responsabilità è elevata e rallentano i ritmi di ricambio generazionale”.

Ho scelto di iniziare il mio editoriale da questo brano tratto dal “Documento preparatorio” della XV Assemblea ordinaria del Sinodo dei Vescovi “I giovani, la fede e il discernimento comunitario” perché coglie tutta la portata e il senso della scelta della Chiesa di dare spazio ai giovani, di vederli come soggetto di cambiamento sociale, culturale, politico ed ecclesiale.

Le Acli da sempre dedicano una grande attenzione al tema delle generazioni e del genere con il lavoro che portano avanti i Giovani delle Acli ed il Coordinamento donne sia a livello nazionale che nei diversi territori.

Anche la ricerca sociale sul tema dei giovani, in rapporto alla formazione e al lavoro, è da 50 anni al centro del nostro interesse. L’Iref – l’Istituto di Ricerche educative e formative delle Acli, nato proprio nel luglio del 1968, di recente ha realizzato un’importante ricerca, curata da Gianfranco Zucca, che ha coinvolto più di 2500 giovani (tra i 18 e il 29 anni): 1755 giovani italiani, 535 giovani che vivono all’estero da almeno sei mesi (i cosiddetti “expat”) e 229 giovani figli di entrambi i genitori stranieri.

Introducendo il volume Il Ri(s)catto del presente. Giovani e lavoro nell’Italia della crisi (Rubettino 2018), che presenta i risulti di questa ricerca, osservavo come i giovani, pur vivendo la condizione di “nativi precari” e la necessità di “lavorare in deroga” rispetto ai diritti, “dimostrano resilienza, capacità di scegliere ed agire, fronteggiando con realismo le difficoltà. Manifestando altresì forme di autorganizzazione e sostegno reciproco”. E ancora sottolineavo come “l’Italia che stiamo lasciando loro chiede ai giovani di avere coraggio. Il coraggio di studiare quando il valore della formazione è messo in secondo piano dal produttivismo, il coraggio di cercare lavoro quando tutti ti dicono che non ce n’è, il coraggio di fare la valigia ed andarsene dall’Italia. Il coraggio di iniziare un percorso e talvolta di saper cambiare. Il coraggio di scegliere”.

Più recentemente il presidente  nazionale delle Acli, Roberto Rossini, intervistato da “La Repubblica.it” in vista dell’incontro nazionale di studi dell’associazione dal titolo “Animare la citta”, che si e’ tenuto a Trieste dal 13 al 15 settembre scorsi, ha osservato tra l’altro come “emerga una dualizzazione dei percorsi di vita degli italiani: da un lato la generazione adulta e degli anziani, che ha goduto dei benefici di un’Italia che, a partire dagli anni ’70, ha avuto un lavoro di serie A, un welfare di serie A e una pensione di serie A; dall’altra la generazione dei precari, dei fuori-sistema, di coloro che oggi hanno un lavoro di serie B, un welfare di serie B e in futuro una pensione di serie B”.

Per queste ragioni, proseguendo la riflessione portata avanti a Trieste e collegandoci al cammino che la Chiesa sta conducendo in vista dell’imminente Sinodo dei Vescovi sui giovani (3-28 ottobre), abbiamo deciso di dedicare il focus di settembre a questo tema con l’obiettivo di interrogarci su alcune domande di fondo: Perché l’Italia non è un Paese per giovani? In che modo le generazioni degli adulti possono fare spazio ai giovani dal punto di vista sociale, politico ed ecclesiale? Come possono aiutarli ad inserirsi nella società e nel mondo del lavoro? In che modo è possibile consentire ai giovani di “passare da una condizione di perdenti che chiedono protezione dai rischi del mutamento, a soggetti del cambiamento capaci di creare nuove opportunità”? In che modo è possibile sviluppare e valorizzare i talenti delle giovani generazioni? E’ possibile e utile costruire un nuovo patto tra generi e generazioni, che dia un futuro diverso al nostro Paese? 

Padre Giacomo Costa (Segretario speciale del Sinodo sui giovani e direttore di “Aggiornamenti sociali”) osserva che il “prendere sul serio i giovani, la loro cultura, le loro esigenze, le loro risorse e le loro fragilità mette di fronte alla necessità del cambiamento, così da aprirsi alla novità di cui queste generazioni sono portatrici: è anche questa, o forse soprattutto questa, la posta in gioco dell’ormai imminente Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani”. Sottolinea inoltre l’importanza della “cultura dell’accompagnamento (che) significa mettere a tema il rapporto tra generazioni, chiedendo a ciascuno di assumere il proprio ruolo e anche il proprio limite, evitando ambiguità e confusioni”.

Alessandro Rosina (Professore ordinario di Demografia nella Facoltà di Economia dell’Università Cattolica di Milano e Coordinatore del “Rapporto Giovani”) afferma che “serve un nuovo percorso in grado di mettere assieme in modo coerente le potenzialità del Paese e le opportunità del mondo che cambia, con al centro il ruolo autonomo e attivo delle nuove generazioni come motore dei processi di innovazione e produzione di benessere collettivo. Dobbiamo deciderci finalmente di far uscire i giovani dalle retrovie e schierarli in attacco con strumenti all’altezza delle sfide di questo secolo e con una visione di futuro desiderato da costruire assieme“.

Giacomo Carta (Coordinatore Nazionale dei Giovani delle Acli) sottolinea l’importanza della riforma della scuola e della formazione professionale per consentire ai giovani di uscire dalla trappola in cui sono attualmente e la necessità dieducare le giovani generazioni all’intraprendenza, alla curiosità, alla formazione ed alla crescita di se stessi”.

Michele Tridente (Vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il Settore giovani) osserva come “la prima sfida è certamente quella di uscire dagli stereotipi per riconoscere il desiderio di impegno, di protagonismo e di costruire il bene che c’è in tantissimi giovani, nonostante le difficoltà. Crediamo di essere qualcosa in più di una definizione: siamo sfiduciati sì, ma non meno in ricerca delle generazioni precedenti, sembriamo disillusi ma non meno impegnati e coinvolti in esperienze politiche o di volontariato”.

Maria Cristina Pisani (Portavoce Forum nazionale giovani) afferma la necessità “di stimolare i giovani ad assumersi responsabilità, ad avere il coraggio di porre con forza un nuovo punto di vista, ad acquisire professionalità studiando e qualificando il proprio bagaglio culturale; dall’altra, sollecitando istituzioni pubbliche e soggetti privati, rappresentanti politici e sindacali, categorie professionali e produttive, settori della formazione e della cultura a porre al centro della propria riflessione e della propria azione la difficile condizione dei giovani attuali e delle generazioni future”.

Federica Volpi (Ricercatrice dell’Iref) sottolinena che “la progettualità dei giovani e delle donne e la loro presenza nei processi decisionali e nella sfera pubblica è un requisito essenziale per il successo di qualsiasi politica di sviluppo e la buona salute della democrazia. E insieme un antidoto alle dinamiche che impongono precarietà, incertezza e modelli sempre più selettivi di accesso ai diritti”.

Giovanni Grandi (Presidente del Centro Studi Jacques Maritain e docente di Antropologia filosofica ed etica presso l’Università degli Studi di Padova) afferma che “per uscire dalla passività, dall’attesa che qualcosa accada e compiere dei passi spiritualmente orientati verso un futuro fruttuoso e sostenibile, tra le molte risorse immaginabili vale la pena di rivalutare anche le micro-alleanze tra giovani e adulti, che saranno tanto più feconde quanto più saranno a loro volta contestualizzate in comunità vive e innestate in tradizioni di lungo respiro.

Concludiamo con Luca Raffaele (Direttore generale di NeXt – Nuova Economia per tutti) che osserva come “i giovani dovranno prendersi con forza le opportunità e spiegare a scrittori e pensatori ‘stanchi’ che non siamo di fronte ad una generazione di sdraiati ma di generativi e lavoratori responsabili“. Giovani che vogliono essere imprenditori sostenibili, che vogliono costruire un futuro diverso.

 

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