La santità è la pienezza di una vita cristiana autentica, una “misura alta” per il credente che aspira a conformare la propria vita secondo il Vangelo. Ma non adempiendo meramente a prescrizioni e precetti, ma aprendosi all’incontro vitale con la Parola, il Pane, il popolo e i poveri…

La santità è la pienezza di una vita cristiana autentica, una “misura alta” (San Giovanni Paolo II) per il credente che aspira a conformare la propria vita secondo il Vangelo. Ma non adempiendo meramente a prescrizioni e precetti, ma aprendosi all’incontro vitale con la Parola, il Pane, il popolo e i poveri.

Papa Francesco ci regala ancora una volta un documento straordinario, l’ Esortazione Apostoica “Gaudete et Exsultate (GE)”, un testo  per incoraggiare ogni credente a guardare con gioia alla bellezza della vita cristiana, del Vangelo vissuto nella sua dimensione profonda di immersione nella concretezza dell’incontro quotidiano con il Signore che è fatto di preghiera, di  ascolto della Parola, di Eucarestia, di amore per il prossimo e di fedeltà alla vita, luogo teologico e spazio privilegiato di testimonianza e di annuncio.

La santità è esperienza di popolo, è frutto di una vita comunitaria e di crescita stimolata da una reale “mistica popolare” (EG, 124; 237): “nessuno di si salva da solo” (GE, 6), il Signore invita ciascuna persona a partecipare della sua vita più vera, intima, a farlo sviluppando le proprie attitudini, ciascuno per la sua via. Come ricorda il Concilio (LG, 11): “quello che conta è che ciascun credente discerna la propria strada e faccia emergere il meglio di sé, quanto di così personale Dio ha posto in lui (EG, 11). Una chiamata personale da vivere insieme, anzi “a due a due” (GE, 141) nella logica dell’amicizia fraterna e del sostegno reciproco che apre al dono della comunità, “spazio teologale in cui si può sperimentare la mistica presenza del Signore risorto (GE, 142)”.

La santità è per tutti, è a misura di ciascuno, si attua attraverso piccoli gesti concreti (GE, 16) ma richiede di dare il meglio di sé (GE, 25): “non ti santificherai senza consegnarti corpo e anima per dare il meglio di te in tale impegno”. La santità è un cammino, un itinerario che richiede sforzi per affrontare fatiche, inerzie, pigrizie e avversità, è un esercizio anzi un vero e proprio “combattimento” (GE, 58) che non è sforzo ascetico, ma è una vera e propria lotta con il male personificato con il demonio, fonte di tentazione continua e potenza distruttiva della vita interiore ma anche della vita relazionale e sociale. Francesco cita la prima lettera di Pietro che lo indica come un “leone ruggente” sempre in cerca di prede da divorare. Per questo ci sono state date dal Signore delle armi potenti prime fra tutte la preghiera così come la meditazione, la vita comunitaria e la frequenza ai sacramenti, l’Eucarestia ma anche il servizio e l’impegno apostolico e missionario.

Tutto ciò ci allena ad una continua vigilanza, la veglia che spesso viene evocata nel Vangelo e in molte parabole e discorsi in cui Gesù ci ammaestra e ci ricorda che non possiamo assopirci, addormentarci, poiché rischiamo di corromperci: “la corruzione spirituale è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito (GE, 165)”. Il pontefice riprende un tema scottante da lui affrontato più volte, come nel discorso fatto a Scampia nel 2015 in occasione della manifestazione promossa da Libera. La corruzione è un “male assoluto” e fa male a tutti, nasce da un cuore che ha smesso di confrontarsi con gli altri, di ascoltarli e di ascoltare la voce dello Spirito, che si crede autosufficiente e pertanto potente, esercitando tale potere con discrezionalità e con l’unico fine di soddisfare il proprio interesse.

Ritorna un altro grande tema di papa Bergoglio: il discernimento. “Al giorno d’oggi l’attitudine al discernimento è diventata particolarmente necessaria. Infatti la vita attuale offre enormi possibilità di azione e distrazione e il mondo le presenta come se fossero tutte valide e buone (…) senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci in burattini alla mercé delle tendenze del momento” (GE, 167). Il papa gesuita attinge alla tradizione ignaziana, e certamente alla lunga esperienza di accompagnamento spirituale, per riconsegnare alcuni strumenti tipici  ed efficaci del cammino di crescita che sostiene la vita cristiana, via verso la santità, un cammino da vivere alla luce della presenza viva del Signore, cercando di non farsi appesantire dal alcuni rischi e limiti della cultura di oggi: “l’ansietà nervosa e violenta che ci disperde e debilita, la negatività e la tristezza, l’accidia comoda, consumista ed egoista; l’individualismo, e le tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale” (GE, 111).

Ma i nemici più pericolosi sono le due subdole tentazioni, già indicate da papa Francesco come pericoli per la chiesa durante il suo discorso al V Convegno ecclesiale a Firenze nel 2015: lo gnosticismo e il pelagianesimo. Si tratta di due eresie sorte nei primi secoli cristiani, ma “di grande attualità” secondo il papa argentino che non manca di presentare come rischi per la vita credente e per la pastorale della Chiesa. Il primo suppone “una fede rinchiusa nel soggettivismo (EG, 105)” dove il fascino del ragionamento teorico e della costruzione intellettuale prevalgono sulla tensione vitale e sulla relazione che continuamente mette in discussione le false sicurezze di un razionalismo disincarnato. “Dio ci supera infinitamente, è sempre una sorpresa e non siamo noi a determinare in quale circostanza storica trovarlo (GE, 41)” così come “Egli è misteriosamente presente nella vita di ogni persona, nella vita di ciascuno così come Egli desidera” (GE, 42).

L’accesso alla conoscenza del Signore non è per pochi, così come ogni esperienza di incontro autentico con il Signore arricchisce la vita comunitaria e sostiene il cammino del popolo di Dio, mostrando percorsi sempre nuovi per raggiungere la via della santità. Così come la conoscenza vera è sempre umile e si mette al servizio nella pratica educativa di colui che sa che il Maestro è uno solo: “la dottrina, o meglio, la nostra comprensione ed espressione di essa, non è un sistema chiuso, privo di dinamiche capaci di generare domande, dubbi, interrogativi», e «le domande del nostro popolo, le sue pene, le sue battaglie, i suoi sogni, le sue lotte, le sue preoccupazioni, possiedono un valore ermeneutico che non possiamo ignorare se vogliamo prendere sul serio il principio dell’incarnazione» (GE, 44)”.

All’opposto vi è l’altra eresia, il pelagianesimo, che si fonda nel credere che la salvezza venga unicamente dai nostri sforzi e dalla nostra volontà: “la mancanza di un riconoscimento sincero, sofferto e orante dei nostri limiti è ciò che impedisce alla grazia di agire meglio in noi, poiché non le lascia spazio per provocare quel bene possibile che si integra in un cammino sincero e reale di crescita (GE, 50)”.  Occorre pertanto riconoscere i doni con cui la presenza del Signore si esprime nella nostra vita, accettando anche la nostra libertà, la creatività e la nostra originalità come doni da offrire alla crescita del bene di tutti, attraverso il lavoro, il servizio e la gratuità. Spesso, invece, “si riduce e si reprime il Vangelo” dando “eccessiva importanza all’osservanza di determinante norme proprie, di costumi o stili (GE, 58)”. La fedeltà alla prassi produce nel migliore dei casi abitudinari età, spegne il carisma e ci fa “adoratori delle ceneri” o addirittura di fossilizza e ci corrompe! Ci ricorda papa Francesco che esiste una “gerarchia delle virtù che ci invita a cercare l’essenziale” e che “al centro c’è la carità” (GE, 60).

Al cuore dell’esortazione, il pontefice ricorda come il sinonimo di santità sia “beatitudine”, presentando le Beatitudini evangeliche come chiave di volta di una vita cristiana in pienezza ed autenticità. Esse ci mostrano in semplicità come “il cristianesimo è fatto soprattutto per essere praticato, e se è anche oggetto di riflessione, ciò ha valore solo quando ci aiuta a vivere il Vangelo nella vita quotidiana (GE, 109)”. L’intento di papa Francesco è di indicare la santità come mèta alla portata di tutti coloro che cercano con sincerità una felicità che è pienezza di vita, resa tale nel dono di sé agli altri e nella cura di relazioni pacificate con se stessi, con il prossimo e con il Creato.

Chiudo con un riferimento alla figura di Pier Giorgio Frassati, proclamato beato il 20 maggio del 1990, da Giovanni Paolo II. In questa occasione il papa afferma su di lui: “Egli proclama, con il suo esempio, che è “beata” la vita condotta nello Spirito di Cristo, Spirito delle Beatitudini, e che soltanto colui che diventa “uomo delle Beatitudini” riesce a comunicare ai fratelli l’amore e la pace. Ripete che vale veramente la pena sacrificare tutto per servire il Signore. Testimonia che la santità è possibile per tutti e che solo la rivoluzione della carità può accendere nel cuore degli uomini la speranza di un futuro migliore.

Qualche anno dopo, il 26 aprile del 1996, rivolgendosi ai partecipanti al Congresso Nazionale della FUCI per il centenario, Giovanni Paolo II afferma ancora: “In una società complessa che va smarrendo il senso del sacro, agli universitari cattolici spetta il compito di testimoniare, come seppe fare Pier Giorgio Frassati, la verità di Dio rivelata in Gesù Cristo, la gioia di credere in lui e di seguirlo sulla via del Vangelo”.

Insomma la santità è per tutti, riguarda tutte le età e le condizioni di vita. La strada indicata dal beato Pier Giorgio Frassati e dai tanti laici, uomini e donne, che hanno vissuto il cammino verso la santità – anche grazie alla loro esperienza ecclesiale dentro l’Azione Cattolica – è ancora attuale ed è la stessa indicata da papa Francesco: vivere la propria vita incarnando lo spirito delle beatitudini, mostrando la gioia di credere in Gesù Cristo e di seguirlo sulla via indicata dal Vangelo.

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