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Dio cammina con il suo popolo e noi siamo chiamati a fare parte di questo popolo, a stare in mezzo al popolo, perché è questa relazione, questo «stare con» che ci fa santi, capaci di sopportazione, pazienza, mitezza, gioia, senso dell’umorismo, audacia, fervore, di stare in comunità e in preghiera costante. E’ nella vita comune che ci aiutiamo a vicenda a essere santi, separati dal male e pieni di carità, così come è il Signore che ci ama…

«Lo Spirito Santo riversa santità dappertutto nel santo popolo fedele di Dio, perché «Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che lo riconoscesse secondo la verità e lo servisse nella santità» (Lumen Gentium 9). Il Signore, nella storia della salvezza, ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo, come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella comunità umana: Dio ha voluto entrare in una dinamica popolare, nella dinamica di un popolo» (Gaudete et exsultate 6).

Fin dalle prime battute dell’esortazione apostolica papa Francesco mette in chiaro che la santità non è un fatto personale ma un evento che accade nella storia di un popolo in cammino verso il proprio Signore.

Già nella Evangelii Gaudium, l’esortazione inaugurale del proprio pontificato, papa Francesco parlava del piacere spirituale di essere popolo, affermando con semplicità una verità oggi poco presente nella coscienza individualista del mondo occidentale di cui facciamo parte: «La Parola di Dio ci invita anche a riconoscere che siamo popolo: «Un tempo voi eravate non-popolo, ora invece siete popolo di Dio» (1 Pt 2,10). Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore. La missione è una passione per Gesù ma, al tempo stesso, è una passione per il suo popolo» (n. 268).

Questa attenzione alla dimensione popolare della vita di ciascuno non è un tratto che proviene solo dal suo venire dall’America Latina, ma è profondamente radicato in una lettura attenta e obbediente della Sacra Scrittura: il Signore si è scelto un popolo con cui fare alleanza e da questo popolo ebreo è nato Gesù Cristo salvatore di tutti gli uomini e le donne di ogni tempo e luogo.

Sentirsi parte di questo popolo in cammino nella storia è conversione del cuore che si alimenta nella preghiera quotidiana nutrita dalla Sacra Scrittura tutta, antico e nuovo testamento.

Francesco prosegue mostrando il suo godimento («Mi piace vedere») nel discernere i segni della santità nel popolo di Dio paziente: «nei genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere. In questa costanza per andare avanti giorno dopo giorno vedo la santità della Chiesa militante. Questa è tante volte la santità “della porta accanto”, di quelli che vivono vicino a noi e sono un riflesso della presenza di Dio, o, per usare un’altra espressione, “la classe media della santità” (J. Malegue, Pierres noires. Les classes moyennes du Salut, Paris, 1958)» (n. 7).

Inoltre il papa è convinto che chi ci stimola alla santità, e parla per esperienza personale, sono i più umili membri del popolo di Dio che «partecipa pure dell’ufficio profetico di Cristo col diffondere dovunque la viva testimonianza di Lui, soprattutto per mezzo di una vita di fede e di carità» (Lumen Gentium 12)

La santificazione è la nostra missione nella storia (n. 19): «In fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita. Consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore» (n. 20).

La proposta che urge al pontefice, e che vuole trasmettere a tutto il popolo di Dio, è quella stessa proposta di Gesù che lo anima nel profondo del suo cuore: vivere con Gesù per vivere come Gesù. Così si esprimeva mons. Giuseppe Colombo in un folgorante libretto sul fondamento della vita cristiana e che vale la pena di rileggere con attenzione.

Sono evidentemente innumerevoli i modi di vivere l’esistenza umana, tanti quanti sono gli uomini; ma uno solo è il modo «giusto» o autentico, non inventato dagli uomini, ma proposto direttamente da Dio, quello di Gesù Cristo. Precisamente per questo Gesù Cristo, il figlio di Dio, si è fatto uomo e ha vissuto da uomo, per insegnare a tutti come è da vivere l’esistenza umana. Sotto questo profilo, il Vangelo si propone a tutti come il testo cui attingere le lezioni di vita.

Vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo non è la vocazione/il destino/la predestinazione riservata a pochi eletti — i santi, i religiosi, i cristiani —, ma è la vocazione comune rivolta a tutti gli uomini, senza eccezione o discriminazione: ogni uomo ha solo questo destino e solo in questo destino può trovare il senso della sua esistenza.

Immediatamente è da correggere l’idea che Gesù Cristo abbia vissuto l’esistenza umana in modo troppo alto, o correlativamente l’idea che all’uomo comune sia impossibile vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo. Contro tutte le possibili obiezioni, sta il fatto pregiudiziale e incontestabile che ogni uomo è creato precisamente per vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo e senza alternative. E a superare tutte le obiezioni, è da precisare che se è im­pensabile riuscire a vivere come Gesù Cristo da soli, con le proprie capacità e debolezze, in realtà questo non è richiesto a nessuno; ciò che è proposto a ogni uomo è invece di vivere con Gesù Cristo e solo conse­guentemente come Gesù Cristo. In altri termini, la possibilità di vivere come Gesù Cristo deriva agli uomini da Gesù Cristo stesso: egli infatti comunica loro il suo Spirito, lo Spirito Santo, così che, principio ai vita in lui, diventi principio di vita — il medesimo principio — anche in loro. Dallo stesso principio non può che fluire la medesima vita.

In conclusione, il vivere come Gesù Cristo non ha nulla della fatica di Sisifo, o piuttosto è il suo contrario, nel senso che non è da concepire come un traguardo alto, lontano e irraggiungibile, ma è da comprendere come la logica conseguenza del vivere con Gesù Cristo. Coerentemente la creazione «in Cristo» di ogni uomo non è da intendere come una spinta che butta l’uomo nel vuoto senza rete, ma come un gesto amoroso ­l’immagine, se non apparisse un po’ sentimentale, è quella dell’abbraccio — di Gesù che crea l’uomo atti­randolo a sé per ispirargli la sua vita. Dipendesse solo da Gesù, l’abbraccio non si scioglierebbe mai; solo l’uomo può sottrarsene. Fuori metafora, a ogni uomo che nasce in questo mondo è data una partecipazione dello Spirito di Gesù — lo Spirito Santo — per poter vivere l’esistenza umana con Gesù e conseguentemente come lui. (cfr. Giuseppe Colombo, L’ordine Cristiano, Glossa, Milano 1993).

Possiamo così entrare in sintonia con papa Francesco quando ci ricorda che «ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo» (n. 21).

A volte ci coglie una tiepidezza spirituale, così che è utile riascoltare quella parola rivolta dal Signore alla chiesa di Laodicea: «Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né caldo né freddo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: sono ricco, mi sono arricchito, non ho bisogno di nulla. Ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo» (Ap 3,16-17).

Francesco ci invita ad essere umili, a imitazione dell’umiltà di Gesù: «L’umiltà può radicarsi nel cuore solamente attraverso le umiliazioni. Senza di esse non c’è umiltà né santità. Se tu non sei capace di sopportare e offrire alcune umiliazioni non sei umile e non sei sulla via della santità. La santità che Dio dona alla sua Chiesa viene mediante l’umiliazione del suo Figlio: questa è la via. L’umiliazione ti porta ad assomigliare a Gesù, è parte ineludibile dell’imitazione di Cristo: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2,21). Egli a sua volta manifesta l’umiltà del Padre, che si umilia per camminare con il suo popolo, che sopporta le sue infedeltà e mormorazioni (cfr Es 34,6-9; Sap 11,23-12,2; Lc 6,36). Per questa ragione gli Apostoli, dopo l’umiliazione, erano “lieti di essere stati giudicati degni di subire oltraggi per il nome di Gesù” (At 5,41)» (n. 118).

Dio cammina con il suo popolo e noi siamo chiamati a fare parte di questo popolo, di stare in mezzo al popolo, di “puzzare” di questo popolo, perché è questa relazione, questo «stare con», che ci fa santi, capaci di sopportazione, pazienza, mitezza, gioia, senso dell’umorismo, audacia (parresia), fervore, di stare in comunità e in preghiera costante (nn. 110-157). E’ nella vita comune che ci aiutiamo a vicenda a essere santi, separati dal male e pieni di carità, così come è il Signore che ci ama.

Per questo papa Francesco si rivolge direttamente a ciascuno di noi con tono fraterno: «Dunque mi permetto di chiederti: ci sono momenti in cui ti poni alla sua presenza in silenzio, rimani con Lui senza fretta, e ti lasci guardare da Lui? Lasci che il suo fuoco infiammi il tuo cuore? Se non permetti che Lui alimenti in esso il calore dell’amore e della tenerezza, non avrai fuoco, e così come potrai infiammare il cuore degli altri con la tua testimonianza e le tue parole? E se davanti al volto di Cristo ancora non riesci a lasciarti guarire e trasformare, allora penetra nelle viscere del Signore, entra nelle sue piaghe, perché lì ha sede la misericordia divina» (n. 151).

Lasciamoci dunque toccare da questo appello fatto col cuore da papa Francesco, per continuare il nostro cammino di santità insieme al santo popolo di Dio che ci ha preceduto nel tempo e ci accompagnerà nel futuro.

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