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Il cristiano può arricchirsi? Sì, se la ricchezza produce ulteriore ricchezza e non genera impoverimento e attaccamento alle cose. Il cristiano deve quindi arricchirsi, nel senso di impiego dei talenti, gestione delle risorse, condivisione di opportunità. E’ chiamato ad esprimere la propria dignità di figlio di Dio, a venire ricompensato, a possedere beni, a donare i propri talenti. In questo modo si immettono nuove risorse e nuove idee per il bene di tutti.

“Non accumulate per voi tesori sulla terra” (Mt 6,19); “Difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei cieli” (Mt 19,23; cf. Lc 1,52-53; 6,20.24; Gc 2,5-7). Se leggiamo queste espressioni del Nuovo Testamento non vi è dubbio sulla risposta da dare alla domanda espressa nel titolo. Ma i poveri sono intrinsecamente buoni e i ricchi cattivi? In cosa consistono la povertà e la ricchezza? Se i cristiani fossero votati alla povertà chi potrebbe dare “a Cesare quello che è di Cesare” (Mt 22,21)? Chi potrebbe sostenere quelli che vivono del Vangelo (cf. Mt 10,10; 1Cor 9,14)? Come si potrebbero organizzare collette per le comunità in difficoltà (cf. 2Cor 8-9)? Con quali risorse si potrebbero aiutare le persone svantaggiate (cf. At 6,1-6)? La miseria produce rabbia, frustrazione, senso di impotenza, disperazione. Ascoltiamo cosa dice Pietro ad Anania: “Prima di venderlo [il campo], non era forse tua proprietà e l’importo della vendita non era forse a tua disposizione?” (At 5,3-4). Questo discorso presuppone la proprietà privata, e, dunque, la possibilità di creare ricchezza/prosperità.
Per noi cristiani, inoltre, l’Antico Testamento rimane valido: “Abram era molto ricco in bestiame, argento e oro” (Gn 13,2); “Il Signore, tuo Dio, sta per farti entrare in una buona terra […]. Mangerai, sarai sazio e benedirai il Signore, tuo Dio” (Dt 8,7.10); “Una donna forte chi potrà trovarla? […] È soddisfatta, perché i suoi affari vanno bene […]. Apre le sue palme al misero, stende la mano al povero” (Pr 31,10.18.20).
Perché il Nuovo Testamento esalta la povertà? Non per stabilire l’inconsistenza del conto corrente dei credenti, ma per affermare il pericolo dell’idolatria come ricerca di potere, sfruttamento degli altri, attaccamento alle cose. Vi è, però, la ricchezza che si esprime come prosperità, riconoscimento delle benedizioni di Dio, sostegno per i più svantaggiati. Luca presenta la comunità di Gerusalemme come la realizzazione dell’ideale del Deuteronomio: “Non vi sarà alcun bisognoso in mezzo a voi” (Dt 15,4); “Nessuno infatti tra loro era bisognoso” (At 4,34). Se non vi sono bisognosi, nessuno è povero, e nessuno è dominato dalla bramosia del denaro. Si attua la “prosperità condivisa”.
Il cristiano si può dunque arricchire? No, se l’accumulo di beni avviene secondo quanto descrive Giacomo: “Ecco, il salario dei lavoratori che hanno mietuto sulle vostre terre, e che voi non avete pagato, grida, e le proteste dei mietitori sono giunte agli orecchi del Signore onnipotente” (Gc 5,4). Sì, se la ricchezza non solo non nasce dall’impoverimento di altri, ma produce ulteriore ricchezza per molti.
La Bibbia, in sintesi, ci dona alcuni punti fermi sul tema ricchezza-povertà:
1) Dio è particolarmente attento alle condizioni economiche delle persone più svantaggiate. Nessuno deve vivere in miseria; tutti sono chiamati alla prosperità.
2) Il ricco in senso negativo non è chi ha tanti soldi, ma chi divinizza il denaro, chi vede le persone come oggetti da usare, non come soggetti con i quali entrare in relazione.
3) Più risorse si posseggono, più si è chiamati a riconoscere le benedizioni di Dio, e ad avviare un circolo economico virtuoso a favore degli ultimi.
4) Tale operazione non va intesa come mantenimento del bisognoso in uno stato di dipendenza, ma come innesco di processi economici liberanti, che promuovano la dignità della persona.
5) La comunità cristiana è il contesto sociale in cui la visione della prosperità condivisa può svilupparsi, secondo il dinamismo dello Spirito.
Da questo punto di vista, il cristiano non solo può, ma deve arricchirsi, nel senso di impiego dei talenti, gestione delle risorse, condivisione di opportunità. Il credente è chiamato a esprimere la propria dignità di figlio di Dio, e dunque a fare, a donare i propri talenti, a venire ricompensato, a possedere beni, ad aiutare altri a donare a loro volta i loro talenti. In questo modo si immettono nuove risorse e nuove idee per il bene di tutti.
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