Nei media leggiamo spesso di mirabolanti risultati della ricerca che ad ogni piè sospinto risolve definitivamente un problema che angustiava l’umanità o chiarisce una volta per tutte una verità assoluta

Alla base di tutte queste notizie è spesso la voglia di contrabbandare la scienza come la nuova e definitiva religione rivelata e di far avanzare in maniera strisciante una concezione materialista e deterministica del mondo. Questo è assolutamente falso ed ha, tra le altre conseguenze, l’effetto di snaturare l’importantissimo ruolo della scienza e cioè quello di contemplazione senza fine del creato e di aiuto al nostro bene comune e di trasformarla nel suo esatto contrario di sapere arrogante e chiuso alle critiche. Qui si cerca di dare un (piccolo) contributo per sfatare alcuni di questi miti perniciosi e magari di dare qualche argomento ai nostri lettori nelle discussioni fra amici.
 
 
 
Era scritto nel suo DNA. Questa frase che compare nei resoconti degli eventi più diversi e nelle noiosissime litanie sulle scoperte dei geni per l’intelligenza, del cancro, della generosità e via delirando implica una concezione degli organismi viventi come dotati di una sala di controllo simile a quella dei jet di linea dove l’accensione o lo spegnimento di un bottone provoca una conseguenza ben determinata e prevedibile sul funzionamento del velivolo.
Niente di più falso; se si escludono poche decine di malattie genetiche (per altro molto rare) la cui causa è ascrivibile alla presenza o assenza di un certo gene, decenni di ricerca genetica non hanno dimostrato nessun legame stabile (neanche su base statistica) tra la comparsa di caratteri o malattie e la presenza di un certo determinante genetico. Recenti studi su decine di migliaia di gemelli monozigoti (che quindi condividono l’intero patrimonio genetico) hanno definitivamente dimostrato che la diversità fra le cause di morte di due gemelli monozigoti è esattamente la stessa di quella osservata in due fratelli qualsiasi. Non solo, ma anche la concezione del gene come di un ben specifico segmento del DNA univocamente definibile (e quindi trasferibile da un organismo all’altro o comunque modificabile) è recentemente crollata a seguito del cosiddetto progetto ENCODE, lo studio dell’intero ‘tragitto biologico’ di un insieme di tratti del DNA dalla loro sequenza di nucleotidi (come appaiono nella molecola del DNA) alle proteine prodotte (le proteine sono le ‘macchine molecolari’ che in qualche modo traducono l’informazione genetica in reazioni chimiche, strutture molecolari, segnali biochimici). Il fatto poi che il numero di proteine sia di un ordine di grandezza superiore a quello dei geni mina alla base il paradigma genetico deterministico.
Piuttosto che ad una pulsantiera di jet, il sistema di controllo della cellula assomiglia di più ad una rete il cui funzionamento deriva dalle interazioni di migliaia di elementi e lo stesso comportamento puo’ derivare da miriadi di diverse configurazioni possibili.
 
Le inesorabili leggi della Natura che governano il mondo. Un’idea presente da circa trecento anni nella scienza era quella della presenza di poche costanti universali (la velocità della luce, la costante di Planck, la carica dell’elettrone…) da cui, almeno in linea teorica, si può dedurre il funzionamento di tutto ciò che ci circonda. Queste leggi (o principi primi) regolerebbero in maniera ferrea ogni possibile fenomeno mentre a loro volta questi principi non deriverebbero da nient’altro e costituirebbero una sorta di inflessibile e privo d’amore ‘Dio dei filosofi’. Altro corollario inevitabile è quello che ormai i principi primi siano tutti noti ed alla scienza rimanga ormai solo il compito di risolvere alcuni dettagli, magari utili, ma sostanzialmente minori visto che la ‘teoria del tutto’ è già univocamente fissata, insomma una sorta di scienza rivelata.
Tutti i Nobel della fisica degli ultimi venti anni sono invece, guarda un po’, andati a scienziati che hanno dimostrato, soprattutto dal punto di vista della fisica dello stato solido, la mamma dei computer digitali, che le leggi fondamentali sono tutto meno che fondamentali e che invece derivano dal comportamento organizzato di grandi insiemi statistici di elementi, sono insomma conseguenze di ‘principi organizzativi collettivi della materia’ e non cause prime. Insomma sono leggi si’, ma deliberate da assemblee (come le leggi che regolano gli stati) e non preesistenti ed inesorabili, qui le assemblee sono costituite da elettroni o atomi e non da parlamentari ma, proprio come le leggi umane, dipendono da maggioranze e minoranze variabili e quindi dalle condizioni al contorno.
Il Nobel assegnato nel 1983 al fisico tedesco Klaus von Klitzing per il cosiddetto ‘Quantum Hall effect’ derivava dal fatto che questo scienziato aveva dimostrato che la costante di Planck (h), il quanto supposto indivisibile di carica elettrica (e) e la velocità della luce (c ) , ritenuti tutti e tre elementi fondamentali dell’ Universo potevano essere derivati come CONSEGUENZE della magnetizzazione dei semiconduttori (il materiale di cui sono fatti i computer), questa può essere considerata la data di inizio di una visione del mondo completamente ribaltata rispetto a quella prevalente negli ultimi trecento anni, altro che leggi inesorabili, altro che morte della scienza di base! (a proposito il Nobel del 1998 a Robert Laughlin era stato dato dalla scoperta che il quanto di carica elettrica indivisibile non era).
 
Le neuroimmagini ci consentono di scovare le basi neurali dei sentimenti. La spettroscopia NMR (Nuclear Magnetic Resonance) è una tecnologia molto potente che si presta a svariate applicazioni che vanno dalla diagnosi di malattie fino alla determinazione delle strutture proteiche. Un’applicazione di particolare interesse biomedico è la cosiddetta Risonanza Magnetica Funzionale in cui, invece di andare ad indagare lo stato di strutture anatomiche (ad esempio la presenza di masse tumorali) si studiano segnali variabili nel tempo come il maggiore o minore flusso sanguigno in una zona del cervello. Questo è di per sé di grande aiuto per moltissime applicazioni mediche e il suo sviluppo è un piccolo capolavoro di scienza artigianale sfruttando in maniera ingegnosissima delle variazioni della molecola dell’emoglobina quando è ossidata (e quindi trasporta ossigeno). In questo modo è possibile individuare le aree metabolicamente più attive di un tessuto con ovvi vantaggi in termini di identificazione di lesioni ecc. Questo chiaramente si può fare anche con il cervello e la tentazione di andare ad investigare le aree cerebrali più attive a seguito di differenti stimoli ha generato un’intera branca di ricerca il cui scopo è di fornire ‘le immagini cerebrali dell’ansia, della bontà, della bugia…’ e quindi ridurre le emozioni umane a flussi sanguigni e aree cerebrali potenzialmente controllabili e modificabili. Ora l’intera baracca non sta in piedi (fermo restando chiaramente il prezioso contributo di questa scienza per quel che riguarda lo studio di lesioni neurologiche, patologie tumorali ecc.) per una serie di motivi sia fisici che di logica della scoperta, iniziamo da quelli fisici:
1)      Il limite temporale di risoluzione di questa tecnica è di vari ordini di grandezza più grossolano di quello rilevante per i fenomeni elettrici del cervello che sono alla base del pensiero, insomma è come cercare di inseguire un jet con una bicicletta.
2)      La variabilità interindividuale è cosi’ grande che mappe stabili di ‘emozioni’ e ‘sentimenti’ si possono ottenere solo mediando su decine e decine di casi, per cui le mappe medie ottenute in realtà non rappresentano nessun individuo reale ma solo una inesistente astrazione statistica.
3)      Gli studi sul legame fra attivazione metabolica ed esecuzione di semplici compiti NEL TEMPO DA PARTE DI UNO SPECIFICO SOGGETTO (gli unici seri in questo campo) mostrano che già è impossibile seguire un compito standard come la numerazione silenziosa da parte del soggetto, si arriva semplicemente (ed a prezzo di grandissime difficoltà) a seguire un po’ rozzamente compiti come muovere aritmicamente un dito che sono limitati a specifiche aree cerebrali…figuriamoci concetti piuttosto vaghi come altruismo o paura.
 
C’è poi un limite logico a cui sono debitore al mio amico Leonardo Becchetti per avermelo fatto notare e cioè ‘E’ sicuramente vero che se uno si ubriaca gli diventa il naso rosso, ma non è che uno si ubriaca perché gli diventa il naso rosso’ Bellissimo e definitivo, sicuramente meglio dei miei ragionamenti da fisico.
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