Forse si vuole qualificare la gravidanza come una malattia? Ma così surrettiziamente si amplifica la prassi distorta con cui in questi anni si è applicata la legge 194. Nella legge sull’interruzione volontaria della gravidanza, l’aborto è “l’extrema ratio”, l’intervento dello Stato che, davanti a una serie di condizioni, preferisce che non si rischino situazioni di clandestinità dannose per la salute della donna, ma che il tutto avvenga in una struttura sanitaria. Prima di procedere con l’intervento abortivo, la legge prevede alcune misure di dissuasione, che si concretizzano in dialoghi, offerte di possibili alternative all’aborto, purtroppo mai adeguatamente attuate, nonché un periodo di ulteriore riflessione lungo un’altra settimana. Con la Ru486 succede qualcosa di molto diverso: si tratta di un meccanismo rapido, da realizzarsi entro la settima settimana a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione, dunque sottratte le quattro settimane in cui non si sa di essere incinta, in appena venti giorni si deve verificare lo stato di gravidanza, poi recarsi in una struttura per ricevere informazioni, quindi chiedere l’interruzione, poi far decorrere la settimana di ulteriore riflessione, e, infine, effettuare la pratica dell’aborto chimico. Come verrà conciliata questa drammatica lotta contro il tempo con l’impalcatura della legge 194, che invece richiede ponderazione, riflessione e strumenti di dissuasione per una scelta che segnerà tutta la vita di chi la compie? La legge 194 procede secondo binari diversi, parla di degenza, è progressiva, dovrebbe essere dissuasiva. Con l’aborto chimico, mal sintetizzato con l’espressione “assunzione di una pillola”, entra prepotentemente nel nostro ordinamento una tecnica che per la sua apparente semplicità si presenta come facile “via d’uscita” già nel momento del rapporto sessuale, nel caso in cui provochi una gravidanza “indesiderata”. Si ribalta la 194 rendendola base normativa per utilizzare l’aborto contro le nascite di esseri umani: questo è vietato proprio dall’art. 1 della legge. Oltre il fatto già sottolineato della differenza temporale, i tre mesi della 194, i 49 giorni complessivi per l’aborto chimico della pillola Ru486, nell’attuale legge si disciplina l’”intervento” operatorio abortivo praticato dal sanitario, mentre ora il medico deve solo prescrivere la pillola e osservarne gli effetti: attenzione nel nostro ordinamento è considerata reato qualsiasi procedura abortiva non conforme ai contenuti dettagliati descritti nella 194. Se, poi, si riuscisse comunque in quest’opera creativa di inserimento dell’aborto chimico nella 194, allora sarà opportuno ripensare gli interventi di prevenzione, attraverso una riforma del sistema dei consultori volta alla tutela della vita nascente, la dissuasione dell’aborto e l’offerta di alternative, evitando che il consultorio funga solo da iter formale della procedura abortiva, che lo ha reso in questi anni un semplice passaggio burocratico.
Perché la Ru486 contrasta con la legge 194
L’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha il compito di verificare l’idoneità dei farmaci con riferimento alla tutela della salute. La Ru486, lungi dall’essere un farmaco, è un prodotto chimico che mira all’annientamento di un essere umano: è davvero coerente con i suoi compiti che l’Aifa discuta se e come autorizzarne l’uso?
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