Ieri pomeriggio mi squilla il telefono al lavoro verso le quattro del pomeriggio, è il nostro Alessandro Orofino che mi chiede se ho letto sulla Stampa on-line nella rubrica di scienze l’annuncio della scoperta dei geni della felicità e se mi andava di commentare la notizia.

In maniera un po’ sgarbata gli rispondo che no, non l’ho letto e che comunque di scoperte di geni della felicità ne ho viste almeno una cinquantina e che l’unico commento che si può fare a queste notizie sarebbero delle bastonate al giornalista senza profferire parola come i maestri Zen nel Giappone medievale con quei discepoli ostinatamente legati ad una razionalità chiusa.
Ma mentre facevo questo commento un po’ sprezzante mi sono pentito ed ho pensato che magari una disamina esauriente di questo caso poteva dare ai nostri lettori dei buoni anticorpi contro queste bufale, ed allora eccomi qui, davanti al computer la mattina dopo, con a sinistra il commento della Stampa ed alla mia destra l’articolo originale degli psicologi sperimentali australiani e scozzesi (Weiss A., Bates T.C., Luciano M. (2008) Happiness is a Personal(ity) Thing, the genetics of personality and well-being in a representative sample, Psychological Science 19 (3): 205-210).
Già dal titolo ‘..la felicità è questione di personalità..’ si capisce che il senso è molto diverso dal volgarissimo ‘Scoperti i geni della felicità, nel DNA la chiave per sorridere alla vita’, con l’immancabile attacco ..nel DNA è scritto..della Stampa. Insomma a ben vedere nell’articolo originale non si parla affatto di geni della felicità ma di qualcosa di molto diverso. Potrei raccontarvelo in poche battute ma credo valga la pena andare a fondo in quanto questo è un caso paradigmatico di come i mezzi di comunicazione di massa (non solo italiana, lo stesso articolo della Stampa era presente in tutte le agenzie internazionali) distorcano (a voi decidere lo scopo, io propendo alternativamente tra la pura sciatteria ed il disegno idolatrico e demoniaco) l’informazione scientifica e di come l’informazione scientifica sia ben contenta di farsi distorcere (insomma i giornalisti li hanno chiamati i ricercatori).
Per andare a fondo ho bisogno di spazio, il quale spazio sarà ordinato in tre sessioni: 1) un glossario in cui riporterò delle definizioni essenziali per capire i termini della questione, 2) un breve riassunto dell’articolo scientifico reale, 3) un confronto tra cosa emerge dall’articolo e quanto scritto dalla Stampa.
 

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  1. Glossario
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DNA = acronimo per acido desossiribonucleico, e’ un polimero (molecola ottenuta per giustapposizione lineare di elementi di base detti monomeri, una parola è un polimero i cui monomeri sono le lettere) biologico costituito dalla giustapposizione di 4 monomeri fondamentali (nucleotidi) indicati con le lettere A, G, C, T.
Questi monomeri hanno la caratteristica di appaiarsi in maniera molto rigorosa tra filamenti adiacenti, per cui ogni C si appaia solo ed esclusivamente con una G ed ogni A con una T (se tutto va bene, ma nel 99.99% delle volte va bene). Questo appaiamento preferenziale fa si che un filamento di DNA del tipo AAGGC si appaierà con un filamento TTCCG. Due filamenti di DNA appaiati formano la famosa ‘doppia elica’ che si vede un po’ dovunque come simbolo della scienza e della vita (che noia). Comunque sia, questa proprietà di appaiarsi in modo preciso fa si che il DNA si possa duplicare fedelmente (e quindi trasmettere l’eredità genetica da generazione a generazione) in quanto ciascuno dei due filamenti appaiati può dar vita (tramite una serie di reazioni enzimatiche piuttosto complicate ma insomma badiamo all’essenziale) al suo complementare. Alla fine di questo processo di duplicazione avrò due doppie eliche identiche.
Una molecola di DNA consta di due sequenze appaiate di milioni e milioni di nucleotidi (il mitico genoma umano), una piccola percentuale, attorno al 5%-10% di questa sequenza (non contigua, un po’ qua, un po’ là lungo il filamento) viene usata dalla cellula per codificare le sue proteine che sono poi quelle che effettivamente fanno il lavoro biologico, che a ben vedere è quello di operare delle reazioni chimiche in modo molto specifico e controllato nello spazio e nel tempo. Quando parliamo di geni di solito parliamo di singoli elementi di questa porzione ‘codificante’ che hanno in sè l’informazione importante per produrre una particolare proteina.
Cosa combini il restante 95% di DNA non lo sappiamo, ci sono molte ipotesi contrastanti, ma le cose sono piuttosto oscure.
 
Gene = La proprietà di appaiamento del DNA fa sì che possa essere letto ma non solo per duplicarsi interamente come nella riproduzione cellulare, di solito viene letto da altri enzimi detti RNA-polimerasi che, come dice il nome, non producono un altro filamento di DNA completo, ma tratti di un’altra molecola molto simile detta RNA (acido ribonucleico) anche lui appaiantesi con le regole viste prima con piccole differenze (al posto di T (timidina) abbiamo un altro monomero che si chiama U (uracile), ma insomma la pappa è la stessa, una sequenza AAGGG di DNA viene trasformata in una sequenza UUCCC di RNA).
Questo filamento di RNA viene poi ‘tradotto’ in proteina da un macchinario molecolare estremamente affascinante che ad ogni tre nucleotidi ‘appaia’ un aminoacido (il mattone fondamentale di quegli oggetti che si chiamano proteine e che sono il principale oggetto di studio del vostro redattore scientifico). Le proteine sono a loro volta dei polimeri formati dalla giustapposizione di 20 monomeri (aminoacidi). Le proteine si ripiegano nel solvente in modo fantasioso e bizzarro (non come la lunghissima e noiosa doppia elica) e funzionano come delle vere e proprie macchine molecolari agitandosi, cambiando configurazione, spostandosi nello spazio e catalizzando reazioni chimiche che altrimenti avverrebbero in tempi lunghissimi ed impossibili per la vita.
 
Robustezza dei sistemi biologici = Diamo per buono (solo da poco abbiamo scoperto che non è cosi’, ma a questo livello possiamo far finta di niente) che ad ogni gene corrisponda una sola proteina. Le proteine vanno da una cinquantina di aminoacidi (e quindi 50×3 = 150 nucleotidi corrispondente ad un minuscolo settore del DNA) a circa un migliaio, con due o tre mostri da 10000 residui aminoacidici (ma sempre insignificanti rispetto alla lunghezza del genoma). A spanne abbiamo circa centomila specie principali di proteine, ciascuna fa un suo lavoro che può consistere nel trasformare una piccola molecola organica in un’altra, nel trasportare ossigeno (l’emoglobina), nel costruire membrane cellulari…
Se un gene è mutato (accade più o meno in un caso su un milione), cioè la sua sequenza di monomeri ha qualche errore per cui una o più lettere sono sostituite da altre, la proteina corrispondente potrà avere un aminoacido al posto di un altro (non necessariamente, il codice genetico è infatti detto degenere, ho 64 combinazioni da tre lettere per soli 20 aminoacidi per cui la mutazione di un nucleotide potrebbe non cambiare il senso del messaggio..). Questo nella gran maggioranza dei casi (circa il 75%) non provoca nulla, la proteina fa lo stesso il suo lavoro anche se non è costruita perfettamente, magari non lo fa benissimo, ma lo fa…In altri casi invece la proteina non è funzionale, il suo lavoro proprio non riesce a farlo, anche in questo caso di solito (90% dei casi) all’organismo non succede nulla, in quanto c’è un’altra proteina che ‘vicaria’ quella difettosa. Può invece succedere (nel 5% dei casi circa, vedete come man mano scendiamo in probabilità, questo è il 5% di quel 25% di quel 10% di proteine con guasti seri non vicariate) che di quella proteina non si possa proprio fare a meno ed allora ? Nel caso di organismi superiori, nella gran parte di questi casi proprio non si nasce, ci si ferma durante lo sviluppo embrionale nei primissimi stadi, 4 –8 cellule. Ma se dopo tutti questi filtri (vedete come siamo bassi ?) si nasce lo stesso, cosa avviene al mutante ? La sua proteina difettosa gli provocherà dei guai più o meno seri, sono le malattie genetiche, ognuna estremamente rara (e capiamo perché), si va dalla distrofia, al cosiddetto favismo, a vari tipi di ittero…
Ora questi problemi avvengono per cause scatenanti molto specifiche (tutto sommato è una sola proteina ad essere difettosa) ed acute, completamente differenti da caratteri complessi come l’altezza o l’intelligenza (qualsiasi cosa sia) dove in gioco di proteine ce ne sono migliaia ad interagire. Quando studiamo questi caratteri complessi non ha quindi senso cercarne ‘i geni’ per il semplice fatto che sono talmente tanti e tutti ‘modulati’ in maniera continua che le possibili combinazioni da studiare per capirci qualcosa sarebbero talmente tante che dovrei analizzare tutti gli abitanti del pianeta per fare dei gruppi sperimentali che tengano conto delle varie possibilità.
 
Studi con gemelli = Può avvenire che un singolo gene (ad esempio quello che provoca la fenilchetonuria) se non ci accorgiamo in tempo che è mutato e diamo quindi al bambino da subito alimenti che non contengono la molecola per cui manca il gene per digerirla, può provocare gravi ritardi mentali. Ma questo non vuol dire che il gene della fenilchetonuria è il gene dell’intelligenza, sarebbe come dire che siccome se non posso camminare e quindi non posso obbedire a chi mi dice di spostarmi, allora le gambe sono importanti per sentire. Il fatto che abbiamo a che vedere con migliaia di geni (interagenti) ci obbliga ad usare i gemelli come sistema sperimentale per studiare le basi ereditarie di caratteri complessi, altrimenti potremmo semplicemente prendere due gruppi di individui qualsiasi in cui il primo è formato da individui con il gene A nella sua forma ‘giusta’ (wild type, forma selvaggia) il secondo da soggetti con il gene A nella sua forma mutata e studiarne le differenze.
Nel caso dei gemelli monozigoti (cioè derivanti da un solo evento di fecondazione in cui l’embrione in uno stadio molto primitivo di sviluppo si è diviso in due) i due elementi della coppia condividono l’ intero patrimonio genetico; nel caso di gemelli di zigoti invece i due elementi della coppia hanno un patrimonio genetico differente derivando da due eventi fecondativi separati. A questo punto osservare che i gemelli monozigoti sono ‘più simili fra di loro’ per un certo carattere rispetto ai gemelli di zigoti è l’unica strada praticabile per stimare in maniera quantitativa ‘quanto c’entra la genetica’ con il carattere a cui sono interessato. Attenti però, quanto c’entra la genetica, non vuol dire ‘quali sono i geni’ quello non lo saprò mai in questo modo, proprio perché sono talmente tanti ad essere coinvolti in quel carattere complesso che non è possibile separarne i singoli effetti. Quindi il fatto stesso che uso i gemelli (ed in particolare il confronto fra gemelli monozigoti e di zigoti altrimenti i due potrebbero essere simili solo perché hanno avuto un’educazione simile, un’ alimentazione simile ecc.) significa che non sono nelle condizioni di individuare il ‘gene della felicità’ o di chicchessia, allora la menzione dei gemelli nell’articolo sulla Stampa è automaticamente incompatibile con il titolo ed il tono dell’articolo. Ma qui la cosa è ancora più grossolana la frase presente nell’articolo della Stampa La ricerca sui gemelli consente agli studiosi di identificare i geni in comune tra i due fratelli’  da quanto detto è assolutamente paradossale, semplicemente la risposta è che non c’e bisogno di ricercare niente, essere gemelli significa avere TUTTI I GENI IN COMUNE e basta li’. Ora lascio al lettore le ipotesi sul perché si debbano leggere queste cose dementi (..che tristezza).
 
Misura della concordanza = La misura della concordanza di due caratteri tra due elementi di una coppia avviene con il calcolo del cosiddetto coefficiente di correlazione. A questo punto il lettore sarà abbastanza stanco (ed è un peccato perché questa sarebbe a mio parere la parte più affascinante del glossario) per cui gli risparmio la matematica. Comunque la faccenda va più o meno cosi’: immaginiamo di misurare la grandezza X in 5 coppie di gemelli monozigoti e chiamiamo gli elementi della coppia A1-A2, B1-B2, C1-C2, D1-D2, E1-E2. Ora se la grandezza X (altezza, peso, intelligenza, sfiga..) è ereditabile ed A1 avrà valori relativamente alti di X allora mi aspetto che anche A2 sia piuttosto alto, allo stesso modo se B1 è basso, anche B2 mi aspetto che sia basso e cosi’ via… Bene, questo significa che l’ordine in cui compaiono (dal più basso al più alto) gli elementi 1 ( B1, E1, C1..) della coppia sia molto simile (o identico) all’ordine in cui compaiono gli elementi 2. Il massimo di concordanza (i due ordinamenti sono completamente identici) porta ad un coefficiente di correlazione uguale ad 1, la completa indipendenza dei due ordinamenti ad un coefficiente pari a zero (vi risparmio come si misura quanto due ordinamenti distino dalla completa sovrapposizione ma la cosa è piuttosto intuitiva). Il quadrato del coefficiente di correlazione mi dice quanta parte della variabilità (cioè del fatto che un individuo è diverso dall’altro) sia spiegata dal legame fra gemelli, per cui un coefficiente di correlazione di 0.80 mi dice che il 64% di quella grandezza (8X8 = 64) è legato alla concordanza fra gemelli.
Ora rifaccio lo stesso gioco con coppie di gemelli di zigoti, immaginiamo di aver ottenuto un coefficiente di correlazione di 0.60, questo corrisponde ad una percentuale di variabilità spiegata dalla concordanza del 36% (0.6 al quadrato). Quanta è allora la quota parte di questo carattere sicuramente attribuibile alla genetica ? Semplice: 64-36 ! Cioè la differenza fra la concordanza osservata fra coppie di gemelli monozigoti e coppie di gemelli di zigoti, insomma il nostro carattere è spiegato dalla genetica (non dal gene pincopallino, dalla genetica, dalla comunanza dell’intero patrimonio genico) per il 18%. E’ una stima conservativa (tutto sommato anche i due gemelli di zigoti hanno più geni in comune di due tizi qualsiasi) ma l’unica seria in quanto elimina tutti i fattori di confondimento.
 
Ora la lettrice ed il lettore possono affrontare il lavoro scientifico (ma perché il redattore della Stampa no ? Perché qualcuno di voi non gli spedisce questa cosa ?).
 

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  1. L’articolo scientifico di Weiss e colleghi
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Scopo dichiarato dell’articolo è quello di vedere se lo stato di benessere (well being) percepito dalle persone può avere una base genetica e specificamente se questa base genetica è la stessa che influisce sui tratti di personalità. In altre parole l’ ipotesi dei ricercatori è che la personalità del soggetto influenzi il suo grado di benessere percepito e quindi, in ultima analisi, di felicità.
La personalità di un soggetto si può stimare con un test a domande e risposte del tipo di quelli che troviamo sui settimanali, il test accettato si chiama MIDI e classifica le persone assegnando a ciascuno ( a seconda delle risposte date al test) 5 punteggi per cinque fattori di personalità denominati: Essere Nevrotici (Neuroticism), Estroversione (Extroversion), Consapevolezza (Concientiouness), Apertura (Openness), Condiscendenza (Agreeableness).
Altri studiosi hanno scoperto su studi molto grandi su gemelli che questo punteggio (globalmente chiamato FFM acronimo per Five-Factor Model modello a cinque fattori) è ereditabile al 50% (..ecco da dove viene il malefico 50% di ereditabilità della felicità presente nell’abietto trafiletto della Stampa, ma qui ad essere ereditabile al 50% non è la felicità ma la personalità). I nostri allora vogliono vedere se qualcuno dei cinque fattori di personalità e’ correlato con la felicità percepita. Prendono allora 365 coppie di gemelli monozigoti (più o meno equamente divise in coppie maschili e femminili) e 608 coppie di gemelli di zigoti e ne intervistano telefonicamente gli elementi con tre domande sul loro grado di benessere percepito, insieme somministrano loro il test e quindi ottengono per ogni soggetto i 5 valori dei punteggi di personalità.
A questo punto correlano tramite il coefficiente di correlazione il grado di felicità percepito con ciascuno dei singoli fattori, come abbiamo visto nel glossario la correlazione viene calcolata separatamente nelle coppie monozigoti e di zigoti per poi confrontare i valori ottenuti.
Solo due fattori risultano correlati in maniera significativa con il grado di benessere e cioe’ il fattore ‘essere nevrotici’ (piu’ nevrotici meno felici) e quello estroversione (più estroversi più felici). Ora non è che questo risultato ci sorprenda più di molto se vediamo di cosa è fatto il fattore nervosismo e il fattore estroversione. Allora si è molto ‘nevrotici’ se si è assegnato un punteggio alto (mi ci identifico molto) alle seguenti definizioni del nostro carattere: malinconici (moody), worrying (lamentosi), nervous (nervosi), mentre si è molto estroversi se si è assegnato un punteggio alto alle definizioni : amichevole (friendly), vitale (lively), chiacchierone (talkative). Insomma qui ci stanno dicendo che chi è amichevole, bonario, aperto verso il mondo di solito dice che è felice, mentre chi si definisce malinconico, lamentoso e nervoso di solito dice che è infelice ? Caspita, ma c’era bisogno di tanto studio ? Evidentemente si’, ma comunque siccome la felicità va e viene e fortunatamente anche ai malinconici ogni tanto la vita sorride (e meno male) la correlazione fra i fattori nevrosi ed estroversione e la percezione di felicità non è altissima essendo pari a 0.52 e 0.23 per monozigoti e di zigoti per ciò che riguarda il fattore nevrosi ed a 0.45 e 0.13 per monozigoti e di zigoti per ciò che riguarda la relazione fra felicità percepita ed estroversione.
Ora facciamoci due conti, applicando quanto appreso dal glossario. Facciamo dunque il quadrato dei valori di correlazione, calcoliamone la differenza tra monozigoti e di zigoti, dividiamo la differenza per due (ricordate solo il 50% della personalità è ereditabile) ed avremo la risposta (lasciamo al lettore la dimostrazione) e cioè che l’estroversione ha il 9% di componente genetica e l’essere nevrotici l’11%..altro che 50% !
Ma insomma tutto ciò è perfettamente legittimo, le cose si tengono, apprendiamo una cosa che le nostre nonne sapevano benissimo ma insomma nessun male, poi certo uno statistico maligno potrebbe trovare parecchie falle nello studio…ma insomma diciamo che se dimezziamo circa quel 9% ed 11% non dovremmo essere molto lontani dal vero…passiamo ora al perfido…
 
3. Trafiletto della Stampa:
 
Qui partiamo alla grande (i lettori sono invitati a collegarsi all’inserto scienza del numero del 5 Marzo del giornale torinese ), addirittura la figura riporta un molecolone immenso di DNA che circonda il mondo, insomma ‘il DNA che tutto guida, che tutto vede, poi le banalità sul fatto che la felicità è scritta nei geni (allora perché lamentarsi, accettate il verdetto della scienza, caproni ignoranti, non è che la nostra società vi fa fare una vita schifosa, sono i geni) ma insieme la promessa sottintesa di riscatto ‘il gene della felicità..’ ma se è un gene si potrà cambiare, rimuovere, al limite far nascere un figlio col gene giusto, fidatevi degli scienziati che hanno tutto sotto controllo..diamine !
Poi la bugia si dosa (vabbè se dico che il 100% della felicità si eredita non mi crede nessuno..quanto possiamo fare ?) ma dai il 50% cosi’, come ogni mistificazione che funziona ci si apre la strada per ritrattare, tutto sommato un 50% nell’articolo c’era, era riferito alla personalità, ma chi vuoi che vada a vedere !
Poi infine la carezzina bonaria del ricercatore papà con il suo accenno alla ‘riserva di adattamento’ che ci lasciano i nostri genitori…ma che melensaggine!
Vabbè amici, il confronto ora ve lo potete fare da voi…non mi fate dire cose brutte, tanto più che il redattore scientifico della Stampa non ha delle colpe particolari, ho dato un’occhiata sul Web ed il tono era praticamente identico dal giornale indiano a quello americano o di Singapore, anzi a volte identiche erano proprio le parole…
Di questi tempi affannati credo che si abbia solo il tempo di andare nel web, trovare qualcosa di molto ripetuto in giro e voilà mettere anche i nostri lettori al corrente…non è che vogliamo rimanere dei provinciali, no ?
 
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