in Italia la disuguaglianza non dovuta all’istruzione è fortemente correlata con le origini familiari. Ne segue che nel nostro paese, più che in altri, l’influenza familiare non si esaurisce con il completamento della formazione scolastica ma si manifesta anche dopo, incidendo sulle carriere lavorative. La bassa mobilità sociale è un fenomeno complesso che riflette molti altri ‘mali sociali’. Contrastarlo non è semplice, ma è possibile. Per farlo occorre, però, avere ben chiaro di cosa si tratti, e quali obiettivi si vogliano raggiungere

L’affermazione che la mobilità sociale intergenerazionale in Italia è bassa – o, con espressione più evocativa, che l’ascensore sociale è bloccato – può avere due accezioni che un po’ rozzamente possono si possono sintetizzare così: 1) “oggi i figli (e le figlie) stanno peggio dei loro genitori”; 2) “oggi i ricchi sono soprattutto figli dei ricchi e i poveri figli dei poveri”.

Si tratta di due fenomeni distinti, che però possono verificarsi assieme: i figli e le figlie (molti, non tutti) possono stare peggio dei propri genitori e, al tempo stesso, possono essere ricchi o poveri perché lo sono stati i loro genitori. In Italia sono presenti entrambi. In media, i giovani entrati nel mercato del lavoro negli ultimi dieci anni percepiscono un reddito più basso di quello percepito dai loro genitori all’epoca del loro ingresso nel mercato del lavoro e, inoltre, la posizione che i figli e le figlie occupano nella graduatoria dei redditi della loro generazione (da cui molto dipende la loro collocazione tra i ricchi, i poveri o nella  “classe media”), è fortemente influenzata dalla posizione dei loro genitori nella corrispondente graduatoria della propria generazione.  In particolare, secondo i più accreditati studi internazionali in Italia la mobilità sociale, in questa accezione, è una delle più basse nel confronto internazionale (al pari di Gran Bretagna e Stati Uniti) e assai inferiore a quella di paesi come la Danimarca, il Canada o l’Australia [1].

Pur verificandosi contemporaneamente, i due fenomeni sono diversi, hanno cause piuttosto diverse e gli interventi per contrastarli sono largamente diversi.  Prima di procedere, sottolineo che mi sto riferendo, come è d’uso tra gli economisti, al reddito come variabile cruciale per i confronti tra generazioni e per la valutazione della mobilità sociale. Altre variabili potrebbero essere, pertinentemente, utilizzate sia economiche (ad esempio la ricchezza [2]) sia non strettamente economiche (ad esempio gli status occupazionali prediletti dai sociologi).  Il reddito merita, comunque, un posto di rilievo.

Venendo, brevemente, alle cause delle due forme di (scarsa) mobilità sociale, rispetto alla prima un ruolo decisivo è svolto dai tassi di crescita dell’economia. Quando, come è il caso dell’Italia da molti anni, sono prossimi allo zero, è facile che molti giovani finiscano per stare peggio dei propri genitori. E tanto più sarà così se i magri benefici della crescita si concentrano in poche mani come avviene quando la disuguaglianza è alta, e nel nostro paese lo è. Dunque, gli ostacoli principali in questo caso sono la bassa crescita economica e l’alta disuguaglianza nei redditi.

La scarsa mobilità, nella seconda accezione, può avere cause numerose e complesse. In generale, il loro tratto comune è di costituire violazioni di quella forma di eguaglianza considerata, pressoché unanimemente, desiderabile: l’eguaglianza nelle opportunità. Tali violazioni fanno sì che il destino dei figli dipenda largamente dalle condizioni economiche della famiglia di origine; dunque, la ‘lotteria della natura’ si impone all’impegno e ai meriti di ciascuno, permettendo alla disuguaglianza che vi era tra i genitori di persistere tra i loro discendenti, deludendo chi nutre un’idea diversa di società progressiva, lontana dagli aspetti peggiori dell’antico regime.

Nella ricerca delle cause, l’attenzione si è concentrata, in misura predominante sui redditi da lavoro e sul ruolo dell’istruzione (per gli economisti largamente coincidente con il ‘capitale umano’).  Gli assunti che permettono di considerare cruciale il ruolo dell’istruzione sono due: i) i figli dei ricchi sono più (e meglio) istruiti; ii) il grado e la qualità dell’istruzione determinano i redditi. Pertanto, le disuguaglianze di reddito dei genitori si trasformano in disuguaglianze di istruzione dei figli/e, che, a loro volta, diventano disuguaglianze di reddito, replicando (quanto meno nel segno, anche se non nella intensità) quelle che esistevano tra i genitori.

Il primo assunto appare incontrovertibile: in Italia, in modo particolare, l’istruzione dei figli dipende moltissimo dalla condizioni economiche della famiglia (e il basso numero di laureati ne è un’indiretta conferma). Il secondo assunto è fondato, ma occorre qualche precisazione, utile anche per definire le misure di contrasto.

Il grado di istruzione influenza indiscutibilmente le retribuzioni medie, ma vi è un’ampia quota di disuguaglianza nelle retribuzioni che non dipende dall’istruzione – si manifesta cioè a parità di quest’ultima.  Peraltro, in Italia la disuguaglianza non dovuta all’istruzione è fortemente correlata con le origini familiari. Ne segue che nel nostro paese, più che in altri, l’influenza familiare non si esaurisce con il completamento della formazione scolastica ma si manifesta anche dopo, incidendo sulle carriere lavorative. E vi sono numerosi indizi che spingono a collegare il vantaggio post-formazione al ruolo delle relazioni sociali – talvolta chiamate capitale relazionale. Anzi, questo sembra una peculiarità del nostro paese [3].

Questa breve analisi consente di delineare gli interventi in grado di migliorare la mobilità sociale. Se quest’ultima è intesa come progresso dei figli rispetto ai loro genitori e la variabile di riferimento è il reddito, la ricetta è relativamente semplice: occorre più crescita economica e meno disuguaglianza [4]. Se, invece, si vuole rendere il destino dei figli meno dipendente dalle origini familiari, occorre agire almeno su due versanti: quello della formazione e quello che potremmo chiamare della non-discriminazione di questi ultimi sul mercato del lavoro.

Aggiungo, senza poter approfondire, che se si considerassero anche altri redditi, oltre quelli di lavoro, gli interventi dovrebbero riguardare anche la trasmissione intergenerazionale della ricchezza e, quindi, il delicato problema delle imposte di successione.

Per eguagliare le opportunità nella formazione le ricette sono relativamente semplici: occorre, in vario modo, permettere agli svantaggiati di fruire di servizi formativi maggiori e migliori, facilitando, in particolare, il loro accesso alla formazione terziaria. Negli ultimi anni non si è andati in questa direzione; ad esempio, salvo errori, non sembra che alcuna delle varie riforme della scuola si sia seriamente proposta l’obiettivo di agevolare la formazione degli svantaggiati.

D’altro canto, in direzione opposta spinge la tendenza, da parte di molte scuole, a cercare e premiare ‘talenti’ in età sempre più precoce, magari ascrivendo poi a se stesse i loro successi nel proseguimento della propria carriera.  Alcuni ‘talenti’ per manifestarsi hanno bisogno, e non per loro colpa, di più tempo di quello che viene loro concesso da queste precoci selezioni. Ancora, favorire il formarsi di università considerate di ‘eccellenza’ soltanto in alcune aree del paese, senza peraltro prevedere misure che aiutino a superare i problemi anche economici di accesso che incontrano coloro che provengono da aree più svantaggiate, non aiuta l’eguaglianza delle opportunità e la mobilità sociale.

Contrastare la discriminazione dovuta principalmente alle relazioni sociali sul mercato del lavoro (privato e non soltanto pubblico) non è facile, soprattutto se si pensa al lavoro dipendente.  Una misura strutturale di qualche efficacia potrebbe essere quella che consiste nell’accrescere il grado di concorrenza (buona) nei diversi mercati in modo da limitare la possibilità di ‘remunerare’ le relazioni sociali piuttosto che le abilità produttive. Ma gioverebbe anche permettere ai giovani provenienti da background svantaggiati (ma che posseggono adeguato “capitale umano”) di accedere alla finanza necessaria per avviare iniziative indipendenti. Come è noto, le origini familiari oggi penalizzano questi giovani anche sotto questo aspetto e ciò contribuisce a rallentare la mobilità sociale.

In conclusione, la bassa mobilità sociale è un fenomeno complesso che riflette molti altri ‘mali sociali’. Contrastarlo non è semplice, ma è possibile. Per farlo occorre, però, avere ben chiaro di cosa si tratti, e quali obiettivi si vogliano raggiungere. Per questo occorre distinguere le due accezioni e assegnare alla seconda, forse un po’ sottovalutata, l’importanza che merita nella costruzione di una società dinamica, equa e anche democraticamente robusta.

 

 

 

Note

[1] Tra gli altri si veda Corak (2013) e, con riferimento specifico all’Italia, Franzini-Raitano (2018) in cui possono trovarsi le basi empiriche di molte delle affermazioni contenute nel testo.

[2] Per una stima della trasmissione intergenerazionale della ricchezza, si veda Bloise (2018).

[3]  Per approfondimenti di rimanda a Franzini et al. (2013), Raitano-Vona (2015),

[4] Un ricco elenco di politiche in grado di ridurre la disuguaglianza si trova in AGIRE (2018).

Riferimenti bibliografici

AGIRE (2018), Contro le disuguaglianze. Un Manifesto, Roma-Bari, Laterza, 2018

Bloise F. (2018), La ricchezza e la mobilità intergenerazionale in Italia: una stima, Menabò di Etica e Economia, n. 78 https://www.eticaeconomia.it/la-ricchezza-e-la-mobilita-intergenerazionale-in-italia-una-stima/

Corak M. (2013), “Income Inequality, equality of Opportunity, and Intergenerational Mobility”, Journal of Economic Perspectives, vol. 27, n. 3, pp. 79-102.

Franzini M., Raitano M. (2018b), “I redditi da lavoro e le origini familiari”, in Il mercato rende diseguali?, a cura di M. Franzini e M. Raitano, Bologna,  Il Mulino.

Franzini, M., Raitano, M., Vona, F. (2013), “The channels of intergenerational transmission of inequality: a cross-country comparison”,  Rivista Italiana degli Economisti, vol. 13, n. 2, pp. 201-226.

Raitano, M.,  Vona, F. (2015,  “Measuring the link between intergenerational occupational mobility and earnings: evidence from 8 European Countries”, The Journal of Economic Inequality, vol. 13, n. 1, pp. 83-102.

Tags:
Ti è piaciuto questo articolo? Condividilo!

FACEBOOK

© 2008 - 2024 | Bene Comune - Logo | Powered by MEDIAERA

Log in with your credentials

Forgot your details?