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“I nostri soci hanno perso molto in guerra, chi in prima persona e chi sulla pelle dei propri cari, il fatto che queste persone si siano unite, non solo per far valere i propri diritti, ma anche per mettersi al servizio della società e di quanti, dentro e fuori i confini nazionali, vivono le loro stesse sofferenze, è ammirevole, è ciò che ci motiva a lavorare ogni giorno” spiega il Presidente Vigne, egli stesso vittima civile di guerra poiché ferito da un ordigno bellico in giovane età. Gli abbiamo posto alcune domande per approfondire le attività dell’ANVCG e fare alcune riflessioni sull’attuale panorama di crisi internazionale.

Michele Vigne è il Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra, un’associazione che inizia ad operare all’indomani del Secondo conflitto mondiale ma che ancora oggi fa sentire la propria voce nel panorama nazionale ed internazionale, in rappresentanza delle vittime civili di guerra e delle loro famiglie.

 

Dopo l’800 tutte le guerre non sono più scontri di eserciti, ma vanno a coinvolgere le popolazioni civili. Perché?

È vero, i numeri dei civili morti nei conflitti è andato aumentando, oggi paradossalmente è più sicuro essere un soldato che un civile. Questo è accaduto perché, soprattutto dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, i conflitti si sono progressivamente spostati nei centri abitati, complice anche il fenomeno globale dell’urbanizzazione.

Vorrei fare due considerazioni su questo tema. La prima, che è sotto gli occhi di tutti noi che assistiamo ad una sorta di perpetua diretta via social del conflitto in Medio Oriente e in Ucraina, è che i civili pagano il prezzo più alto della guerra. Le immagini strazianti dei bambini penso che siano una sconfitta per ogni società che voglia definirsi civile. A Gaza dall’inizio del conflitto, sono rimasti feriti oltre 12.000 bambini; secondo l’Unicef solamente nei primi mesi del 2024 circa 1000 bambini e ragazzi hanno perso un arto per colpa dei bombardamenti o nelle operazioni chirurgiche rese necessarie dalle ferite. Stiamo parlando di intere generazioni spazzate via dalla guerra, che difficilmente potranno contribuire alla ricostruzione della propria patria se e quando termineranno le ostilità.

La seconda considerazione è una conseguenza logica della prima e riguarda il concetto stesso di vittima, che è molto ampio. Essere vittima non significa solo morire sotto le bombe, ma anche non poter accedere a cure sanitarie, non poter bere acqua potabile, non avere accesso al cibo, all’istruzione. Sempre parlando di Gaza, il 60% degli edifici nella Striscia è stato colpito. Vuol dire che non si trova più rifugio, nemmeno tra le macerie. Il 92% delle scuole è stato colpito, pregiudicando gravemente la possibilità di ripresa del sistema scolastico e quindi la resilienza di un popolo intero. In Ucraina, nelle zone sulla linea di contatto, si muore non solo per gli scontri, ma per malattie croniche facilmente gestibili come il diabete, o a causa di patologie che non hanno nulla a che fare con la guerra perché i servizi ambulatoriali di fornitura dei medicinali sono stati spazzati via.  Sono questi i cosiddetti effetti riverberanti della guerra e sono altrettanto letali.  Mettono un’ipoteca sul futuro di interi popoli e gravano la comunità internazionale del dovere morale della ricostruzione e di attivare qualsiasi sforzo per garantire i diritti negati. La verità è che per le popolazioni civili la guerra non termina con la fine delle ostilità.

 

Che ruolo giocano o potrebbero giocare i civili con e al di là delle sofferenze patite?

Posso rispondere, in parte, attraverso l’operato dell’ANVCG e dei nostri soci: le vittime civili di guerra di ieri si sono messe al servizio di chi vive in situazioni di conflitto oggi e non solo. Sono cittadini attivi su tutto il territorio nazionale e svolgono un instancabile lavoro di testimonianza, educazione alla pace e prevenzioni al rischio per ciò che riguarda gli ordigni bellici inesplosi. Molti dei nostri soci, infatti, sono rimasti feriti da bambini ritrovando ordigni bellici, io stesso ho avuto questo destino, fortunatamente con conseguenze non troppo limitanti. Ma ci sono storie assai più dolorose e sarebbe un errore pensare che questo sia avvenuto solo nel dopoguerra.

Due dei protagonisti della nostra vita associativa, Nicolas Marzolino e Lorenzo Bernard, due ragazzi meravigliosi, Consigliere nazionale e Presidente della Sezione di Torino il primo e Consigliere provinciale della stessa Sezione il secondo, sono rimasti feriti nel 2013 – quando avevano solo 15 anni – a causa di un ordigno della Seconda Guerra Mondiale. Entrambi hanno perso la vista e Nicolas anche la mano destra. Lorenzo ha appena portato a casa, insieme alla sua guida Davide Plebani, un bronzo in paraciclismo alle Paralimpiadi di Parigi. Una grande vittoria, ne siamo tutti molto orgogliosi. E Nicolas è un instancabile testimone, gira il Paese e parla con centinaia di studenti e non solo, per mostrare le conseguenze della guerra anche a distanza di decenni dal cessate il fuoco.

C’è poi la ricorrenza del 1° febbraio, la Giornata Nazionale delle vittime civili delle guerre e dei conflitti nel mondo – istituita con la legge 25 gennaio 2017, n. 9 – che è per noi l’occasione per sensibilizzare tutti sulle sofferenze dei civili in guerra. Ogni anno cerchiamo di puntare i riflettori su uno specifico tema. L’anno scorso abbiamo chiesto alle istituzioni di adoperarsi a livello internazionale per il rispetto delle convenzioni internazionali che garantiscono la protezione dei civili nei conflitti. Quest’anno, con i cruenti sviluppi dei conflitti nel mondo, faremo lo stesso. Abbiamo coinvolto, e coinvolgeremo ancora, centinaia di Comuni, cui abbiamo chiesto di illuminare di blu monumenti e Municipi, ma hanno partecipato anche le istituzioni centrali da Palazzo Chigi, Camera, Senato e i principali Ministeri.

Per concludere, le vittime civili di guerra italiane, nel corso del tempo, hanno compreso sempre di più̀ che nel tragico destino loro toccato, fatto di invalidità̀ subite o perdita di familiari cari, risiede non solo la possibilità̀ di essere testimoni concreti e autorevoli di esperienze dolorose ma anche la potenzialità̀, quasi il dovere civico, di diventare i più̀ credibili tra i promotori della pace, proprio in forza delle esperienze vissute.

 

È possibile costruire una cultura di pace super partes che non sia influenzata da ideologie e schieramenti politici?

Senz’altro, la pace è super partes, è un valore dal quale non si dovrebbe prescindere, al di là del colore politico. La nostra base associativa è estremamente eterogenea, ognuno ha la sua sensibilità e questa è una ricchezza; il fatto di essere poi tutti uniti nel nostro operare è un punto di forza.

L’Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra non manca mai di sottolineare che sotto le bombe, nelle stragi, nelle violenze, le persone sono tutte uguali, con pari dignità̀, e non devono esistere vittime considerate di serie A o di serie B, per motivi ideologici o ragioni politiche. Per proteggere i civili bisogna agire prima, in tempo di pace, cercando di costruire una società̀ in cui lo scoppio dei conflitti sia più̀ difficile, in cui le ragioni di chi vuole la guerra non possano trovare terreno fertile nella mentalità̀ dell’opinione pubblica. La divulgazione e la pratica della cultura di pace sono sempre state al centro della nostra attività̀ e dei nostri scopi, anche a rischio di apparire troppo “moderata” rispetto a chi usa la conflittualità̀ per mettersi in mostra.

 

Cosa può fare un giovane o un comune cittadino per collaborare con voi a questa costruzione di un futuro di pace?

Nelle nostre fila ci sono, oltre alle vittime civili di guerra e ai loro parenti, anche i Promotori di Pace che sono semplici cittadini che hanno deciso di sposare la nostra causa. L’ANCVG è presente su tutto il territorio nazionale con le sue sedi e queste figure ci supportano nelle tante attività. Gli studenti poi, che sono per noi un pubblico privilegiato, ogni anno hanno l’occasione di cimentarsi in un concorso scolastico nazionale legato alla Giornata del 1° febbraio, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione e del Merito, che gli chiede di esprimersi con scritti, opere grafiche o video su spunti legati alla condizione di vittima civile di guerra, di ieri e di oggi. La traccia di quest’anno nasce dalla nostra esperienza di vittime di guerra italiane. Per noi la guerra non è mai finita, perché i nostri affetti sono stati colpiti o ne abbiamo portato i segni sul corpo per tutta la vita. Allo stesso modo, anche le vittime civili di guerra di oggi soffrono quello che abbiamo sofferto noi e vogliamo alimentare nei ragazzi la dolorosa riflessione che per le vittime, il conflitto, con le sue tragiche conseguenze non finisce mai, anche dopo la fine delle ostilità.

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