Gli avvenimenti degli ultimi due anni e mezzo, con guerre che hanno iniziato a coinvolgere anche paesi dall’alta capacità militare, hanno purtroppo gettato le basi retoriche e politiche per una nuova corsa a riarmo. Le guerre, in realtà, erano già ben presenti nel mondo prima del febbraio 2022, in molti casi con impatti ancora più sanguinosi dei casi più visibili sui media principali. Ma non incrociavano i radar di una politica che invece ora, dopo anni in cui si cercavano di nascondere gli aumenti di spesa militare, vuole rivendicare le proprie scelte di investimento su armi ed eserciti. Ciò ha paradossalmente da un lato rimesso al centro richieste di disarmo, in quanto la minaccia di un conflitto su larga scala è percepita da tutti, ma dall’altro indebolito l’azione, le proposte e le prospettive in tal senso costruite dai movimenti pacifisti negli ultimi decenni.
Il rischio è quello di rimanere all’interno di una visione un po’ ristretta del disarmo, percepito come esclusivo contraltare alla corsa agli armamenti e quindi come scelta marginale e “di reazione”, ricercata solamente quando il pericolo di conflitto aumenta. Non è così e non deve essere così, perché in realtà è necessario pensare il disarmo come parte strutturale di scelte e politiche di Nonviolenza che hanno come obiettivo finale pieno la Pace. Non solo la riduzione, il tentativo di chiusura o anche solo la prevenzione della guerra. Una Pace che deve essere declinata nelle sue due definizioni principali (purtroppo ancora poco chiare ai politici di tutto il mondo): positiva e negativa (ancora: in stretti termini definitori e non di valore etico-morale…). La “pace positiva” può essere definita come l’insieme degli atteggiamenti, delle istituzioni e delle strutture che creano e sostengono società pacifiche e quindi intrinsecamente giuste. In altre parole è l’assenza di violenza strutturale, che si riferisce alle disuguaglianze sociali e agli aspetti delle strutture sociali o delle istituzioni che impediscono agli individui di soddisfare i loro bisogni fondamentali, cioè di avere un’esistenza sana. Questi concetti sono tratti in particolare dalle opere di Galtung. D’altra parte, la “pace negativa” è la basilare assenza di violenza diretta, cioè quella più esplicitamente visibile e agita tra persone: la guerra o l’abuso fisico.
Il disarmo è scelta strutturale di Nonviolenza perché proprio a livello sistemico va a spostare risorse, pensieri politici di scenario, rafforzamento di meccanismi da quelli propri della militarizzazione e del pensiero armato a quelli che permettono una crescita complessiva, armonica, positiva delle società. In pratica, dunque, le scelte di disarmo come conseguenza sia diretta che riverberante vanno ad alimentare tutte quelle dinamiche di “pace positiva” che fanno convergere in una società non solo gli elementi più propri di pace e Nonviolenza, ma anche tutti quegli sforzi di crescita socio-economica delle comunità in termini cooperativi e non competitivi.
Quanto il disarmo possa e debba essere una colonna portante della pace positiva ce lo dimostra in particolare la sua versione specifica riferita alle armi nucleari. Che sono da sempre la chiave di volta del militarismo in termini effettivi, di potenza distruttiva, ma anche in termini politici e retorici. Non è un caso che i cinque Paesi ufficialmente nucleari siano i membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e non è un caso che il possesso o meno di armi nucleari, o anche solo la collocazione sotto l’ombrello protettivo nucleare, differenzi l’agibilità politica sulla scena internazionale. E sia quindi anche un elemento agognato da coloro che vogliono ricavarsi un ruolo di potenza su tale scenario. Una potere basato però sulla prevaricazione. Invece la riduzione degli armamenti nucleari fino alla loro messa al bando avrebbe degli effetti davvero vantaggiosi sui percorsi di pace positiva (e anche, immediatamente, su quelli di pace negativa. Questo secondo aspetto verrebbe subito influenzato dalla messa al bando di tali ordigni di distruzione di massa perché qualsiasi uso di armi nucleari, sia intenzionale che causato da incidente o errore di calcolo, provocherebbe una massiccia perdita di vite umane e conseguenze umanitarie e ambientali catastrofiche. Che si estenderebbero per decenni e attraverserebbero le generazioni. L’eliminazione delle armi nucleari in sé sarebbe inoltre l’unico modo per eliminare anche i rischi collaterali, come gli attacchi informatici o le azioni di sabotaggio e propaganda che manipolano le informazioni ricevute dai decisori e li potrebbero portare a lanciare un attacco nucleare.
La proibizione delle armi nucleari stimolerebbe poi, ancora più compiutamente, una “pace positiva” in molte dimensioni. Le armi nucleari diffondono paura e sfiducia tra gli Stati, riducendo le opportunità di relazioni armoniose e politicamente stabili. La discriminazione è insita nella storia e nella dottrina di queste armi: gli Stati dotati di armi nucleari hanno ripetutamente testato le loro armi nucleari in colonie in cui si trovavano popolazioni indigene con legami ancestrali con le loro terre e acque. Per decenni, le popolazioni indigene sono state sfollate e trasferite, subendo conseguenze umanitarie devastanti, tra cui tumori, malattie mentali, ambienti e fonti alimentari irradiati. Inoltre, gli alti costi di produzione, manutenzione e modernizzazione delle armi nucleari sottraggono fondi pubblici all’assistenza sanitaria, all’istruzione, ai soccorsi in caso di disastri e ad altri servizi vitali. La rimozione delle armi nucleari elimina queste forme di violenza strutturale.
In questo scenario è dunque fondamentale cercare di costruire delle proposte politiche a onnicomprensive che mettano al centro il disarmo. Lo ha già fatto in maniera innovativa, primo politico di tale categoria ad averne avuto il coraggio, il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres con la pubblicazione nel 2018 della sua innovativa “Agenda per il Disarmo”. Che definisce quattro pilastri chiave con misure realizzabili nella pratica:
- Un Disarmo che salvi l’Umanità impegnandosi per un mondo libero da armi nucleari e altre armi di distruzione di massa
- Un Disarmo che salvi le vite umane mitigando l’impatto umanitario delle armi convenzionali e contro il loro accumulo eccessivo
- Un Disarmo per le generazioni future mantenendo il controllo delle armi e dell’intelligenza artificiale da parte degli esseri umani
- Un Disarmo basato sul rafforzamento dei partenariati e dei processi anche regionali che lo costruiscono
L’aspetto specifico del disarmo è stato poi anche inserito nella “New agenda for Peace” diffusa nel 2023 con una interconnessione sistemica resa visibile fin dal prologo di tale documento: “Il sistema di sicurezza collettiva che le Nazioni Unite incarnano ha registrato risultati notevoli. È riuscito a prevenire una nuova conflagrazione globale. La cooperazione internazionale – che spazia dallo sviluppo sostenibile, al disarmo, ai diritti umani e all’emancipazione femminile, all’antiterrorismo e alla protezione dell’ambiente – ha reso l’umanità più sicura e più prospera”.
Di disarmo si trova traccia, anche se ovviamente un po’ più fragile perché a quel punto sono intervenuti gli Stati con i loro interessi particolari, nelle pagine del “Patto per il futuro” recentemente votato alle Nazioni Unite di New York.
Siamo quindi a un evidente bivio perché cresce la consapevolezza di una centralità del disarmo nei percorsi di pace, ma ora occorre avere il coraggio di mettere in pratica delle scelte concrete. Che comunque sono già state politicamente tratteggiate sono basate su analisi solide: nessuno può dire che non esistano o non siano state formulate. Dunque è proprio per questi motivi che di fianco alla richiesta di una grande Conferenza internazionale di Pace, che possa risolvere gli squilibri mondiali e quindi avere un effetto positivo anche sui conflitti in corso, da tempo e movimenti per la pace e la Nonviolenza richiedono la celebrazione di una grande conferenza mondiale per il disarmo. L’ultima realizzata di questo tipo si è tenuta oltre trent’anni fa…
Un mondo che ha raddoppiato le spese militari in vent’anni non trovandosi più sicuro, ma più in guerra, dovrebbe capire la necessità impellente di questo passo.
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