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Come, in parte, anticipato nelle conclusioni al precedente articolo, il Governo, con il Consiglio dei Ministri del 23/09/2008, ha predisposto una serie di provvedimenti normativi in materia di immigrazione. Nello specifico si tratta di uno stanziamento finanziario, a mezzo di decreto legge, finalizzato alla realizzazione di dieci nuovi Cie (Centri di Identificazione ed Espulsione, ex Cpt) e di due decreti legislativi, dei tre precedentemente “concertati” con la Commissione europea…

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riguardanti nuove disposizioni sul diritto al ricongiungimento familiare e sulle procedure relative al riconoscimento dello status di rifugiato.
L’assunto da cui parte questo commento è di mettere in evidenza, ancora una volta, la grande armonia che sussiste tra l’Unione Europea e le politiche migratorie italiane, non tanto nelle dichiarazioni di intenti, quanto piuttosto nella effettiva gestione di alcuni aspetti cruciali di questo fenomeno. Questa particolarità, derivante soprattutto dal fatto che la gran parte del confine italiano corrisponde a quelle che, in virtù dell’adesione agli accordi di Schengen (l’Italia firma nel 1990 e ratifica con l. n. 388/93), vengono chiamate frontiere esterne dell’Europa, talune volte ha messo il nostro Paese nella condizione di essere sempre tempestivo, di adeguarsi rapidamente alle direttive comunitarie, in altre situazioni, il legislatore italiano ha potuto mettere in atto dei veri e propri precedenti giuridici nel panorama delle politiche migratorie europee.
 
Nel caso dello stanziamento di denaro pubblico per la predisposizione di 10 nuovi Centri di Identificazione ed Espulsione, oltre alla emblematica modifica del nome ( nel corso degli anni, da centri di accoglienza, a permanenza temporanea, fino all’attuale formulazione), si tratta di un provvedimento che si pone come risposta alla eccezionale ondata di clandestini intervenuta questa estate sulle coste italiane (ricordiamo che il clandestino si distingue, almeno nella terminologia, dallo straniero irregolare per il suo tentativo di attraversamento illecito delle frontiere, mentre il secondo è sprovvisto di regolare documento di soggiorno). L’istituzione di questi centri, avvenuta per la prima volta proprio con il d. lgs. n. 286/98 (la cosiddetta Turco-Napolitano) ha consentito all’Italia di adeguarsi ai parametri di Schengen proprio per quanto riguarda il controllo e la gestione delle frontiere esterne. Molte polemiche hanno alimentato il dibattito italiano in merito alle lunghe permanenze dei migranti che di fatto scaturivano e scaturiscono in vere e proprie detenzioni (detenzione amministrativa) e limitazioni di quelle libertà personali tutelate dal diritto internazionale, così come dalla nostra Costituzione. Nessuno, però, è stato mai in grado di mettere realmente in discussione la presenza e la funzionalità di tali strutture. Il passaggio, dal 2007 al 2008, da 14.200 a 23.600 sbarchi avalla, soprattutto al livello dell’opinione pubblica, questo stanziamento. È utile ricordare che, secondo le dichiarazioni del Ministro dell’Interno Maroni le strutture verranno predisposte in quelle regioni che ancora ne sono sprovviste.
 
Per quanto riguarda gli ultimi due provvedimenti e per una migliore percezione della vicenda legislativa, bisogna sottolineare che il decreto legislativo si caratterizza per la delega che il Parlamento da (le Camere decidono di non disciplinare una determinata materia, art. 76 Cost.) al Governo al fine di legiferare su materie tecniche e urgenti con provvedimenti aventi forza di legge. Nello specifico, successivamente alla positiva valutazione di congruenza con le fonti Ue, da parte della Commissione, si introducono misure restrittive per i richiedenti asilo, il che riguarda una grossa porzione di migranti che sbarcano in Italia attraverso le cosiddette “carrette del mare”, per i quali, una volta inoltrate le domande, si prevede la possibilità da parte del Prefetto territorialmente competente di imporre la permanenza in una struttura o, ove sussistano le condizioni, in un qualunque luogo di residenza. Provvedimento, questo, che interviene nella direzione di un maggiore controllo, sia delle presunte pratiche elusive, sia delle sopra menzionate frontiere esterne.  Da ultimo, le misure in materia di ricongiungimento familiare intervengono su quella parte della disciplina sull’immigrazione direttamente rivolta a quegli stranieri regolari che intendono stabilizzare il proprio nucleo familiare, formalizzando, ulteriormente rispetto al d. lgs. n. 05/07, la linea politica della direttiva  n. 2003/86/CE: “[…] Condizioni limitative all’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare per il coniuge, i figli maggiorenni ed i genitori; si richiede, soprattutto per gli ultrasessantacinquenni, la stipula di una assicurazione sanitaria, ovvero l’iscrizione del genitore al SSN. Anche qui, per evitare, i ricongiungimenti facili, diciamo così, solo per ottenere sussidi da parte dello Stato. Si prevede che il decorso del termine da quando viene presentata la domanda, non porti al silenzio assenso e quindi non comporti la concessione automatica del ricongiungimento […]”, (Conferenza stampa Ministro dell’Interno Maroni del 23/09/2008); e introducendo, altresì, un importante precedente giuridico nell’ambito delle strategie di controllo dell’area euro. Infatti, grande rilievo riveste l’introduzione del test del Dna, con spese a carico del richiedente, nel momento in cui l’autorità competente è impossibilitata a verificare la sussistenza del vincolo familiare.     
 
In particolare, su questi due temi, il diritto di asilo e la giusta considerazione dell’istituto del ricongiungimento familiare, è forte, per l’attuale Governo, la lacerazione con gli organi istituzionali del Vaticano che, il giorno dopo l’approvazione di tali dispositivi, non esitano a commentare: “con i provvedimenti in materia di immigrazione emanati nell’ultimo Consiglio dei Ministri, il Governo gioca al ribasso”( mons. Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio dei Migranti). Certamente, bisogna affermarlo, sembriamo essere lontani da una raggiunta maturità del dibattito all’interno della sfera pubblica, ancora troppo affollata di luoghi comuni e, nel complesso, educata a reagire in termini di difesa culturale rispetto ai profondi cambiamenti in atto nella società italiana. A mio avviso, però, è soltanto raggiungendo una definizione pubblica del fenomeno, attraverso criteri di conoscenza e moralità, che sarà possibile programmare regole in grado di recuperare una dimensione più antropologica del migrante. Tanto dal punto di vista nazionale, quanto nell’ambito europeo, il nostro Paese ha il dovere di svolgere un ruolo diverso, anche soltanto per il fatto di avere la possibilità di affacciarsi e vedere, dall’altra parte del mare, il dramma della povertà mondiale.
 
 
Per ulteriori approfondimenti:
 
Villa, A., 2008, Immigrazione: legislazione italiana tra fonti del diritto e rappresentazione sociale, Patti (Me), Kimerik, isbn 978-88-6096-193-8.
 

rnhttp://www.governo.it/Governo/Provvedimenti/index.asp

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