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La settimana scorsa si è svolta in Italia la prima visita  del leader libico Gheddafi. Un incontro che, come ha detto Berlusconi, chiude una pagina dolorosa della nostra storia. Se la pagina dolorosa è quella del colonialismo a cui anche l’Italia fascista non si sottrasse, era giusto definirla una delle pagine più vergognose della nostra storia.

La cosa realmente dolorosa, invece, è che questo fantomatico processo di riconciliazione sia passato e passi per un’altra pagina, assai vergognosa, della nostra attualità: l’accordo Italo-Libico sui rimpatri coatti.

Contestarlo non si tratta di non voler mettere in pratica misure di governo dell’immigrazione, soprattutto dell’immigrazione clandestina. Né vuol dire rinunciare alla legittima pretesa di ogni Stato sovrano di presidiare il proprio territorio e l’impermeabilità delle proprie frontiere, anche mediante accordi con altri Paesi. Si tratta più sostanzialmente di rimettere in ordine le priorità che devono ispirare la politica di ogni  Governo, in cima alle quali deve esserci sempre la tutela e la salvaguardia della vita umana. Di ogni essere umano. Ed al secondo posto la trasparenza e la verità che chi governa deve avere nel trattare certe questioni.

Pensando alla vita e alla morte delle tante persone che ogni giorno ed ogni notte scompaiono nelle acque del Mediterraneo mi è venuto in mente una parola della Bibbia: habel.  

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Tutti conoscono almeno il nome di Abele, fratello di Caino, figlio di Adamo e di Eva.

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Tutti conoscono l’episodio della Genesi che racconta lo scontro tra Caino ed Abele, determinato dall’invidia del primo e scaturito nella morte del secondo per mano del fratello.

Forse qualcuno non sa, però, che la Parola Abele in ebraico non è un nome proprio, ma un nome comune che significa soffio, alito, pochezza. Questo esprime un concetto profondo, oserei dire sapienziale: la vita dell’uomo è un soffio, è come il vento.

La radice della parola si ritrova spesso nel lessico della Scrittura. Nel bellissimo libro del Qoelet, ad esempio, la si usa per descrivere la vanità del tempo e delle cose transeunti, il nostro desiderio di affermazione, le nostre brame che, dice Qoelet, “sono come un inseguire il vento”.

Mi si chiederà, però, cosa c’entri tutto questo nella visita di Gheddafi a Berlusconi. Ebbene, il mio pensiero si è sviluppato a ritroso su queste due citazioni bibliche. Vedendo come e quanto sia magnificata questa “visita epocale”, leggendo il programma di incontri istituzionali e celebrativi che accompagnano il Colonnello, scorrendo le foto che mostrano la sua splendida tenda beduina installata nella geometria dei giardini di villa Panphili come in un quadro di De Chirico, non ho potuto non percepire la vanità di certe liturgie. Ho come visto lo stridere della vuotezza di questa politica mediterranea con l’urgenza che, invece, attanaglia la vita di tanti popoli mediterranei. Di fronte a tanto da fare, tutto il resto mi è sembrato un inseguire il vento. E dal vento ho pensato al soffio, a quello lieve ed impercettibile di Abele. Dei tanti Abele della storia di ieri e di oggi.

Per prima cosa ho immaginato la vita di tutti quei disperati che partono dalle loro atrocità (guerre, malattie, carestie, violenze…) nel tentativo estremo di afferrare un ultimo scampolo di normalità, per sè e per i loro figli. Ho pensato a quanto tenace debba essere quella forza di volontà per far sì che camminino giorni e notti nel deserto, che si affidino alle mani ciniche di pirati e delinquenti, che affrontino su poco più che pezzi di lamiera arrugginita la vastità del mare. Loro che, gente del deserto, il mare lo vede forse per la prima volta, scuro ed immenso sotto il cielo della notte.

Anche loro, come Abele, non parlano, non hanno voce. Come per la prima coppia di fratelli della storia anche loro hanno bisogno di un confronto con l’altro per essere, per uscire dall’anonimato, per trovare consistenza. Ed anche per loro, come per Abele in relazione a Caino, questa relazione sarà radicalmente una relazione di morte. Paradossalmente siamo noi, le società evolute e progredite che hanno scritto le Carte internazionali a salvaguardia della persona, a dar loro un nome ed un ruolo: clandestini. Diamo loro il nome ed il ruolo che la nostra maggiore forza (economica, militare, organizzativa) ci consente di dar loro. Diamo loro il ruolo che meglio si addice al nostro modo di ricostruire il mondo.

E forse questi uomini e queste donne disperate possono portare il nome di Abele meglio di chiunque altro. Loro che, persone senza nome e senza storia, sperimentano in quelle drammatiche traversate, la precarietà dell’esistenza, il suo essere poco più di un soffio, in balia del vento, del mare, della violenza e della paura. Ma più di tutto è la nostra indifferenza, sono le menzogne di una politica ipocrita e criminale che troncheranno quelle vite come quella di Abele.

Fino a qualche giorno fa quello degli immigrati era un dramma che ci interrogava. Oggi, dopo l’approvazione del Decreto sicurezza è una responsabilità che ci accusa.

Si, che ci accusa come il sangue di Abele, perché bisogna ripetere in modo sempre più chiaro ed inequivocabile la sorte che tocca a chi, in virtù dell’accordo siglato tra Berlusconi e Gheddafi, viene intercettato nelle acque del Mediterraneo e riaccompagnato da dove proveniva. Ma qualcuno si è chiesto da dove provengano? Dalla fame? Dalla guerra? Dalle torture? Questo nessuno lo sa. Ed allora? Allora sappiamo solo che moltitudini di quei disperati vengono riportati nel deserto e lì abbandonati. Abbandonati ad un destino che durerà poco più di un soffio …

Abbiamo il coraggio di dircelo: tra le righe di una legge della Repubblica italiana si è scritto che per noi la vita di un uomo vale meno di un soffio, se in ballo ci sono il senso del nostro quieto vivere, le nostre paure di precarietà, il nostro sentirci minacciati. Come Caino temiamo di perdere la nostra primogenitura. E questo è sufficiente per condannare a morte.   

Forse non siamo responsabili di quella disperazione, ma certamente lo saremo di quelle morti. Lo sarà chi con una legge vergognosa le ha decretate come chi, per rendita di posizione, non avrà il coraggio di denunciarle con chiarezza.

E così voltando una pagina dolorosa e vergognosa della nostra storia abbiamo iniziato a scriverne una ancora più dolorosa e forse più vergognosa.

Purtroppo dietro a tutto questo continuerà ad andare in scena il dramma dell’umanità. Di un umanità che, non a caso vede il proprio esordio segnato dall’egoismo, dall’ipocrisia e dalla violenza. Ma questa non può essere una scusante, perchè il sangue di Abele continua e continuerà ad accusarci gridando verso il Cielo, dalla terra, dal deserto e dal mare.

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