Con la legge del 28 marzo 2019, n. 26, il Reddito di cittadinanza perfeziona il suo iter legislativo ed è formalizzato e disciplinato. Oggi preoccupazioni e speranze si intrecciano. Ciò che concretamente accadrà potrà avvallare le une o le altre. Forse, passata la competizione elettorale, ci sarà più spazio per riflessioni e azioni più meditate, meglio predisposte e quindi più produttive di risultati per le famiglie in difficoltà…

Con la legge del 28 marzo 2019, n. 26, il Reddito di cittadinanza perfeziona il suo iter legislativo ed è formalizzato e disciplinato. Conclude così un lungo percorso che dal primo progetto presentato dal M5S nel 2013 è pervenuto all’attuale formulazione, subendo molte variazioni, correzioni, integrazioni che rendono la formulazione attuale ben diversa dalla proposta iniziale, anche se si sono voluti conservare a oltranza contenuti dall’inizio sbandierati come componenti essenziali e qualificanti la misura stessa.

In primo luogo, i 780 euro mensili quale soglia di integrazione per famiglie unipersonali con reddito zero, assunti quale riferimento per l’intero sistema di integrazione dei redditi. Soglia che, dati i limiti delle risorse disponibili e la sua eccessiva entità, che anche i confronti internazionali evidenziano, ha comportato il ricorso a tutta una serie di espedienti molto discutibili per contenere la platea dei beneficiari o ridurre l‘entità delle erogazioni. Soprattutto dopo la formazione dell’attuale governo, lungo tutto il 2018, le incertezze e le lacune della proposta unite a ricorrenti dichiarazioni politiche ad effetto, spesso fuorvianti, di esponenti del governo ma anche dell’opposizione, hanno dato spazio alle più varie ipotesi sui possibili contenuti della misura, con conseguenti espressioni di favore o di dissenso, e relative polemiche.

Ora abbiamo il testo definitivo, purtroppo di poco agevole lettura e comprensione, che introduce molte opportune, anche se complesse, specificazioni normative e organizzative, e che tuttavia non concludono l’iter normativo perché il testo stesso prevede parecchi rinvii a successivi atti, come per lo più accade alle nostre leggi. Maurizio Motta li elenca su welforum.it. Prevalentemente riguardano la formulazione di criteri per la suddivisione delle erogazioni monetarie fra gli adulti della famiglia, per gli esoneri dagli obblighi per chi ha oneri famigliari, per individuare le criticità del nucleo, per la definizione di progetti di utilità sociale da parte dei comuni, per sviluppare monitoraggio e valutazione degli interventi. Tutte componenti importanti del sistema, necessarie per renderlo operativo e tendenzialmente omogeneo.

La sfida cruciale che ora si apre è infatti relativa all’osservare l’effettivo funzionamento del sistema definito dalla legge. Il passaggio dalla Commissione parlamentare e la successiva approvazione finale hanno introdotto molti chiarimenti e specificazioni, come si è detto, ma non cambiamenti sostanziali, e quindi tanto gli apprezzamenti come le perplessità da molti espressi in passato mantengono il loro valore. In ordine ai beneficiari permangono, e sono anche state rafforzate dalle documentazioni richieste, le discriminazioni verso gli immigrati extracomunitari, e non ci sono state aperture per quanti, come ad esempio gli homeless, sono esclusi perché privi di residenza. Le reazioni critiche sulle scale di equivalenza che penalizzano le famiglie numerose e con minori e non prestano sufficiente attenzione ai disabili hanno ottenuto delle correzioni, ma del tutto inadeguate.

Relativamente ai confini e ai contenuti della misura mi limito a questi brevi richiami esemplificativi, perché già molto è stato detto e scritto in merito, che, dato il limite dei cambiamenti introdotti, mantiene tuttora validità. E non penso che a breve l’attuale governo possa rivedere le soluzioni ora assunte.

La sfida cruciale che ora deve essere giocata, e sulla quale vale la pena di concentrare le attenzioni e l’impegno, è sul decollo e funzionamento del sistema disegnato dalla legge 26. Soprattutto su questo terreno vale la critica ricorrente sulla fretta che pervade la disciplina del RdC, che rischia di sbilanciare fin dalla partenza la misura sulla mera erogazione economica. La prossimità della scadenza elettorale spinge il governo e il ministro del lavoro ad attivare tali erogazioni in una situazione di evidente carenza di sistemi di controllo amministrativi e finanziari, di riferimenti e supporti dei servizi territoriali rappresentati dai Centri per l’impiego, di sistemi informativi integrati e di sistemi di valutazione.

Tale scelta dettata dalla frettolosità presenta forti rischi, perché se emergessero, come possibile, da un lato molti casi di abuso e dall’altro ben pochi casi di quegli inserimenti lavorativi su cui il M5S ha voluto caratterizzare la misura, fondamentali per valutarne il suo successo, sarebbe difficile contrastare una reazione distruttiva contro il Rdc e purtroppo contro una qualsiasi politica contro la povertà, dei molti cui questa misura e queste politiche non piacciono; per loro insensibilità sociale o per loro posizionamento ideologico e politico.

Una partenza più graduale, scadenzata e calendarizzata, anche in termini di estensione dell’utenza, sarebbe stata più saggia e rassicurante, ma così non è stato e ora la partita è aperta e conviene giocarla perché abbia il miglior esito possibile, sia per i beneficiari che per quanti sono impegnati sul campo nella concreta realizzazione.

Sotto questo profilo è assai importante che la versione finale della legge in modo non troppo esplicito, per ovvie ragioni, attenui la centratura tutta sull’inserimento lavorativo finora proclamata e riconosca la complessità e multifattorialità della povertà, e la conseguente esigenza di intervenire con una molteplicità di strumenti e di azioni di sostegno. Di conseguenza, non faccia propria la guerra al Rei che certi politici incautamente avevano proclamato, e tenda piuttosto a recepire e dare continuità anche al lavoro sul territorio svolto negli anni passati, dando più spazio ai servizi sociali territoriali e confermando anche la destinazione ad essi di circa 600 milioni di risorse (vedi Franco Pesaresi in welforum.it), cui vanno aggiunte quelle di fonte europea.

Rimane una certa confusione nella individuazione dei punti di accesso dei richiedenti la misura, predeterminata su criteri oggettivi piuttosto che conseguente all’analisi dei singoli casi come prevedeva il Rei, ma il superamento del ruolo esclusivo dei Centri per l’impiego nella gestione dell’accesso precedentemente previsto, è già un passo in avanti in una opportuna direzione.

Preoccupazioni e speranze quindi si intrecciano. Ciò che concretamente accadrà potrà avvallare le une o le altre. Forse, passata la competizione elettorale, ci sarà più spazio per riflessioni e azioni più meditate, meglio predisposte e quindi più produttive di risultati per le famiglie in difficoltà.

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