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Il superamento del paradigma tecnocratico ossia della forma estrema dell’io chiuso in se stesso, implica un lavoro insurrezionale su due livelli ormai indissociabili: quello personale del rovesciamento costante della nostra mente egoico-mortale, e quello storico-culturale e politico dell’elaborazione di una inedita cultura della trasformazione, della trans-figurazione dell’uomo

Per comprendere a fondo la radicalità e la bellezza delle provocazioni che Papa Francesco lancia al mondo nella sua ultima Enciclica, credo che sia necessario tenere presente il suo punto di partenza, che è questo: “L’umanità è entrata in una nuova era in cui la potenza della tecnologia ci pone di fronte ad un bivio” (n. 102). Non ci troviamo cioè in una fase critica come le altre della storia, ma in un punto cruciale e fatale in cui, come aveva d’altronde gridato anche il Concilio, è “in pericolo, di fatto, il futuro del mondo” (Gaudium et spes n. 15).

Questo pericolo è determinato da uno sviluppo tecnologico ormai sganciato da qualsiasi logica umana e quindi capace di operare distruzioni senza precedenti: “al di là di qualunque previsione catastrofica è certo che l’attuale sistema mondiale è insostenibile da diversi punti di vista, perché abbiamo smesso di pensare ai fini dell’agire umano” (n. 61).

La situazione possiede in tal senso caratteri di terminalità, e richiede perciò, come ribadisce dall’inizio alla fine del suo testo Papa Francesco, una “coraggiosa rivoluzione culturale” (n. 114), “un nuovo inizio” (n. 207) di portata antropologica.

Lo schema di pensiero che segue il Papa sembra molto influenzato da una parte dalle ultime riflessioni di Leonardo Boff, e dall’altra da quelle di Romano Guardini, ampiamente citato nell’Enciclica.

Nel suo ultimo libro, Il Tao della liberazione, Boff descrive così la nostra condizione planetaria sottoposta al dominio del paradigma tecnocratico, anticipando a volte alla lettera alcuni punti della “Laudato si’”: “Ci troviamo dunque ad un crocevia. Dal punto di vista tecnologico le scoperte nel campo delle comunicazioni, dell’informatica e della genetica amplificano il potere dell’uomo come non mai. Dal punto di vista economico il mondo è soggiogato a tutti i livelli dai dettami del ‘mercato’ e del profitto. Dal punto di vista politico, le corporations transnazionali stanno diventando poteri dominanti a livello globale, grazie al sostegno della forza militare delle nazioni al servizio dei loro interessi. Dal punto di vista culturale i mass media impongono in tutto il mondo i valori e i desideri del consumismo” (p. 58).

Questa situazione ormai insostenibile dipende interamente dagli sviluppi abnormi di un potere tecnico che l’uomo non sembra più capace di orientare,e cioè di direzionare verso una autentica evoluzione. E qui interviene l’analisi di Guardini (e in sottofondo di Heidegger, ispiratore di Guardini): la tecnica in sé non è un male, in quanto l’essere umano è sempre creatore di tecniche (e cioè di linguaggi), ma è come se in questi ultimi tempi, a partire dalle accelerazioni dell’epoca industriale, l’intrinseca ambiguità del potere tecnico avesse raggiunto un punto di rottura che richiede una sorta di capovolgimento e di cambio di rotta. Mi spiego: ogni aumento del nostro potere, attraverso lo sviluppo di nuove tecniche (dalla ruota al computer), implica sempre una crescita dei pericoli insiti nell’utilizzo di questi poteri. Per cui ad ogni crescita del potere tecnico abbiamo visto aumentare anche le distorsioni e le forme violente e distruttive del suo utilizzo. Ad un certo momento però questa ambiguità è come se non fosse più contenibile dall’uomo, è come se l’uomo, per come lo conosciamo, non fosse più in grado di guidare e di mantenere nell’orbita dell’umano i poteri immensi che sta creando, in quanto, dice il Papa “l’immensa crescita tecnologica non è stata accompagnata da uno sviluppo dell’essere umano per quanto riguarda la responsabilità, i valori e la coscienza” (n. 105).

Potremmo dire così: l’io egoico, centrato su di sé, la forma di umanità che in definitiva ha governato finora l’intera storia del pianeta, non è più in grado di proseguire l’evoluzione del mondo, non sa più gestire i suoi poteri, manifestandoli solo come dominio e distruzione. Da ciò deriva la radicalità antropologica della rivoluzione in atto. Non potremo cioè mai affrontare le devastazioni del paradigma tecnocratico dominante mantenendoci nell’alveo della medesima forma di soggettività ego-centrata, che lo ha prodotto e continua ad alimentarlo. E’ un’intera “concezione del soggetto” (n. 106) che si sta mostrando fallace, unilaterale, riduzionistica, e mortale.

Se vogliamo perciò “svoltare” per davvero, cambiare rotta e dare inizio ad una nuova fase evolutiva della storia, dobbiamo lavorare e pensare a questo livello di radicalità, al livello di una transformazione del modo in cui l’essere umano vive e sperimenta la propria soggettività. Non bastano perciò le esortazioni morali né tantomeno i programmi riformistici di una politica quasi del tutto ormai priva di pensiero, qui urge “una profonda conversione interiore” (n. 207), una spaventosa e vertiginosa dilatazione della coscienza, che ci apra, uno per volta, ai misteri del nostro essere in comunione col Tutto e con tutti. Qui si tratta di una umanità nuova, relazionale, trans-egoica, e postbellica, che per i cristiani è poi quella inaugurata dal Cristo, la quale però sembra emergere proprio adesso dal corpo lacerato della storia, come unica alternativa biologica, ecologica e culturale, alla devastazione dell’io ego-centrato.

Questa è la novità assoluta, che Papa Francesco rilancia: il superamento del paradigma tecnocratico, e cioè della forma estrema dell’io chiuso in se stesso, implica un lavoro insurrezionale su due livelli ormai indissociabili: quello personale del rovesciamento costante della nostra mente egoico-mortale (meta-noia), e quello storico-culturale e politico dell’elaborazione di una inedita cultura della trasformazione, della trans-figurazione dell’uomo.

E questo immenso lavoro lo possiamo avviare nella serena certezza che la nuova umanità, la nostra umanità nascente, il Cristo in noi evocato da san Paolo, già c’è, già è nato, già cresce nei nostri cuori, e nella carne dolente e fiorente del mondo, sia pure coi suoi tempi e con le sue modalità spesso paradossali: “L’autentica umanità, che invita a una nuova sintesi, sembra abitare in mezzo alla civiltà tecnologica, quasi impercettibilmente, come la nebbia che filtra sotto una porta chiusa” (n. 112).

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