Il cristianesimo vive tra due mondi. E’ nel mondo ma non del mondo, è “già e non ancora”. Solo su questi presupposti risulterà credibile la proposta di un “nuovo umanesimo” in grado di non esprimere ideologie “umane troppo umane”, né interessi. Di ascoltare il grido dei deboli, di chi è nel bisogno. Perciò: un nuovo umanesimo, o sarà profetico, o non sarà

In un recente volume intitolato Umanesimo profetico ho cercato di sottolineare come il problema decisivo del cristianesimo si trovi nel suo stesso motivo di esistenza: in Gesù, il Dio unico e onnipotente, invisibile ed innominabile, si è fatto carne ed ha abitato tra gli uomini. La trascendenza assoluta di Dio è divenuta prossimità e immanenza. Il cristianesimo vive tra due mondi (ossia, al di qua e al di là) e tra due ere (tempo ed eternità): “nel mondo ma non del mondo”, il cristianesimo è “già e non ancora”. Di conseguenza, molta concettualità teorica e tanta attività pratica di marca cristiane sono state improntate al carattere della mediazione: dall’equilibrio tra ragione e fede alla cooperazione tra grazia e libertà; dalla ministerialità dell’istituzione ecclesiastica al centro come luogo politico.

L’idea di mediazione possiede senza dubbio efficacia e fecondità. Tuttavia, rischia inevitabilmente di scadere nel compromesso. Inevitabilmente: perché non si mette “vino nuovo in otri vecchi”. Ossia, non si può contaminare il divino con il mondano. Dio è tale proprio perché è completamente diverso da tutto ciò che il mondo può conoscere e produrre. Ricondurre la salvezza a pensieri o azioni terrene significa ridurla ai nostri schemi, svilirla e renderla infine inefficace. Ma allora, si deve negare il mondo come tale? E come può comunicarsi e farsi accessibile la salvezza, se renderla presente implica immediatamente perderla?

Si tratta di trovare il modo per agire nel mondo rimanendo altro dal mondo stesso. Cosa esprime, se non questo, l’immagine della chiesa come “ospedale da campo”? Stare nel mondo, ma in modo radicalmente diverso dal mondo. Non fuggire o alienarsi, ma vivere con una modalità “totalmente altra”: indifesi e disarmati quando tutto intorno è conflitto. Si prende parte al mondo, anche in modo organizzato e strutturato, come un ospedale; ma si è pronti ad adattarsi, a trasformarsi, e a spostarsi continuamente, seguendo il campo, stando sempre accanto ai feriti. Non habemus hic manentem civitatem.

Il cristianesimo non può mai accomodarsi nel mondo. Ma deve sempre indicare che un altro mondo è possibile. Karl Barth ha scritto che il cristianesimo è “più del leninismo”, perché non entra in concorrenza con i poteri del mondo, ma li nega. Il cristianesimo in questo senso è sovversivo e anarchico. Poiché tuttavia il il cristianesimo stesso si esprime mediante concetti, persone, istituzioni e strutture mondani, non può mai accontentarsi nemmeno di se stesso. Deve essere invece in uno stato di “rivoluzione permanente”. Il cristianesimo non è l’adesione ad una visione del mondo, qualunque essa sia. Non può essere un sistema o un’impalcatura di potere, fosse anche a fin di bene. La verità è vera solo se umile e debole. Nel mondo la verità non risplende ma è “in incognito”, subisce persecuzione e – il cristianesimo dovrebbe saperlo – viene crocifissa. E la croce – scandalosa e stolta – sovverte ogni morale e ogni intelligenza. Sovverte ogni struttura.

Solo su questi presupposti risulterà credibile anche la proposta di un “nuovo umanesimo”: se, cioè, tale umanesimo non sarà in alcun senso mondano. Se non esprimerà ideologie “umane troppo umane”, né interessi. Se non sarà sordo al grido dei deboli. L’umanesimo è, oggi più che mai, prossimità a chi è nel bisogno, difesa della causa dell’ “orfano e della vedova”. Perciò: un nuovo umanesimo, o sarà profetico, o non sarà. Profetico non in quanto visionario, ma perché capace di ascolto. L’umanesimo è tale se indica sempre di nuovo un altro mondo, veramente umano; e non cessa di cercarlo assieme agli altri uomini, senza imporsi dall’alto. Il cristianesimo può dunque predicare l’umanesimo se continua a diventare, sempre di nuovo, altro rispetto ai poteri del mondo, rispetto ad un mondo in guerra per il potere. Se si pone come un vero e proprio contropotere. Come un ospedale da campo.

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