Il rapporto tra integrazione culturale, inclusione sociale ed acquisto della cittadinanza non è una questione solo di diritti, ma soprattutto di condivisione di valori e di accoglienza nella comunità. L’attribuzione de iure della cittadinanza sin dalla nascita potrebbe porsi quale condizione imprescindibile per facilitare e sostenere l’integrazione e l’inclusione. Banco di prova per sperimentare scelte inclusive è costituito dalla disciplina dell’acquisto della cittadinanza da parte delle seconde generazioni

Da lungo tempo il dibattito politico, ma anche scientifico, sulla cittadinanza continua a ruotare intorno alla scelta tra il criterio dello jus sanguinis, caratterizzante la legislazione vigente, e quello dello jus soli, temperato o meno, ispiratore di nuovi interventi normativi, dibattito arricchito di recente dall’introduzione del criterio dello jus culturae, quale via mediana alla cittadinanza per coloro (soprattutto seconde generazioni) che hanno frequentato un ciclo scolastico nel nostro Paese.

Si tratta di un confronto che finisce per volgere l’attenzione anche sulla portata delle politiche di integrazione culturale e di inclusione sociale dei migranti. Se da un lato il fenomeno dell’esclusione sociale può interessare tanto i cittadini quanto i non-cittadini, dall’altro l’acquisto della cittadinanza legale può porsi quale punto di partenza o, viceversa, di approdo finale di un percorso di inclusione del migrante. A sua volta la disciplina della cittadinanza rappresenta una degli elementi che caratterizzano i modelli di integrazione dei migranti in alcuni paesi (ad esempio Francia, Germania, Regno unito). Il numero di cittadinanze concesse può essere, infatti, assunto quale indice di integrazione: si pensi ad esempio alle cittadinanze concesse per matrimonio o per residenza, che possono essere lette quale frutto di un processo di “radicamento” sostanziale.

È evidente come la concessione della cittadinanza dovrebbe tendere ad assorbire (anticipandolo o risolvendolo) il conflitto sociale che scaturisce dalla non integrazione e dall’esclusione dei non-cittadini. La promozione di adeguate ed efficaci politiche di integrazione e di inclusione richiede un ripensamento del quadro giuridico relativo alla cittadinanza, con l’introduzione di regole nuove che rendano più agevole l’accesso allo “status” di cittadino.

La cittadinanza tende, oggi, a configurarsi quale forma giuridica di una relazione sostanziale tra la persona e la comunità: la cittadinanza è una condizione sociale prima che giuridica. Si ribalta in tal modo la tradizionale prospettiva concessoria. La cittadinanza deve portare all’integrazione e all’assunzione di responsabilità comuni. Questo obiettivo può essere perseguito con l’animazione di un processo continuo di integrazione, che consenta di sviluppare sia la dimensione personale dei diritti, sia la dimensione solidale e responsabile dei doveri.

Il volto multietnico che la nostra società va assumendo richiede, dunque, l’individuazione di istituti e strumenti giuridici che consentano al non-cittadino di essere integrato nel tessuto sociale anche in vista dell’acquisto formale della cittadinanza legale e di maturare, al contempo, una consapevolezza dei diritti e dei doveri che l’acquisto della cittadinanza legale comporta. Tra questi strumenti un ruolo particolare è svolto dall’educazione alla cittadinanza, che dovrebbe coinvolgere i giovani in età scolare, i migranti e i cittadini adulti.

Altro strumento dalle potenzialità inclusive è quello della partecipazione ai processi decisionali pubblici (a tutti i livelli di governo). In particolare, per gli immigranti l’esperienza della partecipazione alla vita politica locale favorisce l’uguaglianza sostanziale tra le persone e la condivisione dei valori e delle regole della comunità che accoglie il migrante, anche in vista dell’acquisto della cittadinanza politica. In questa prospettiva assumono un ruolo decisivo le pratiche sussidiarie ispirate dall’art. 118 ultimo comma della Costituzione, che possono offrire lo spazio per una partecipazione attiva dei migranti alla vita pubblica.

Ulteriori punti di incontro tra esigenze inclusive ed esercizio dei diritti di cittadinanza è offerto sicuramente dalla partecipazione degli immigrati alla vita delle istituzioni politiche locali, nonché il coinvolgimento nelle cd. elezioni primarie ovvero dei metodi di consultazione per la selezione e la scelta dei candidati a cariche istituzionali. Ancora lungo appare il percorso da compiere per coniugare acquisto della cittadinanza, integrazione culturale ed inclusione sociale.

Il legislatore è, dunque, chiamato ad affrontare il delicato equilibrio fra integrazione e cittadinanza e tra i diversi approcci possibili in cui si declina questa relazione: quello che concepisce la cittadinanza come volano dell’integrazione, escludendo ogni verifica sull’esistenza di un percorso nella direzione di essa, quello che richiede che lo straniero, per diventare cittadino, sia già integrato, quello che intende la cittadinanza al tempo stesso come punto di arrivo di un percorso di integrazione sociale e culturale già avviato e come punto di partenza per un approfondimento e per il completamento di esso.

Le possibili opzioni regolative possono essere così sintetizzate:
1. riconoscere la cittadinanza a prescindere dalla verifica dell’integrazione
2. concedere la cittadinanza allo straniero già socialmente integrato
3. concedere la cittadinanza alla conclusione di un percorso di integrazione sociale e culturale
Si tratta di opzioni regolative che si possono tradurre a loro volta nella previsione di meccanismi discrezionali o automatici di “concessione” della cittadinanza e nella fissazione o meno di criteri per l’acquisto della cittadinanza a carattere inclusivo quali la capacità reddituale, lo svolgimento di un ciclo di studi, la disponibilità di un’abitazione, il tempo di permanenza, la partecipazione a percorsi formativi.

Principale banco di prova per sperimentare scelte inclusive in materia di cittadinanza è costituito soprattutto dalla disciplina dell’acquisto della cittadinanza da parte delle cd. seconde generazioni ovvero dei figli di stranieri nati e cresciuti in Italia, che secondo la legislazione vigente acquistano volontariamente la cittadinanza legale solo al compimento del diciottesimo anno di età.

Il rapporto tra integrazione culturale, inclusione sociale ed acquisto della cittadinanza non è una questione solo di diritti, ma soprattutto di condivisione di valori e di accoglienza nella comunità. In questa prospettiva l’attribuzione de iure della cittadinanza sin dalla nascita potrebbe porsi quale condizione imprescindibile per facilitare e sostenere l’integrazione e l’inclusione.

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