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Le riforme istituzionali – dalla riforma della Costituzione alla legge elettorale – sono un tema importante ma non risolutivo. Partiti e istituzioni, consapevoli della non eludibilità delle stesse, si adoperano da anni nella costruzione di modelli alternativi, pur sapendo che il problema vero, non risolvibile certo solo con le riforme, è la crisi della democrazia e con essa della politica. […]

Le riforme istituzionali – dalla riforma della Costituzione alla legge elettorale – sono un tema importante ma non risolutivo. Partiti e istituzioni, consapevoli della non eludibilità delle stesse, si adoperano da anni nella costruzione di modelli alternativi, pur sapendo che il problema vero, non risolvibile certo solo con le riforme, è la crisi della democrazia e con essa della politica.

Il risultato del referendum del 4 dicembre e le conseguenti dimissioni del premier Renzi hanno mostrato in modo chiaro come i cittadini chiedano alla politica qualcosa di diverso: un cambio radicale di prospettiva, che finalmente tenga nella giusta considerazione le esigenze e le opinioni dei cittadini.

Attraverso gli articoli che il nostro sito da diversi anni propone, ci siamo interrogati sulla crisi della democrazia, sul tema del personalismo della politica, sui fenomeni populisti in Italia e nel mondo, sugli elementi positivi e negativi della proposta di riforma costituzionale. Ma ci siamo anche interrogati su come uscire da questa crisi democratica, da questa transizione che sembra ormai non finire più, proponendo alcuni concetti, alcune parole chiave che possono aiutarci a trovare delle vie d’uscita. Abbiamo così sottolineato i rischi della democrazia digitale e ragionato di democrazia economica, partecipativa e deliberativa mettendo in evidenza luci e ombre.

In questo mio editoriale vorrei in particolare far riferimento al concetto di democrazia deliberativa. Come osserva Lugi Bobbio – professore ordinario di Scienza politica presso il Dipartimento di Cultura, Politica e Società dell’Università di Torino e figlio di Norberto Bobbio – secondo questa teoria “l’essenza della democrazia non consiste nella conta dei voti tra posizioni precostituite, secondo il principio di maggioranza, o nella negoziazione tra interessi dati, ma nella discussione fondata su argomenti tra tutti i soggetti coinvolti dal tema sul tappeto”.

Le numerose esperienze pratiche che si richiamano alla democrazia deliberativa si fondano perciò su due pilastri: da un lato l’uso del confronto argomentato, dall’altro l’inclusione di tutti gli interessi e i punti di vista che sono toccati dall’oggetto della discussione. La democrazia deliberativa è una forma di democrazia partecipativa, ma i suoi contorni sono più circoscritti e più definiti. Essa non è alternativa alla democrazia rappresentativa, può essere invece un modo per arricchirla ed approfondirla, grazie al coinvolgimento dei cittadini.

Il nostro focus di questo mese vuole inquadrare il tema della riforma del sistema elettorale in uno scenario più ampio, cercando di riflettere attorno ad alcune domande: quale sistema elettorale può favorire una più consapevole partecipazione dei cittadini? Al di là di un diverso sistema elettorale cosa serve oggi alla politica italiana? In che modo possono essere riformati i partiti e il Parlamento per renderli finalmente capaci di rispondere ai bisogni dei cittadini? La riforma del bicameralismo partitario può essere una strada utile da percorrere? Che ruolo può avere la società civile, i cosiddetti corpi intermedi? Quali nuovi strumenti democratici possono favorire la partecipazione dei cittadini?

Partiamo con Stefano Ceccanti (costituzionalista) che sottolinea come “le coordinate del dibattito sulla legge elettorale sono date dall’esito del referendum e dalla scissione in corso nel Pd”.

Proseguiamo con Maria Grazia Rodomonte (costituzionalista) che afferma la necessità di un intervento del legislatore proprio al fine di “omogeneizzare” i due sistemi elettorali vigenti con riferimento all’introduzione, anche nella legge elettorale per il Senato, di formule promozionali in grado di garantire la parità dei punti di partenza di entrambi i sessi alle cariche elettive.

Stefano Semplici (filosofo) mette in evidenza come “il punto di equilibrio fra esigenze di rappresentanza e di governabilità sia stato al centro del confronto sull’Italicum e sulla riforma costituzionale. E come questo tema resti aperto, insieme alla questione del leaderismo come esito ineluttabile della politica”.

Fabio Bordignon (sociologo e politologo) mostra l’emergere di “una democrazia a due tempi: un tempo per la campagna elettorale, caratterizzato dal confronto muscolare tra leader e dalla rincorsa (impossibile) al 40%; un tempo per la fase post-voto, nella quale i tanti sconfitti dovranno cercare un difficile accordo per la formazione di una maggioranza”.

Luca Grion (filosofo) parla della necessità di “ripensare l’essenza del politico a partire da una concezione “adulta” del conflitto. Questo conduce a ripensare la dimensione politica come spazio di libertà e di deliberazione, anziché come luogo di mera contrapposizione muscolare”.

Giovanni Bianchi
sottolinea “come l’esito referendario – e più ancora gli atteggiamenti politici e le decisioni prese dai leader nei giorni immediatamente successivi – pongono nella fase che si è aperta un interrogativo circa la via fin qui percorsa negli ultimi decenni, che consiste nell’avere privilegiato il ruolo maieutico delle regole rispetto alla ri-creazione delle soggettività del politico”. Ma i due piani devono coesistere.

Gianfranco Zucca (Iref) riprendendo le tesi di David van Reybrouck, lancia una provocazione: “E se al posto di eleggere i parlamentari, li sorteggiassimo?” Il senso del ragionamento è quello di percorrere in modo più rilevante anche in Italia, i percorsi di democrazia deliberativa introdotti in altri Paesi. Si chiede Zucca: “Che legge elettorale sarebbe uscita da un ipotetico forum civico italiano? Che tipo di riforma costituzionale avrebbero deciso i cittadini italiani? Questo non lo potremo mai sapere perché la politica italiana preferisce seguire e sollecitare gli “umori della gente”, invece di confrontarsi con un punto di vista informato, meditato e argomentato”.

Chiudiamo con due interviste. Francesco Prina (PD) sottolinea come “i partiti che vogliono modernizzarsi, sono quelli che nello sfarinamento della società, raccolgono la sfida e riescono a tornare a fare comunità, coniugando la dimensione popolare tipica di un tempo, ad un progetto di lungo respiro che sappia parlare in modo serio e competente alle nuove generazioni anche grazie all’ausilio dei nuovi strumenti di comunicazione”.

Elena Centemero (FI-PDL) afferma con chiarezza che “la politica deve tornare nelle mani delle cittadine e dei cittadini, di chi conosce la realtà e può proporre risposte efficaci e strutturali ai problemi della collettività. Sono necessarie idee e persone credibili, ora prevalentemente impegnate nel volontariato e nelle professioni, per una nuova stagione di impegno, per una legislatura costituente”.

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