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“La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere” (John Keats da “Ode su un’urna greca”)

La verità svelata

Era primavera e passeggiavo dentro le mura dell’ex OPP – proprio dietro casa – nella mia città a Trieste. Si camminava bene: la temperatura ideale per una passeggiata all’ora di pranzo. Salendo nella quiete del lockdown incontravo solo qualche sporadico proprietario di cane, nessuna macchina: solo silenzio, alberi, fiori e profumi. L’ex ospedale ha una entrata ed una uscita e si snoda su un colle alla cui sommità c’è ancora una porta, quella originaria, oggi sempre aperta ma, una volta, sempre chiusa. Appeso a lato mi sono imbattuta con stupore in una lunga “vela” bianca che diceva: La bellezza è verità, la verità è bellezza: questo è tutto ciò che voi sapete in terra e tutto ciò che vi occorre sapere.

Per chi non lo sa è una frase famosa tratta da una lirica di Keats (uno tra i più noti poeti romantici inglesi, morto a 25 anni a Roma e sepolto al cimitero acattolico) ma vederla quel giorno lì, in quel luogo, appesa accanto a quella porta che nel tempo inesorabilmente definiva una cesura netta, per chi ci entrava, tra un prima ed un dopo, è stato, per me, come un momento di svelamento: quando la realtà ti appare sotto una luce più chiara. Quella porta che, fin quando l’ospedale psichiatrico è stato attivo, apriva e chiudeva il mondo e la realtà e lasciava fuori la speranza e portava dentro la paura e lo sconforto – ricordando Dante potremmo citare una nota frase della Commedia: “lasciate ogni speranza o voi che entrate” – oggi, grazie all’azione di uomini e donne, di una comunità intera e molteplice è diventata porta di accesso di un parco meraviglioso aperto alla città. Ma anche un luogo di studio – trovano spazio numerose facoltà universitarie e si svolgono attività formative, di lavoro – qui sono nate ed ancora operano le prime cooperative sociali di tipo B in Italia ma anche di altre esperienze imprenditive, di incontro e di svago – il parco è ricco di fiori e sede di apprezzate attività culturali e ricreative – dove bellezza e verità si incontrano.

Tutto questo grazie ad un sogno e alle battaglie molto concrete di uomini e donne che intravedevano un futuro ed una speranza di rinascita e di cambiamento per quella istituzione e le persone che lo abitavano: i matti, gli esclusi per eccellenza, gli incutatori di paura, i diversi e gli scartati. Dentro quelle mura è rifiorita la vita, la speranza e la cittadinanza universale. Un luogo che è divenuto un simbolo, preso a modello in tutto il mondo. Ma dobbiamo dirlo e ricordarlo, tutto questo è stato possibile grazie a persone con un volto, nomi, cognomi, storie note o meno note, che si sono fatte promotrici di azioni, incontri, dialoghi, interlocuzioni, con la città, con il paese e poi con il mondo intero: con la politica, con le istituzioni, con le amministrazioni e che ha condotto, dopo alcuni anni, alla chiusura per legge di tutte le strutture manicomiali (180).

(Continua…..)

 

Questo focus, come avviene sempre da molti anni, vuole accendere i riflettori sul tema dell’Incontro Nazionale di Studi delle Acli dal titolo: “Comunità e lavoro: vie per la bellezza” che si terrà Roma dal 23 al 25 settembre 2021.

Abbiamo chiesto ad esperti di diverse discipline (filosofia, sociologia, economia, politica senza tralasciare la prospettiva biblica) di leggere questioni complesse come quella della comunità e del lavoro alla luce del tema della bellezza.

Iniziamo con Marco Bonarini (Dipartimento Pensiero e Politica delle Acli nazionali) che sottolinea come “la bellezza nella Bibbia non è tanto una questione di estetica, che pure è apprezzata sia quella delle persone che della natura, quanto una questione di etica, di ciò che è buono. E’ buono, infatti, ciò che corrisponde all’intenzione del creatore…”

Per Giovanni Grandi (Docente di Filosofia Morale presso l’Università degli Studi di Trieste e consulente scientifico Istituto Maritain) “la bellezza è connessa al fermarsi, al poter sostare per contemplare e gustare le cose. Tutte le cose, potendo ospitare dei profili di bellezza, è come se ci invitassero anche a rallentare, a non risolvere la vita nel correre e nel continuo passare di desiderio in desiderio. La bellezza ci richiama alla necessità di darci un ritmo, forse anche quel ritmo che i giorni di festa vorrebbero assicurare alle nostre comunità, cadenzando la fatica (il lavoro) e il riposo, più il riposo meditativo che non quello diversivo, di cui pure abbiamo bisogno, beninteso, ma forse non nel nella misura in cui ci siamo abituati a ricercarlo”.

Il nostro direttore Leonardo Becchetti (Docente di Economia Politica presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma “Tor Vergata”) osserva come “l’orizzonte della generatività davanti a noi deve aiutarci a identificare con chiarezza la strada da percorrere per dare più dignità e bellezza al lavoro. Siamo consapevoli che non esistono tappeti rossi o strade spianate ma abbiamo anche visto che lentamente e progressivamente l’umanità si batte per aumentare senso e significato del proprio esistere mettendo in discussione strutture ed istituzioni che erano state conquiste della generazione precedente e sono solo punti di partenza per le generazioni presenti e future”.

Silvio Minnetti (Presidente nazionale del Movimento politico per l’unità-Movimento dei Focolari) nota come “non possiamo costruire un ‘futuro infelice’. Emerge la scelta di una via alta dello sviluppo, fondato su riqualificazione industriale, ricerca, formazione, prodotti ad alto contenuto tecnologico e di conoscenza, bellezza, rispetto dell’ambiente, con una governance territoriale condivisa tra pubblico e privati per rimettere la comunità ed il lavoro al centro. È il tempo dei ‘costruttori’ di futuro evocati dal Presidente Mattarella, di una nuova classe dirigente a tutti i livelli capace di generare visione condivisa di uno sviluppo possibile. È il tempo dell’economia civile, circolare e di comunione nel nostro Paese”.

Irene Ranaldi (Sociologa urbana e presidente associazione culturale “Ottavo Colle”) osserva che “rileggendo la Laudato sì’ si comprende la sua valenza di manifesto culturale anche alla luce della pandemia da Covid-19 che interroga il nostro tempo e le inadeguatezze, gli eccessi e le disuguaglianze di città e metropoli. Non dobbiamo dimenticare che alla base del progetto urbano deve esserci la consapevolezza che siamo cittadini solo se connessi ad un certo paesaggio di cui ci occupiamo; ma per occuparcene consapevolmente, dobbiamo conoscerlo e rispettarlo. Dobbiamo tornare ad esercitare una cura dei luoghi in nome anche della bellezza insita nei quartieri periferici”.

 

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