Il Jobs Act ha introdotto il sistema duale. La scommessa è quella che si possa apprendere anche dentro l’azienda. Il provvedimento, che mette in stretta relazione i sistemi scolastico e formativo con le imprese del territorio, può rappresentare una svolta per lo svilluppo dell’occupazione giovanile.

Un dato, forse poco conosciuto ricorda, come tra gli anni ‘70 e ’80 del secolo scorso, oltre il 60% dei giovani lavoratori usciti dalla formazione professionale, dopo aver trascorso circa un decennio di lavoro dipendente, si sia messo in proprio avviando una nuova impresa. Non senza un certo orgoglio si può affermare che la formazione professionale ha caratterizzato una pagina di storia della crescita e del modello imprenditoriale italiano, in particolare nel Nord-Est. Erano i tempi del declino del modello fordista per l’economia industriale e della scomposizione della grande fabbrica Si stava affacciando nell’economia continentale europea quella vocazione tutta italiana alla generalizzazione della piccola attività imprenditoriale; insomma a quei tempi “piccolo era bello”.

Vennero perfino dagli USA a studiare questo miracolo dell’impresa diffusa che ha garantito per un lungo periodo tassi di crescita tra il 6 e il 2 in quei territori che avevano scommesso sul cambiamento dell’assetto tradizionale dell’economia manifatturiera. Erano anche i tempi dell’espansione illimitata dei beni di consumo familiari e personali con una fortissima componente della domanda interna e non abbondavano certo, negli scaffali dei negozi, prodotti provenienti dall’estremo oriente.

A questa impronta di sviluppo più generazioni devono il proprio benessere, anche se conquistato al sudato prezzo di un lavoro che non aveva orari e traguardava molte serate per i piccoli “padroncini”. Con fisiologica accondiscendenza questa impresa diffusa divenne il terreno fertile dei nuovi distretti produttivi.

La relazione tra il modello di sviluppo produttivo locale del distretto industriale e il sistema complementare delle attività formative era facilitato da figure docenti che erano veri e propri maestri artigiani o tecnici provenienti dalle imprese del territorio. Andava così cementandosi una proficua relazione che aveva in sé il valore di saper trasmettere le competenze effettivamente richieste dal mercato del lavoro, ma anche di favorire una fattiva cooperazione tra imprese e sistemi formativi locali. Non erano rare le consultazioni tecniche su qualche prodotto da riparare o sui materiali più idonei a certe produzioni. Ciò testimonia come in quegli anni esistesse una relazione virtuosa tra lo sviluppo del nostro sistema economico e quello dei nostri sistemi formativi; pur dovendo evidenziare che tali processi non erano affatto generalizzati sul territorio, non erano uniformemente presenti nel sistema scolastico e in quello professionale, così come non era equamente distribuito l’insediamento dei distretti industriali. Va inoltre aggiunto che questo processo di interazione tra formazione e impresa era in gran misura conseguenza della funzione di cerniera che il corpo docente esercitava sia verso il contesto di impresa, che rappresentava la precedente esperienza professionale, sia nel nuovo contesto formativo.

Non irrilevante fu la spinta all’innovazione, soprattutto di prodotto, che questa rinforzata attitudine esplorativa ed esperienziale introdusse nel tessuto delle piccole imprese, perché si dimostrò capace di utilizzare conoscenze e progettualità che venivano sperimentate nei laboratori formativi per tradurle in nuova progettualità produttiva.

Questa virtuosa cooperazione che si andava sviluppando si è consolidata sia nel mondo materiale dei prodotti e dei processi produttivi, sia nella sfera della formazione, che potremmo più ampiamente definire sfera sociale. La storia dell’accoppiamento tra produzione e apprendimento, che oggi viene spesso evocata, ha quindi radici molto lontane e ci racconta di un apprendimento localizzato in alcuni sistemi territoriali che trae la propria forza dalle relazioni interpersonali e dalle opportunità d’azione che queste relazioni generavano. Così si solidificava nel tempo, incarnandosi nelle strutture e nelle pratiche sociali e culturali, ma anche nelle strutture produttive.

All’interno del territorio e dei suoi sistemi d’impresa prendeva consistenza, in quegli anni, spesso in modi poco evidenti se non anche sotterranei, un efficace meccanismo di conversione della conoscenza, che seppe mettere in campo competenze di tipo pratico-produttivo.

Ma che senso ha evocare oggi queste esperienze passate che sembrano appartenere ud un’altra era geologica? Per prima cosa per renderci conto effettivamente di quanta strada indietro si è fatta in questi ultimi trent’anni, ma anche per riallacciare ad una tradizione di forza e di pregnanza l’attualità di una sfida che si è fatta imperativo categorico: come ricostruire un legame tra apprendimento e competenze.

Il ripiegamento corporativo e la spinta verso un baricentro di autosufficienza hanno spinto la scuola italiana verso strade diametralmente opposte a quelle sperimentate in quegli anni nella formazione professionale. Ciò ha generato un spostamento massiccio della domanda che si è fortemente intensificata verso i licei e si è altrettanto fortemente indebolita verso l’istruzione tecnica e professionale. Quest’ultima in particolare vive ormai senza possedere più una propria originale identità ed incapace di riorganizzarsi secondo un chiaro indirizzo di sviluppo di competenze professionali. Alla vigilia di veder attuate le deleghe che la legge della Buona Scuola ha conferito si può ancora guardare con un filo di speranza a questa filiera formativa, ben sapendo che per abbracciare fino in fondo il proprio compito non può eludere la questione di fondo: abbandonare una visione disciplinare per abbracciare pratica laboratoriale e apprendimento in contesto di impresa.

Non migliore destino è quello che fino ad oggi ha caratterizzato la formazione professionale. Essa presenta una situazione fortemente critica dal punto di vista territoriale. Ad esclusione del Nord non si può dire esistano sistemi formativi regionali, fatte poche eccezioni, ed anche in pianura Padana si cominciano ad intravvedere i primi segni di indebolimento. All’aumento della domanda di formazione di famiglie e ragazzi corrispondono spesso meno risorse e meno offerta formativa. Sono numerosi i casi in cui le istituzioni formative non possono soddisfare la domanda di iscrizioni per sovrannumero rispetto alle attività programmate dai piani regionali.

Su questo sistema fortemente differenziato si innesta oggi la novità introdotta dal Jobs Act con il sistema duale. La scommessa cioè che si possa apprendere competenze dedicando una parte consistente dell’orario ordinamentale di studio dentro all’impresa. Il provvedimento in sé non replica nessun sistema europeo e concretamente cerca di individuare una via italiana che metta in stretta relazione i sistemi scolastico e formativo con le imprese del territorio.

Il più grave dei problemi italiani sta nell’enorme numero di giovani disoccupati, ma come l’evoluzione di questa crisi ci ha insegnato non si tratta solo di contrastare un ciclo economico avverso che ha duplicato il tasso dei giovani disoccupati; si tratta di prendere consapevolezza che dietro alla pesantezza dei dati ci stanno due diverse componenti della disoccupazione giovanile. C’è la componente che ha perso il lavoro perché colpita più pesantemente delle altre fasce adulte del mercato del lavoro. Ciò è stato indotto dal fatto che i contratti a termine e senza alcuna stabilità erano prevalentemente diffusi tra le nuove generazioni di lavoratori e sono state proprio queste forme contrattuali che hanno subito il maggiore contraccolpo in termini di aumento della disoccupazione. Ma la quota di disoccupazione indotta dalla crisi si può ragionevolmente conteggiare nella misura della metà dell’intera platea, la restante metà ha caratteristiche strutturali e deriva in misura rilevante dal disallineamento tra sistema scolastico e le competenze richieste dal mercato del lavoro; prova ne sia che negli ultimi quindici anni il tasso di disoccupazione dei giovani è sceso al di sotto del venti per cento soltanto per limitati periodi di pochi mesi.

Ancora una volta si trattava di metter mano ad una azione di riforma dei sistemi formativi e scolastico con l’obiettivo di ridurre considerevolmente il divario tra saperi e competenze. Come per altro la comparazione europea ci indica con chiarezza: nel paesi con un radicato sistema duale il divario tra tasso generale di disoccupazione e tasso di disoccupazione giovanile tende a ridursi al minimo; nel caso tedesco il differenziale è di appena tre punti percentuali.

Nel secondo semestre del 2015 si sono completati tutti gli iter normativi e procedurali per far partire il nuovo duale italiano. Oggi la sfida è organizzativo-gestionale per portare a successo un istituto che non rinnova solo i punti di riferimento e le regole dell’apprendimento, ma mette in discussione consolidati stereotipi culturali che hanno permeato il modello scolastico-centrico bandendo il lavoro dal proprio orizzonte e che si sono fondati sull’assunto che prima si studia e poi si può andare a lavorare.

La sfida per le istituzioni scolastiche e formative è dunque molto forte perché andare in azienda per apprendere non significa programmare visite guidate, né limitarsi a fare esperienza di lavoro. Delegare all’impresa un pezzo di apprendimento curriculare significa saper trarre dal lavoro quelle competenze utili all’apprendimento ordinamentale e ciò richiede un forte sforzo di innovazione delle metodologie didattiche perché si sviluppi un senso forte ed una evidente continuità tra i due diversi ambiti. Non minore è la sfida per quelle imprese che vorranno coniugare senso e protagonismo attivo per consentire al sistema duale di potersi affermare con le convenienze che sono la rotta di ogni business.

Potremmo per brevità individuare due linee di avvicinamento delle aziende al nuovo sistema duale. Il primo trova motivazione nella responsabilità sociale dell’impresa che è chiamata a farsi carico dei motivi di forza competitiva, ma anche delle situazioni di debolezza del territorio in cui si sono insediate. Così oltre a rispettare l’ambiente circostante, oltre a gestire responsabilmente la dotazione occupazionale interna, possono porsi l’obiettivo di migliorare le competenze dei giovani per concorrere al miglioramento della competitività dell’intero paese. Un secondo approccio è apparentemente molto più motivato dalle convenienze, ma alla fine potrebbe essere quello che più incisivamente agisce da svolta nelle relazioni tra i due sistemi. Si tratta di gestire gli istituti del duale, cioè alternanza e apprendistato anche con la finalità di migliorare la selezione del personale dipendente. Soprattutto per le piccole imprese che non sono dotate di uffici del personale e di sistemi di raccolta curriculi efficacemente organizzati, poter misurare durante i percorsi di formazione e lavoro le attitudini, la passione e le competenze di molti giovani potrà loro consentire di poter selezionare il meglio delle risorse giovanili nella prospettiva dell’attivazione di nuovi rapporti di lavoro.

Ma c’è un di più verso cui ci spinge la nostra storia passata e l’esperienza dei distretti. Si tratta di declinare in termini di innovazione il miglioramento delle competenze che si avrà in azienda per effetto dell’interscambio di apprendimenti che il sistema duale favorisce. La digitalizzazione dei processi produttivi e di vendita, l’accesso a nuovi mercati favorito dalla conoscenza delle lingue straniere, approccio a soluzioni più creative: potranno tutti essere facilitati dalla presenza di giovani nelle imprese e dal loro coinvolgimento nei processi organizzativi. Si tratta di valorizzare il nuovo istituto duale nella sua pienezza, non limitandosi a farne solo uno spazio di apprendimento per gli studenti, ma valorizzandone anche la componete di ricaduta aziendale. C’è un enorme problema di innovazione in Italia e un drammatico ritardo dovuto anche alle caratteristiche di piccolissimo dimensionamento della stragrande maggioranza del tessuto aziendale. Favorire processi di contaminazione oltre a quelli di apprendimento, è una dimensione da non trascurare.

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