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Occorre apprendere dalla natura piuttosto che estrarre da essa. Esiste una ricchezza economica nascosta nelle nostre città rappresentata dal patrimonio di risorse naturali. La proposta è quella di una strategia di rigenerazione ambientale come strumento della rigenerazione del sistema economico e dello stesso sistema urbano. I benefici sul piano occupazionale sono rilevantissimi, come evidenziano tante buone pratiche

Introduzione
Disoccupazione e crisi ambientale sono due problemi centrali del nostro tempo, che riguardano sia i paesi in via di sviluppo che quelli sviluppati. La ricchezza economica cresce, ma con costi umani, sociali ed ecologici sempre più intensi.
Come rigenerare l’economia, riconfigurandola ed orientandola in una direzione rispettosa della persona e dell’ambiente?
Nell”Enciclica Laudato sì si sottolinea più volte che la crisi ambientale e la crisi sociale sono strettamente interdipendenti. I paragrafi nei quali si pone la riflessione sul modello desiderabile di organizzazione della produzione della ricchezza economica sono numerosi (nn. 16, 20, 22, 180, 192, 54, 122, 51, 106, 109, 123-124, 128-129, 141, 143-180, 185, 187, 190-191, 194-195).

L’esortazione generale è di “riflettere responsabilmente sul senso della economia e sulle sue finalità, per correggere disfunzioni e distorsioni, ricercando altri modi di intendere l’economia”(n.163). Si parte dal riconoscimento che la finanza soffoca l’economia reale e che il principio della massimizzazione dei profitti non può intendersi come l’unico criterio di scelta per l’investimento imprenditoriale, rilevando altresì l’insufficienza del calcolo finanziario dei costi e benefici per proteggere l’ambiente. Insomma, con la visione economica corrente non si possono ridurre le disuguaglianze crescenti, la disoccupazione, le ingiustizie, il degrado ecologico.

La tesi è che è necessario elaborare nuovi approcci ed una nuova visione generale, fondata sulla coevoluzione uomo/natura-economia/ecologia. Occorre una “ecologia economica” per conservare la qualità ambientale/ecosistemica e per redistribuire la ricchezza, nell’attuale contesto di una globalizzazione economica che tutto standardizza/omogenizza, indebolendo ogni identità specifica, ed ogni differenza. Si indica un modello fondato sulla circolarizzazione nella produzione, fondato su riuso, riciclo, rigenerazione e sulle energie rinnovabili, per ridurre il consumo delle risorse naturali sempre più scarse (n.180).

Questo processo circolare, capace di riprodurre le varie forme di capitale originariamente disponibili, esprime in realtà le caratteristiche essenziali dello sviluppo sostenibile.
Si evocano altresì esperienze di economia cooperativa (n.179) e comunque si sottolinea il ruolo positivo dell’Associazionismo che si muove nella direzione della realizzazione del bene comune (n. 232). Si insiste infine sulla necessità di investimento nel capitale umano, per valorizzare la creatività delle persone e per moltiplicare le opportunità di lavoro (nn. 128-129, 179).

Più specificamente, nella Enciclica si propone un processo di rigenerazione dell’economia fondato sulla costruzione di relazioni/legami, che stimolano nuove catene di creazione di valore, che a loro volta aumentano la densità delle relazioni /legami, in un processo a spirale nel tempo che tende ad autoalimentarsi in modo virtuoso per costruire un futuro desiderabile. In altri termini, si insiste sulla costruzione delle condizioni non economiche (e cioè immateriali) dello sviluppo economico.

Verso una nuova economia urbana
Orbene, quanto sopra si può estendere anche alla proposta di una nuova organizzazione della città, e cioè di un nuovo paradigma urbano. Esso dovrebbe essere caratterizzato da una organizzazione circolare, fondata sul recupero, riuso, riciclo, rigenerazione (n. 22, 180, 192, 211), imitando in questo modo il sapiente metabolismo circolare della natura.
L’attenzione alla città (esplicitata nei nn. 44, 49, 143, 148-152) si spiega perché è nello spazio fisico concreto della città che si realizzano (o meno) le relazioni ed i legami di cui sopra.
Sempre più la ricchezza di un paese/regione è rappresentata dalla ricchezza prodotta nelle sue città.

Ma le città sono anche grandi generatori di entropia: sono la fonte più rilevante di inquinamento e degrado ambientale, della destabilizzazione del clima, che incidono negativamente sulla salute e anche sulle condizioni economiche. Esse sono i luoghi dello spazio dove sono massimi i consumi energetici ed anche l’inquinamento oltre che le condizioni di frammentazione sociale. La causa più importante della destabilizzazione del clima e della stessa crisi ambientale è rappresentata proprio dalla organizzazione delle nostre città.

Occorre riorganizzare le città, per farle diventare realmente “città abitabili” (n. 143). La prospettiva è quella di una economia urbana sempre più ecologica, con una estrazione di risorse naturali dall’ecosistema ad una velocità non superiore a quella della rigenerazione. L’ambiente è un bene comune fondamentale: è il sistema che assorbe / sequestra i prodotti di rifiuto della città. Se collassa il sistema ambientale, va immediatamente in crisi il sistema insediativo e quello produttivo. Il fondamento dei valori economici si trova infatti “fuori” dall’economia, e cioè nei valori ecologici.

Questa economia ecologica, che imita processi organizzativi degli ecosistemi naturali con la minimizzazione e/o l’eliminazione di tutte le forme di rifiuto, è fondata su un metabolismo circolare (e non più lineare). Essa è meno de-territorializzata della attuale economia urbana: è legata alle caratteristiche naturali, geografiche, culturali/storiche del territorio specifico (per esempio, la produzione alimentare è legata ai luoghi di consumo) ed alla offerta di lavoro; è meno energivora, essendo sostenuta da fonti energetiche rinnovabili. Inoltre è meno fondata sul credito e molto più sul risparmio.

L’economia ecologica
Le caratteristiche dell’economia circolare si possono riassumere nello slogan delle “6 R”: Risparmio, Riuso, Recupero, Riciclo, Rigenerazione, Rinnovabili. Occorre ri-organizzare le città e l’apparato produttivo secondo processi circolari che favoriscano scambi simbiotici. Occorre organizzare insomma la transizione verso la città ecologica, caratterizzata da tre tipi di simbiosi: quella all’interno dell’apparato produttivo della città, quella tra città con il suo sistema industriale e quella della città con il suo territorio extraurbano. Ogni simbiosi è fonte di risparmi di materie naturali ed energia e quindi di rilevanti benefici economici, oltre che di benefici ambientali.
Occorre capacità di guidare la transizione verso la città delle energie rinnovabili, che da consumatrice di energia diventa essa stessa produttrice dell’energia di cui ha bisogno per funzionare.

Buone pratiche di rigenerazione urbana si stanno già realizzando in diverse realtà nazionali, sperimentando diverse simbiosi che confermano quanto sopra. Tutte queste esperienze producono evidenza empirica che cooperare è fonte di benefici reciproci, cioè conviene economicamente, oltre che essere utile dal punto di vista ambientale (perché riduce gli impatti climalteranti ed inquinanti) e sociale (perché produce nuova occupazione). Esse, più in particolare, dimostrano che la costruzione di “relazioni” e “legami” è il cuore della rigenerazione economica sostenibile.

L’elemento chiave è la prossimità spaziale. In questo modo il sistema industriale locale ed il sistema urbano diventano strettamente interdipendenti, e l’economia urbana diventa sempre più territorializzata e quindi più resiliente. La produzione della ricchezza economica viene inoltre disaccorpata dalla produzione di impatti ambientali negativi.
L’economia ecologica, che assume un orizzonte temporale di medio lungo periodo, riconosce i valori intrinseci, oltre a quelli strumentali.

L’economia solidale
Inoltre, si può prevedere che nella transizione di cui sopra, l’economia urbana si caratterizzerà sempre più per nuovi modelli organizzativi di tipo ibrido tra profit e non profit, tra pubblico e privato. L’incapacità del capitalismo speculativo a combinare la produzione di ricchezza con la sostenibilità ecologica suggerisce la necessità di “andare oltre” l’organizzazione tradizionale. L’economia solidale rappresenta uno “spazio terzo” tra stato e mercato, tra pubblico e privato dove lo scambio non è solo tra equivalenti monetari (ne’ sulla base di prezzi amministrati) e dove si supera l’approccio del trade off tra efficienza ed equità sociale.

In effetti, l’impresa capitalistica è sempre più percepita – forse più della città – come la responsabile della crisi ambientale globale e del cambiamento climatico, dove cioè si lucrano profitti a spese della comunità; dove si assume che il perseguimento di istanze sociali (la salute degli operai, il loro benessere) ed ambientali è compito delle istituzioni pubbliche e non dell’impresa.

L’impresa solidale rappresenta un ibrido tra l’impresa capitalistica e l’impresa sociale. E’ l’impresa che produce non solo ricchezza economica ma anche le condizioni non economiche dello sviluppo economico, che sono il capitale sociale ed ambientale: relazioni, che diventano legami e che sono il presupposto per nuove forme di cooperazione nella produzione di nuove catene di valore.

In un certo qual modo, questa forma ibrida si può ricondurre alla economia civile che nacque nei Comuni in Italia (con le Gilde, Le Confraternite, I Monti dei Pegni, le Corporazioni di Arte e Mestieri etc), e che Antonio Genovesi propose nelle sue Lezioni, allorquando sottolineava il ruolo della fiducia, reciprocità, mutua assistenza, virtù civili e non solo dei contratti nella produzione di ricchezza.

Questa forma di organizzazione economica che incorpora anche obiettivi sociali, rappresenta un processo economico che produce anche comunità: relazioni e legami sociali, capacità di auto-organizzazione ed auto gestione. Essa si può esplicitare in particolare nella gestione dei beni comuni. Essa è in grado di prendersi cura degli spazi pubblici: delle piazze, paesaggi, fontane, delle aree monumentali: attraverso una loro idonea gestione si possono ri-generare relazioni legami e quindi comunità e quindi ricchezza.

La gestione ed anche la progettazione degli spazi pubblici (n. 151), sta diventando un elemento di assoluta rilevanza e centralità, per produrre creativamente novità (cioè capacità di vivere insieme). Dagli spazi pubblici si può partire per rigenerare relazioni che diventano legami capaci di generare nuove catene di valore. Gli spazi pubblici sono i luoghi della economia ecologica, dell’economia della cultura, dell’economia solidale, oltre che della economia immobiliare, commerciale/terziaria e turistica. Essi, se bene gestiti, possono diventare catalizzatori di coesione sociale, di sicurezza, oltre che di salute, benessere, efficienza e ricchezza

Conclusioni
Economia ecologica ed economia solidale contribuiscono alla umanizzazione della città del XXI secolo. In esse si integrano la razionalità strumentale e la razionalità relazionale/ multidimensionale. Vengono stimolate sinergie, simbiosi, capacità coordinativa, co-evoluzione, co-creazione e non solo approcci competitivi/conflittuali.

La sfida è quella di fare diventare queste forme di economia dalle attuali nicchie ad una realtà più diffusa, in modo da contribuire alla coesione urbana/ territoriale. Esse promuovono la sostenibilità intesa come capacità rigeneratrice di circolarità, che esprime la struttura organizzativa di tutti gli eco-bio sistemi.

Occorre apprendere dalla natura piuttosto che estrarre da essa. Esiste una ricchezza economica nascosta nelle nostre città rappresentata dal patrimonio di risorse naturali accumulato sotto forma di rifiuti vari. La proposta che emerge, dunque, è quella di una strategia di rigenerazione ambientale come strumento della rigenerazione del sistema economico e dello stesso sistema urbano. I benefici sul piano occupazionale sono rilevantissimi, come evidenziano tante buone pratiche.

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