Gli antichi avevano un’alta considerazione della terra come luogo generativo della vita e fonte di nutrimento per gli esseri. L’uomo moderno ha perso questo legame naturale e simbolico con la terra. Ma questa è il vero bene comune indisponibile per il futuro della famiglia umana: il rispetto per la vita parte dal riconoscimento di un ancestrale bisogno di terra

Gli antichi e, in particolare, i Greci avevano un’alta considerazione della terra come luogo generativo della vita e fonte di nutrimento per gli esseri. Basti su tutti ricordare il mito di Prometeo e l’azione plasmatrice dell’essere umano che egli compie, per volere degli dei, attraverso il fango. Nei popoli arcaici la terrà costituisce simbolicamente l’elemento basilare tre gli elementi naturali. Per questo è stata venerata e considerata madre di ogni cosa vivente da tutte le culture. Infatti, innumerevoli sono i racconti delle origini in cui la terra è protagonista.

Nel IV secolo a.C. il filosofo Empedocle ne fece uno dei quattro elementi costitutivi o “radici” del cosmo assieme all’acqua, all’aria e al fuoco. Nelle religioni del libro la terra è luogo reale e materiale, ma anche richiamo alla finitezza, alla caducità dell’esistenza, all’imperfezione. Inoltre è promessa di vita beata, luogo di stabilità e felicità per il popolo.

L’uomo moderno ha perso nei secoli questo legame naturale e simbolico con la terra. I processi tecnologici, l’era delle macchine e i progressi scientifici di creazione dell’artificiale hanno di fatto progressivamente slegato il rapporto viscerale che l’essere umano ha con la terra e i suoi beni. La terra è stata considerata come risorsa da sfruttare invece che come dono da custodire, rispettare e proteggere. I movimenti ambientalisti di fine Novecento, con merito, hanno posto l’attenzione sul valore morale che la terra e i suoi beni hanno per la persona e il senso del limite etico che dovrebbe sempre alimentare il rapporto tra il mondo naturale e l’individuo.

Il grande pensatore tedesco Martin Heidegger ha scritto di una sorta di “imperialismo planetario dell’uomo tecnicamente organizzato” per indicare il dominio del soggetto sulla realtà. L’enorme potenziamento delle possibilità di azione dell’uomo nel mondo, la sua capacità tecnica di manipolare il naturale, l’aumento delle possibilità scientifiche di previsione, orientamento e controllo degli eventi hanno condotto l’uomo moderno nel rischioso percorso di perdita del senso del governo planetario e di quanto in esso risiede. Abitare la terra oggi può voler dire vivere non solo con una nuova coscienza ecologica generale, circa la sostenibilità dello sviluppo umano e delle economie, ma significa soprattutto riacquistare criteri pratici e di giudizio sulle modalità di rapportarsi ai beni comuni naturali di cui la terra è custode.

Hans Jonas parlava di responsabilità per la permanenza in vita dell’uomo sulla terra e della terra stessa, ormai provocata e rischiosamente esposta alla forza dell’energia nucleare. Una sostenibilità che si ottiene soprattutto limitando e gestendo la sommatoria delle azioni collettive che gli individui concorrono a generare, incidendo in modo negativo sulla biosfera, incrinando il rapporto di sostenibilità tra la famiglia umana, in esponenziale crescita, e il bene terra. Per Jonas l’orizzonte antropocentrico del pensiero occidentale va superato a favore di una considerazione globale del naturale e delle sue plurime forme di vita. In tal senso, l’uomo contemporaneo dovrebbe controllare l’ansia di dominio della realtà in funzione di una nuova presa d’atto dell’inviolabilità costitutiva dell’equilibrio uomo-ambiente, se non altro per garantire alle generazioni future le condizioni di possibilità del permanere della vita: "Conservare intatta quell’eredità attraverso i pericoli dei tempi, anzi, contro l’agire stesso dell’uomo, non è un fine utopico, ma il fine, non poi così modesto, della responsabilità per il futuro dell’uomo" (da Il principio responsabilità. Un etica per la civiltà tecnologica, Eiunaudi 2009).

La terra è per l’uomo promessa di vita. Questo però presuppone un decentramento del soggetto rispetto a ciò che è dono per la vita. Ogni logica antropocentrica rischia di ferire ulteriormente il già fragile legame che ci fa viventi nel regno dei viventi. Il filosofo e teologo Pannikkar, alcuni decenni fa, ha scritto di una “saggezza antica”, eco-sofica. Essa "esprime la tradizionalissima consapevolezza che la Terra è un che di vivente, tanto nelle sue parti quanto nell’insieme. (…) Al centro del dibattito è il nostro modo complessivo di rapportarci con la materia e il mondo fisico-sensibile". Per questo la terra “va ascoltata”, amata e interpretata nel suo senso profondo e nel suo richiamo all’essenziale. Un mondo sempre più artefatto rende inascoltabile le fonti della vita e complessa l’esistenza sul pianeta.

La terra, dunque, è il vero bene comune indisponibile per il futuro della famiglia umana. Il rispetto per la vita parte dal riconoscimento di un ancestrale bisogno di terra. Che è dono generativo e promessa affinché l’uomo abbia la vita e l’abbia in abbondanza. Essa, come dice il Cantico delle creature, è la sorella e la madre che ne sustenta et governa.

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