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E’ necessario elaborare un modello inedito di identità maschile e femminile, non più basato sulla separazione o sulla contrapposizione dei sessi, ma sulla loro coniugazione creatrice. Non si tratta cioè di negare le differenze, ma di imparare ad integrarle in relazioni più profonde e più feconde, sia a livello affettivo che nelle dinamiche sociali

Uno dei fenomeni più evidenti della crisi antropologica che stiamo attraversando è lo sconvolgimento delle identità sessuali. Anzi potremmo pensare che la rivoluzione in atto tragga proprio dal rimescolamento dei contenuti secolari delle identità maschile e femminile la propria maggiore irruenza. E questo rimescolamento urge in particolare nell’anima delle donne. Già alla fine dell’800 un grande pensatore russo come Vladimir Solovie’v scriveva: “Nelle epoche in cui le vecchie forme delle idee vitali si sono esaurite, hanno perso vigore e si esige il passaggio a nuove concezioni ideali, le donne, se non prima, certo con più forza e decisione degli uomini, provano un’insofferenza per i limiti tradizionali della vita e l’impulso a uscirne verso il nuovo, verso il futuro. (…) L’agitazione dell’anima femminile è un segno evidente di questa necessità e dell’avvicinarsi del suo compimento”.

Un modello antropologico millenario, infatti, viene ogni giorno confutato e ribaltato, quello in base al quale sussisteva una netta separazione dei ruoli sociali tra maschi e femmine. Quello schema cioè che sostanzialmente attribuiva al maschio la vita esterna, il lavoro, la politica, la guerra, il diritto alla parola, e quindi il potere; mentre riservava alla femmina l’intimità della casa, l’educazione dei figli, il silenzio, i sentimenti e l’obbedienza, insomma le tre famose k della tradizione tedesca: Kinder-Kirche-Kuche: bambini, chiesa, cucina.

Questo modello evidentemente si sta disintegrando, e dove tuttora resiste mostra le sue restrizioni e coercizioni ormai intollerabili. Le donne in tutto il mondo vogliono lavorare e governare, parlare e fare anche la guerra. Nel 1907 abbiamo avuto perciò le prime deputate finlandesi, nel 1960 la prima donna primo ministro, e nel 1992 Marie Jopsen è diventata la prima vescova luterana.

Questi sconvolgimenti posseggono evidenti caratteri evolutivi, ci stiamo liberando da pregiudizi secolari e da schiavitù che appartengono a quel tipo di figura antropologica che potremmo chiamare bellica: un tipo di umanità cioè che definisce le proprie identità per contrapposizione/separazione rispetto all’altro da sé.

Cionondimento questo processo evolutivo, come d’altronde tutte le spinte innovatrici della modernità, porta dentro di sé elementi distruttivi che oggi siamo chiamati a discernere con grande attenzione. Tutta l’epoca moderna infatti è un grande movimento verso la liberazione dell’uomo, che però rischia costantemente di trasformare il giusto anelito alla libertà in una corsa verso la distruzione di ogni senso.

Questo pericolo di trasformare l’anelito verso la libertà in furia distruttiva si è manifestato con evidenza, ad esempio, nei movimenti rivoluzionari otto e novecenteschi, che in nome della giustizia hanno spesso insanguinato la terra, o nel pensiero scientistico che in nome della libera ricerca scientifica ha finito per ridurre il mistero dell’uomo alle sue funzioni biologiche.

Ma anche nella giusta confutazione dei rigidi schemi patriarcali si mostra ormai chiaramente un intento distruttivo che tende a cancellare ogni differenza tra i sessi, e ad omologare così le persone, appiattendo e livellando e negando con sottile violenza tutto ciò che possa segnalare un’identità maschile o femminile ben caratterizzata.

Ci si vuole convincere che in fondo la differenza sessuale sia qualcosa del tutto indifferente, che esista soltanto il proprio gusto sessuale, che due maschi possano benissimo avere un figlio, che la sessualità non sia cioè una condizione legata alla generazione e alla procreazione, che insomma l’identità maschile e quella femminile in fondo non siano altro che pregiudizi antiquati di cui liberarsi.

Questa tendenza culturale appartiene al moto omologante e omosessuante di questo capitalismo avanzato, che vuole produrre persone calcolabili, come diceva Foucault, puri consumatori teleutenti, senza alcuna identità o appartenenza, neppure sessuale, atomi irrelati perciò, guidati solo da desideri egotici, e quindi del tutto pilotabili dai sistemi della propaganda e della pubblicità.

Noi dobbiamo contrastare con forza questa tendenza culturale, ed elaborare un modello inedito di identità maschile e femminile, non più basato sulla separazione o sulla contrapposizione dei sessi, ma sulla loro coniugazione creatrice. Non si tratta cioè di negare le differenze, ma di imparare ad integrarle in relazioni più profonde e più feconde, sia a livello affettivo che nelle dinamiche sociali. In tal senso aveva profondamente ragione Adrienne Rich, una delle maggiori esponenti del pensiero femminile, quando scriveva: “Liberare veramente le donne significa modificare il pensiero stesso, reintegrare quello che è stato chiamato l’inconscio, il soggettivo, l’emozionale, con lo strutturale, il razionale, l’intellettuale”.

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