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La sfida che oggi fronteggia la nostra società è quella di preservare il delicato equilibrio biologico della biosfera da un irreversibile degrado ambientale attribuibile alle attuali modalità di sviluppo…

Nella mia esperienza avevo registrato attenzione della Chiesa ai temi ambientali a partire dall’estate 1990, quando la Fondazione Lanza di Padova organizzò un Seminario internazionale a Borca di Cadore su “Etica e Ambiente”, cui presero parte ‘maitres-à-penser’ di alto profilo, da Udo Simonis a Christine Schräder-Frechette, da Boulder alla Rappaport e a Maffettone.

Fu quest’ultimo a spiegarci come, per il filosofo morale, fosse difficile prendere in considerazione le nozioni di solidarietà diacronica e di equità intergenerazionale come postulate da noi ambientalisti, essendo ‘non esistenti’ gli enti/soggetti portatori di diritto all’ambiente salubre e a risorse accessibili cioè le future generazioni.

Ragionammo lì di come gli umani usino occuparsi di ciò che è loro vicino nel tempo e nello spazio, attitudine che rende non semplice interagire con la dimensione naturale e globale di temi ambientali di fatto planetari, come planetario è l’ambiente dal punto di vista temporale, regolato da un orologio ecologico e da ritmi altri dai nostri.

Tale abitudine “ancestrale” fu certo una delle concause del prevalere culturale, nei secoli, dell’idea di ‘dominio’ dell’uomo sulla natura, radicata anche nella elaborazione ecclesiale nel rapporto tra San Francesco e il ‘Cantico’ della relazione ‘paritetica’ tra uomo e natura e San Tommaso e la ‘piramide gerarchica’ alla cui sommità si collocava l’uomo.

Vedemmo quanti e quali retaggi rallentassero la percezione di come l’aver eroso un capitale naturale ritenuto inesauribile, dal punto di vista di qualità e quantità delle risorse ambientali, avrebbe generato problemi gravi fino a mettere a rischio la prospettiva stessa della nostra sopravvivenza come specie.

Focalizzammo il contesto della moderna società complessa assillata dalla incertezza e governata da un modello culturale materialistico solo finalizzato a massimizzare consumi e profitti a scapito della larga maggioranza dell’umanità. Constatammo a quanto poco fosse valso l’allarme che a fine ’60 venne dall’Istituto di Tecnologia del Massachusetts con il testo “The limits to growth” (titolo tradotto in Italia infedelmente in “I limiti dello sviluppo” e non ‘della crescita’), che studiava l’andamento di indicatori demografici, consumi di energia e di risorse naturali limitate da parte di una società umana il cui modello consumistico di vita,dal secondo dopoguerra,aveva causato una impennata quasi esponenziale di gran parte di quegli indicatori,da cui discendeva quanto descritto a metà ’60, in termini di effetti ambientali ,da Rachel Carson nel suo ‘Primavera silenziosa’ .

La cultura cattolica italiana aveva espresso Giorgio Nebbia che, dopo la Conferenza di Stoccolma del 1972 aveva chiarito come si dovesse perseguire una società ‘neotecnica’ e come si dovessero superare le premesse che portavano alla equazione ‘società dei consumi = società dei rifiuti’.

Tra i frammenti di vissuto, infine, sbaglierei a non ricordare come la vicinanza ed attenzione della Curia ambrosiana di S.E. Martini mi avesse dato forza nell’affrontare e infine risolvere, anzitutto grazie all’adesione dei Milanesi alla nuova pratica di raccolta differenziata, la ‘emergenza rifiuti’ indotta a metà ’90 da chi intendeva lucrare illeciti profitti portando in modo ‘necessitato’ i rifiuti della città verso una discarica non pubblica.

Il Card. Martini delegò a visitare gli impianti di trattamento dei rifiuti residui (costruiti dentro capannoni dismessi in città a tempo di record e a costi industriali veri, quindi inferiori del 50% rispetto a quelli ipotizzati dai ‘discarichisti’), il Vescovo Ausiliario Mons. Erminio De Scalzi, oggi Abate di S. Ambrogio e già mio Parroco quando arrivai a Milano, avviatosi al Sacerdozio assieme all’amico di sempre Don Virginio Colmegna.

Percepii che qualcosa di ulteriore si stava ‘mettendo in moto’ in ambito ecclesiale quando ricevetti da Mons. Tarchi , ad inizi 2001, questa convocazione:

Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro
Servizio nazionale per il progetto culturale

Seminario di studio
Il cambiamento climatico: quale responsabilità per i cristiani?
Roma, Centro Villa Aurelia , via Leone XIII 459 , 9 marzo 2001

Programma
Ore 10.00 Introduzione e coordinamento
Simone Morandini, Fondazione Lanza, Padova
Ore 10.30 Riflessione etica
Philipp Schmitz, Università Gregoriana, Roma
Ore 11.15 Riflessione economica
Ignazio Musu, Università di Venezia
Ore 12.00 Dibattito
Ore 13.00 Pranzo
Ore 14.30 Riflessione scientifica
Antonio Navarra, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia del Cnr, Bologna
Ore 15.15 Riflessione politico-giuridica
Walter Ganapini, Presidente Agenzia Nazionale per l’Ambiente, Roma
Ore 16.00 Dibattito
Ore 16.45 Conclusioni

Dall’incontro sortì consenso ampio all’idea di un Gruppo di Lavoro CEI ‘Salvaguardia del Creato’. Tra i convocati da Mons. Tarchi ho sempre seguito Morandini, che ordinò i contributi di Giovanni Paolo II° in tema d’ambiente e poi ci preparò all’Enciclica con il suo “Custodire il futuro: etica nel cambiamento”, così ribadendo il ruolo centrale della Fondazione Lanza lungo questo percorso.

Pur avendo avuto la ventura di essere presente a questi momenti nei quali la Chiesa nelle sue articolazioni anche periferiche, da un quarto di secolo costruiva una propria analisi e un percorso culturale in materia di ambiente e sviluppo, mai avrei osato sperare in un così grande dono come quello che Papa Francesco ci ha fatto con la ‘Laudato si’ a partire da quell’ incipit che ci parla del grido di dolore della Terra, nostra casa comune.

Appariva improbabile negli anni della crisi sistemica in atto,una tardiva resipiscenza da parte delle istituzioni internazionali in tema di mitigazione degli effetti irreversibili da Cambiamento Climatico globale ed adattamento attivo alle nuove condizioni del Pianeta, l’unico che abbiamo e con la Impronta Ecologica che ci insegna che occorrerebbero 3,5 Terre se tutta l’Umanità volesse far proprio il modello materialistico-consumistico vissuto da 6-700 milioni di persone del Nord del mondo nel corso degli ultimi decenni.
Prospettive cupe si palesavano anche dal terribile degrado delle immense metropoli dei BRICS e delle aree industrializzate in Cina ed India, così come dalla deforestazione in atto dall’Amazzonia alla Indonesia.

A fronte di questo preoccupante quadro, nel 2015 si registrò invece il primo impegno vincolante assunto al termine della COP21di Parigi da quasi 200 nazioni in materia di lotta al Cambiamento Climatico: superato il negazionismo prezzolato dagli enormi interessi associati all’economia energetica fossile, si riconobbe che l’Umanità correrebbe rischi di estinzione qualora non fermasse il Riscaldamento Globale al di sotto dei +2°C e dunque ci si impegnò alle necessarie azioni per ridurre le emissioni di ogni modalità/driver in cui si articola l’attività antropica sul Pianeta.

Un tale risultato storico non si sarebbe conseguito se, sul piano morale e teologico, il 2015, grazie a Papa Francesco, non ci avesse donato la “Laudato si’. Da essa discendono riflessioni sull’ambiente come bene collettivo, patrimonio di tutta l’Umanità e responsabilità di tutti: chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti.

Si contrasta l’idea di una crescita infinita o illimitata, fondata su una menzognera disponibilità infinita dei beni del pianeta, che conduce a dissiparli oltre il limite, quasi esistesse «una quantità illimitata di energia e di mezzi utilizzabili, che la loro immediata rigenerazione sia possibile e che gli effetti negativi delle manipolazioni della natura possano essere facilmente assorbiti».

Il paradigma tecnocratico vede l’economia assumere ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza attenzione a eventuali conseguenze negative per l’essere umano,mentre la finanza dissennata soffoca l’economia reale e vede poche decine di famiglie possedere ricchezze pari a quelle di metà dell’Umanità e concentrarsi nel mascherare i problemi cercando solo di ridurne alcuni impatti negativi,mentre è evidente che effetti peggiorativi deriverebbero dal mantenere gli attuali modelli di produzione, di consumo, di vita basati sullo sfruttamento accelerato di risorse naturali limitate e di energia ottenuta in prevalenza da fonti di origine fossile altrettanto limitate.

Perciò occorrono nuove politiche finalizzate alla ‘decarbonizzazione’ dell’economia e alla riduzione di emissioni di anidride carbonica e altri gas climalteranti di origine antropica, a partire dal riformare un sistema industriale che non ha sviluppato la capacità di assorbire e riutilizzare rifiuti adottando un modello circolare di produzione che assicuri risorse per tutti e per le generazioni future,limiti al massimo l’uso di risorse non rinnovabili, moderi il consumo, massimizzi efficienza, riutilizzi e ricicli.

L’Enciclica contrasta la cultura dello scarto e prende atto degli scenari elaborati dalla scienza nel caso le concentrazioni di CO2 in atmosfera raggiungessero le 450 ppm (oggi siamo a 410 ppm e la celerità del Cambiamento Climatico preoccupa molto, al riguardo), esplicitando i rischi che l’uomo corre per gli effetti ambientali irreversibili di stili di vita dissipativi, fino alla estinzione della specie.

Con la “Laudato sì”, Francesco sussume l’analisi di cause ed effetti dei cambiamenti irreversibili indotti dall’attuale modello di sviluppo, condivisa dalla sostanziale totalità del mondo scientifico, e la contestualizza all’interno di una riflessione generale sugli effetti sociali devastanti di tale modello.

La terra è un sistema finito, dotato di una capacità limitata di rigenerazione delle risorse e di assorbimento dei rifiuti e un sano sviluppo della vita e dei sistemi sociali e di quelli ecologici è possibile solo conoscendo e rispettando i vincoli posti dall’ambiente naturale.

La sfida che oggi fronteggia la nostra società è quella di preservare il delicato equilibrio biologico della biosfera da un irreversibile degrado ambientale attribuibile alle attuali modalità di sviluppo.

Forte è l’esigenza di soluzioni in grado di coniugare la necessità di sviluppo dei sistemi economici con la conservazione degli ecosistemi: l’approccio della sostenibilità introduce al principio della responsabilità ecologica per la sopravvivenza futura del nostro pianeta ed a quello di equità intra- e inter-generazionale, per migliorare il tenore di vita dei più poveri,garantire la democrazia,assicurare alle generazioni future accesso alle risorse finite del Pianeta:l’evidente stretta interdipendenza tra povertà e degrado ambientale sottolinea il bisogno di integrare tutela dell’ambiente e sviluppo economico e sociale.

Dobbiamo tornare alla comunità, ci dice Fritjof Capra: “Ci sono ragioni per questo “ritorno” che illuminano particolarmente il nostro tempo di crisi, dando ad esso una speranza nuova; una ragione è legata alla sostenibilità, proprietà non dell’individuo di una specie ma di una comunità ecologica o sociale. Studiando la vita osserviamo che gli ecosistemi hanno sviluppato principi organizzativi di comunità. Per sostenere la vita dobbiamo nutrire le comunità in cui troviamo piacere nelle relazioni umane. Dobbiamo sognare un’economia informale basata sulla reciprocità sul dono, nascosta dalle statistiche ufficiali e che permette a uomini e donne di aiutarsi, di sentirsi meno soli, di assistersi, di parlarsi, di avere cura di sé avendo cura degli altri. La crescita qualitativa passa proprio dall’aver cura di sé, dall’aver cura degli altri, dall’aver cura del mondo“.

In un contesto siffatto la ‘filosofia’ di Trump ci parla di un orrido ‘cupio dissolvi’ da egoismo folle di una casta privilegiatissima che sta per uscire dalla storia e che vorrebbe trascinare l’Umanità con sé.

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