Proponiamo un’intervista realizzata a Manlio Milani, Presidente Associazione dei caduti di Piazza della Loggia

Sono passati 43 anni dal quel tragico 28 maggio del 1974. Cosa ricorda? Che sensazioni prova? Crede che finalmente oggi si sia fatta giustizia rispetto ai colpevoli? Cosa prova verso di loro?

Si. Sono passati 43 anni e il 20-21 giugno ci sarà finalmente la sentenza della Cassazione in riferimento alla responsabilità o meno della strage da parte di Carlo Maria Maggi, Capo di Ordine Nuovo del Triveneto, e di Maurizio Tremonti, militante e informatore. Sarà una giornata importante perché darà conto delle ragioni di una stagione che va dal ‘69 al ‘71, delle modalità con le quali è stata impedita al ricerca della verità. Ma sarà anche una giornata importante perché farà emergere ancora e di nuovo le risposte che le città e il Paese hanno saputo dare. Il raggiungimento di una giustizia rappresenta un elemento positivo perché dimostra che nonostante tutto la democrazia ha vinto. Quindi sul piano della giustizia, a giugno, vi sarà una risposta ma bisogna tenere presente che la democrazia aveva già vinto sul terreno della risposta democratica. Infatti le regole democratiche devono essere riconosciute ed arrivare a delle conclusioni. La giustizia in senso stretto è un terreno dello Stato; la giustizia “giudiziaria” è un cosa diversa.

Il ricordo di quel giorno è ancora vivo. E’ un passato che porto dentro di me. Bisogna distinguere bene tra racconto e memoria. Il racconto ha due funzioni: ricordare i fatti e raccontarli nelle loro dinamiche per riportare in vita le persone colpite. E’ anche un riproporre oggi il senso di quelle manifestazioni e le ragioni per cui quel 28 maggio eravamo in piazza. Quelle manifestazioni e lo sciopero generale si rivolgevano alla città e volevano dare un messaggio chiaro: alla violenza occorre rispondere con la forza della partecipazione, con l’esserci. La bomba colpiva il cuore stesso della democrazia, dello stare insieme. Venivano colpiti gli attori che volevano dire no alla violenza.

Ad oggi non sappiamo chi sia stato l’esecutore materiale della strage. Maurizio Tremonti è venuto una sola volta in aula mentre Maggi non è mai stato presente. Oggi vive su una sedia a rotelle. Questo stare lontani dai processi è un elemento negativo. Il processo è infatti un dibattito pubblico e invece i presunti mandanti si sono sottratti alla dimensione pubblica. Avrebbero dovuto difendersi: la loro non presenza mi ha pesato molto. Credo sia stato un grave errore. Non hanno voluto rendere conto della loro verità. Io non li ho mai condannati e credo che l’ergastolo sia atroce perché toglie la speranza. Anche la persona peggiore deve mantenere una speranza. Anche quando Maggi verrà condannato in via definitiva io mi batterò perché non venga messo in prigione vista la sua condizione di salute. Non sapremo mai chi è il colpevole effettivo della strage, chi ma messo quello bomba. Vorrei guardalo in faccia, capire le ragioni che lo hanno spinto a quell’atto.


La stage di piazza della Loggia, come altre stragi avvenute in quegli anni, è stato un evento che ha segnato la storia del Paese e della sua città. Lei è presidente dell’Associazione dei caduti di piazza della Loggia: ci può spiegare il significato del vostro impegno quotidiano?

Come dicevo prima, un conto è il ricordo ed un conto è la memoria. Il ricordo attiene ai fatti, a cosa hanno prodotto mentre la memoria è l’elaborazione delle ragioni per cui i fatti sono avvenuti. La memoria ha bisogno che vengano ascoltate le ragioni di tutti gli attori anche dei colpevoli; delle vittime, dei colpevoli – per comprendere le ragioni delle loro scelte – e delle istituzioni per comprendere azioni e scelte che hanno determinato o meno impunità e coperture. La memoria civile è quindi il risultato di tutte queste memorie. La memoria pubblica si deve basare sull’ascolto di tutti. E’ necessario comprendere anche le ragioni per cui una persona ha scelto di mettere le bombe. Un conto è l’esecutore materiale e un conto è chi ha ideato. La strage di piazza della Loggia ha segnato la città. Brescia ha una profonda tradizione cattolica; è una città che ha contributo alla Resistenza e alla costruzione della democrazia del Paese. Il 28 maggio venne colpita la sua pluralità, il suo essere città del dialogo, che sa ascoltare e scegliere dove stare. In quel giorno la sua storia venne messa in discussione. Ma da quel terribile giorno Brescia è riuscita ad essere un punto di riferimento per il Paese.

La Casa della Memoria è una realtà promossa dall’associazione “Casa della Memoria” ma anche dal Comune e dalla Provincia di Brescia. E’ un patrimonio comune della città. E questo è colto da tutti. Al di là delle idee politiche e delle scelte, la Casa della Memoria promuove valori in cui tutti si devono riconoscere: antifascismo, pluralismo, democrazia, inclusività di tutti e ascolto delle ragioni dell’altro. Stiamo costruendo un memoriale di tutte le vittime del terrorismo realizzando delle formelle che partiranno da Piazza La Loggia e arriveranno fino al Castello. In ogni formella ci sarà il nome della vittima, il luogo della sua uccisone e la professione. Leggere il nome di una vittima, la sua professione è ricostruire la sua storia e in definitiva la storia di un Paese colpito dal terrorismo. Dalla storia di queste vittime ci si accorge che il terrorismo colpisce tutte le professioni, tutti i ceti sociali, senza fare distinzioni.


Da molti anni va nelle scuole ad incontrare i ragazzi per fargli conoscere una parte di storia di questo paese, che si è consumata tra il 1969 e il 1974, per parlare di quelle stragi, della strategia della tensione. Che messaggio cerca di trasmettere? Che cosa pensa rispetto alle idee e delle azioni realizzate, nel caso specifico, dalla destra eversiva?


Oltre alle cose che già ho detto, nelle scuole facciamo un lavoro focalizzato sul racconto di cosa significa violenza. La violenza distrugge le persone, ignora la loro vita e disumanizza. Le persone non esistono più in quanto persone ma solo come numeri. E questo discorso vale anche per le stragi di oggi. Cerchiamo quindi di far capire ai ragazzi che sono possibili strade differenti a quelle della violenza. L’eversione di destra non ha capito che si era collocata nella parte sbagliata della storia. La loro storia era stata sconfitta, ma coltivavano l’idea che fosse possibile, tramite il ricorso alla violenza, una rivalsa storica. Le morti prodotte hanno invece prodotto il risultato esattamente contrario rispetto alle loro aspettative.

A suo avviso perché e come nasce un pensiero estremo in ambito sociale e politico? Un pensiero estremo è sempre negativo o può essere anche un fattore di cambiamento sociale e politico positivo?

Un pensiero estremo non è di per sé negativo perché può esprime la risposta a dei bisogni concreti a cui è necessario dare delle risposte. Faccio un esempio: occupare una casa di per sé è un atto sbagliato che dice però la necessita di rispondere ad un bisogno, ad un diritto; quello di avere un casa. La politica è chiamata ad ascoltare e a dare delle risposte, delle soluzioni. Quelle che non sono accettabili sono le forme di radicalizzazione che si esprimono nella sfiducia verso il sistema democratico, nell’uso della violenza in una dimensione che diviene totalizzante. Queste idee estreme nella storia hanno prodotto diverse forme di totalitarismo come ha sottolineato molto bene Giovanni Paolo II esprimendo a più riprese una ferma opposizione verso ogni sorta di totalitarismo. Nella logica del pensiero estremo di destra come di sinistra bisogna eliminare il nemico. In democrazia invece si deve fare i conti con i nemici, con chi la pensa diversamente da noi. Nella logica degli estremisti in vece “la causa” deve essere imposta a tutti i costi, deve prevalere. Per perseguire la causa bisogna annullarsi come persona: è la causa che deve vincere. Mi ha molto colpito, nella vicenda Moro, che le BR abbiamo messo al voto la morte o meno del leader democristiano. In sostanza si cerca di eludere la responsabilità del singolo.

Quindi il pensiero estremo può nascere anche da un bisogno sociale di cambiamento ma quello che lo caratterizza è la perdita del valore dell’altro come persona. Non si guarda più alla persona in quanto tale e si diventa fanatici. Per la destra la morte è un gesto eroico che glorifica, è un sacrifico rispetto ad un’idea assoluta. I terrorismi di destra e di sinistra sono accomunati dal rifiuto della Carta Costituzione, dell’idea di inclusione della persona, del principio che la persona ha bisogno di fiducia, come recita l’art. 27. Per noi invece bisogna dare fiducia alle persone e anche la pena deve essere tesa al recupero del colpevole. Ma anche la vittima deve attivare un percorso. Non deve vedere nel suo carnefice solo colui che ha prodotto un male; in questo modo la tua vita è bloccata sui fatti. Per questo non mi stancherò mai di dire no alla vedetta. Nella sofferenza è possibile attivare un processo di cambiamento e di liberazione.

In che modo idee filosofiche, religiose e politiche portano a scelte ed azioni estreme? Come e perché si diventa estremisti? Ed ancora, come evitare che forme di pensiero estremo assumano derive violente o terroristiche?

L’unico modo che abbiamo è il richiamo alla conoscenza e alla responsabilità. Il primo processo da realizzare è dunque quello di interrogarci sulle ragioni della violenza di ieri e di oggi. Dobbiamo interrogarci sulla storia. Non possiamo fare finta, ad esempio, che il colonialismo non ci sia stato. Le persone che vengono nei Paesi europei fuggono dalla miseria e da guasti che la storia occidentale ha prodotto. Non dobbiamo vivere questa esperienza con senso di colpa, ma con una tensione alla verità storica. Il secondo processo che è necessario realizzare è quello di saper guardare alla dimensione del bene comune capire che non è giusto che alcuni stiamo molto bene ed altri troppo male. Il bene comune è una tensione costante all’interesse generale. Non bisogna dimenticare mai il valore della persona. Uccidere una persona è come uccidere il mondo intero. E’ importare guardare sempre il volto della persona, alzare lo sguardo. Il dialogo, a mio avviso, è l’unica via possibile di uscita dalle derive violente ed estreme. Come diceva Etty Hillesum – scrittrice di origine ebraica, morta nel campo di concentramento di Auschwitz – è necessario guardare anche a quel briciolo di umanità presente nell’aguzzino dei campi di concentramento. Bisogna quindi avere una grande fiducia nel dialogo che deve portare al compromesso alto come è avvenuto in Italia in occasione della firma della Carta Costituzionale.

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