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Nell’epoca dei social media, il mestiere del giornalista è sempre più importante. Passare notizie che lo siano davvero, usare e spiegare bene i dati disponibili, incrociare le fonti e contestualizzare i fatti, e quindi in sostanza essere credibili, non solo è un dovere professionale ma è un servizio prezioso a una convivenza civile in cui scelte private e pubbliche non siano guidate dalla paura

Il terrorismo fa paura: è la tragica mission di questa multinazionale della morte. Ma se è vero che non si può decidere di non aver paura, quasi sempre ci resta la possibilità di decidere come reagire. E per prendere una buona decisione le informazioni disponibili sono molto importanti. D’altra parte, la paura offre un accesso alla nostra pancia, prima che alla nostra coscienza. Pertanto entrare in una comunicazione così profonda richiede un livello di responsabilità molto alto. Come si giocano i media questo grande potere, che Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali 2016, ha chiamato “prossimità"?

I fatti prima di tutto
A fine 2015 la scuola medica di Harvard e l’Università di New York hanno condotto uno studio per capire le cause e gli effetti della paura da terrorismo a livello collettivo. Come sottolinea in proposito Arianna Pescini in un suo recente contributo, oltre alla numerosità di “sindromi ansioso-depressive” registrate lontano dai luoghi degli attentati, colpisce che a causarle ha contribuito fortemente anche la “copertura intensiva dei media che genera un vero e proprio bombardamento mediatico”. Un’overdose da breaking news e ricostruzioni parziali fatte per far sentire a chi legge una prossimità dei fatti interessata. Un meccanismo informativo infatti che normalmente accresce il consumo di queste stesse notizie, alimentando così un circolo vizioso tra caccia ai lettori, paura e disinformazione.

Al contagio della paura mediamente quindi non corrisponde un contagio altrettanto forte di informazioni corrette e complete. E se questo è comprensibile nei primi istanti successivi all’evento – in cui le informazioni giungono in modo frammentario e purtroppo imperversa nelle redazione, tra le altre, anche la paura di “bucare” la notizia – già dopo un’ora dai fatti non lo è più.

Dopo le recenti bombe a Bruxelles e il conseguente picco sul “paurometro” tra titoli dei media e gli status sui diari di Facebook, Raphaël Zanotti su La Stampa, ha analizzato un’interessante base di dati dal 1970 al 2014 relativa all’Europa, proprio sugli atti terrorismo e le conseguenti vittime; e ha mostrato come la reazione agli ultimi fatti sia statisticamente irrazionale – diciamo così – se facciamo memoria di quello che è successo in particolare tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80.

Allarmi ingiustificati, bufale e autocensura
Sullo sfondo del rapporto terrorismo-paura-informazione è utile mettere in luce alcuni fenomeni paralleli.

Per esempio, la frequente produzione di notizie in cui il fenomeno delle migrazioni, e le persone dei migranti, sono spesso esclusivamente associati a fatti di cronaca nera. E invariabilmente trattati in termini emergenziali se non chiaramente discriminatori, come registra da anni il Rapporto dell’associazione “Carta di Roma”.

Ci sono poi siti che letteralmente fabbricano notizie false, o molto molto fantasiose, le cosiddette “bufale”. Ce ne sono ormai talmente tanti che è sorta una rete di siti web impegnati parallelamente a smascherarli e a riformulare correttamente le notizie (il cosiddetto debunking). Il problema delle bufale è che oltre a propagarsi, soprattutto nei social media, a grandissima velocità, qualche volta diventano fonti (le uniche, purtroppo) per organi di stampa più accreditati. A proposito degli attentati di Bruxelles diverse sono le notizie false o manipolate che si sono infilate nel flusso di informazioni di quei momenti drammatici.

Dalle notizie manipolate che mettono paura alla paura di dare le notizie. Uno dei motivi per cui tante volte troviamo pubblicate notizie false o molto approssimative è che fare davvero il giornalista richiede tempo, competenza, responsabilità e coraggio. Fattori non sempre graditi sia ad alcuni editori che ad altri portatori d’interesse. Molti giornalisti quindi non passano le notizie per paura di intimidazioni e pressioni di varia natura. Una criticità del giornalismo di cui è piena la letteratura e la cinematografia ma che, secondo il Consiglio di Europa, è “virtualmente sconosciuta”, come recita l’introduzione di un questionario di ricerca per giornalisti (Journalists at risk: part of the job?) lanciato proprio per tracciare i confini del fenomeno.

Misericordia è anche informare correttamente
Papa Francesco nel messaggio Comunicazione e misericordia: un incontro fecondo, che ho citato all’inizio, sottolinea l’importante responsabilità di chi ha il ruolo di informare l’opinione pubblica “affinché siano sempre vigilanti sul modo di esprimersi nei riguardi di chi pensa o agisce diversamente, e anche di chi può avere sbagliato. È facile cedere alla tentazione di sfruttare simili situazioni e alimentare così le fiamme della sfiducia, della paura, dell’odio”; perché “in un mondo diviso, frammentato, polarizzato, comunicare con misericordia significa contribuire alla buona, libera e solidale prossimità tra i figli di Dio e fratelli in umanità”. Il Pontefice inoltre ricorda che “non è la tecnologia che determina se la comunicazione è autentica o meno, ma il cuore dell’uomo e la sua capacità di usare bene i mezzi a sua disposizione”.

Nell’epoca del web e dei social media, in cui i vecchi lettori sono sempre più spesso amplificatori quando non anche produttori di contenuti, il mestiere del giornalista – al netto delle pressioni editoriali ed economiche e dei chiari di luna del settore dell’editoria – è sempre più importante. Passare notizie che lo siano davvero, usare e spiegare bene i dati effettivamente disponibili, incrociare le fonti e contestualizzare i fatti, e quindi in buona sostanza essere credibili, non solo è un dovere professionale, ma è un servizio prezioso a una convivenza civile in cui le scelte private e pubbliche non siano guidate dalla paura.

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