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Provare a sperare di fronte al regime del terrore. Ma davvero la paura può diventare la forma che dà sostanza alla nostra vita? Davvero possiamo vivere una vita nella “paura di”? Eppure è così: incertezza e imprevedibilità, timore e terrore, sospetto e sfiducia: tutto minaccia il dramma incombente, la lacerazione, la caduta. In realtà il fato è lì, dietro l’angolo: non lo vedi? Sì, si intuisce. Ma è proprio questo clima a generare la mobilitazione continua, l’edizione straodinaria, l’ansia da emergenza: l’emergenza come ordinarietà.

Realisticamente parlando… abbiamo davvero tanti motivi per essere timorosi. Ma davvero la paura può diventare la forma che dà sostanza alla nostra vita? Davvero possiamo vivere una vita nella “paura di”? Eppure è così: incertezza e imprevedibilità, timore e terrore, sospetto e sfiducia: tutto minaccia il dramma incombente, la lacerazione, la caduta. In realtà il fato è lì, dietro l’angolo: non lo vedi? Sì, si intuisce. Ma è proprio questo clima a generare la mobilitazione continua, l’edizione straodinaria, l’ansia da emergenza: l’emergenza come ordinarietà.

Parole come pace e giustizia passano in secondo piano, quando il mondo va in fiamme e l’unica forma possibile di giustizia è quella militare, quella che regola con la forza (sottraendo spazio alla forza della regola, anche della regolarità, della pace, del giusto ordine). Così anche l’economia, che ormai ha assunto il trend nevrotico e il mood tossico della parte più estrema della finanza, diventa fattore di instabilità. Di questo passo corriamo verso un futuro inimmaginabile, costruito sulle contingenze forse programmate, magari inventate a tavolino da qualche stratega che sa prevedere le mosse di questo mondo multipolare e dalla personalità multipla.

Ci sono alcuni ambiti sociali e culturali che fanno parte di noi, che ci costruiscono e danno il tono perfino alle singole vite: le riempiono di paura e sospetto oppure di coraggio e desiderio. Ma molti ambiti sociali vivono nell’ombra minacciosa di ciò che sarà. La nota frase sui muri “il futuro non è più quello di una volta” ci convince anche del fatto che se ancora vogliamo dire “speranza”, allora non possiamo più usare le parole di una volta. E allora ecco questo numero di BeneComune, sulla società della paura: con lo scopo di capire un poco di più e meglio. La paura nella comunicazione, nell’economia, nella società, nelle relazioni internazionali, nella chiesa… Apriremo l’articolo di Marco Guzzi, che ci offre una cornice di profondo spessore culturale sulla paura, parola-chiave dei nostri tempi. Poi continueremo con il contributo di Fabio Bordignon che ci ricorda come la paura costituisca una moneta preziosa, dal punto di vista politico. Troppo redditizia, per non trovare partiti e leader pronti a veicolarla. A cavalcarla e rappresentarla nel tentativo di trasformarla in consenso.

A seguire l’articolo di Tonino Cantelmi che ci offre alcune indicazioni su come reagire al terrore e alla paura attraverso il recupero di un’identità europea più chiara e radicata, oggi colpevolmente smarrita e quello di Simone Sereni che ci aiuta a comprendere le responsabilità e il ruolo dei media professionali che dovrebbe essere molto più attenti alla qualità delle notizie, disinnescando paure immotivate e aiutando i cittadini a capire meglio cosa succede. Ed ancora, l’articolo di Maurizio Ambrosini che sottolinea come i recenti attentati terroristici abbiano alzato la soglia dell’allarme e del rifiuto nei confronti di immigrati e rifugiati generando un fenomeno di proiezione sui migranti, da parte dell’opinione pubblica, di paure e inquietudini profonde e radicate. A chiudere, il contributo di Gianni Bottalico che, dopo aver sottolineato le due paure emergenti, quelle legata al terrorismo e alla precarietà sociale, ci invita non avere paura e ad attraversare il cambiamento con fiducia e speranza, superando l’inerzia sociale.

Ecco dunque il nostro contributo per decostruire una struttura sociale dell’ombra. Sì, nel mondo c’è anche quella, non possiamo rifiutarla. Ma vorremmo riscoprire quella grazia umana che ci fa vivere la vita sociale e politica con quella saggezza che sa guardare alle cose con appassionato distacco, con quella sana relatività per cui “ci pensa la vita”, con la speranza che non si limita a credere in ciò che vede perché “vede” anche ciò che crede. Fosse solo anche la luna di Ligabue.

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