La ricerca dell’IREF “Il Ri(s)catto del presente” affronta uno dei temi chiave della società italiana: la scarsa valorizzazione delle giovani generazioni nei processi di sviluppo sociale ed economico del paese. E si chiede: le principali difficoltà che incontrano i giovani nel mercato del lavoro possono essere lette in termini di capacità di reazione e di aggiramento dei vincoli dati dal contesto occupazionale?

La ricerca presentata recentemente dall’IREF Il Ri(s)catto del presente affronta uno dei temi chiave della società italiana: la scarsa valorizzazione delle giovani generazioni nei processi di sviluppo sociale ed economico del paese. Il rapporto pone al centro della riflessione un tema di grande interesse: le principali difficoltà che incontrano i giovani nel mercato del lavoro possono essere lette in termini di capacità di reazione e di aggiramento dei vincoli dati dal contesto occupazionale?

I dati e le argomentazioni fornite dall’IREF indicano che non solo ciò è possibile ma anche auspicabile soprattutto nel disegnare strumenti che facilitino i processi di transizione puntando sulla naturale vocazione mutualistica delle giovani generazioni. Ma proprio per rafforzare tale visione occorre superare la dimensione contingente e riflettere sulle dinamiche storiche che caratterizzano la condizione giovanile. Sebbene tratti di un problema contingente, in realtà la questione giovani è antica e, verosimilmente, appartiene alla nostra storia recente almeno quanto la questione femminile.

L’andamento dell’occupazione giovanile dagli anni ‘70 in poi mostra, ad esempio, che anche la cosiddetta generazione dei baby boomers aveva un rapporto difficile con il mercato del lavoro. Tra il ’70 ed il ‘75, gli anni in cui si sono affacciati al mercato del lavoro i giovani nati nel primo dopoguerra, il tasso di occupazione dei giovani tra i venticinque ed i ventinove anni (ossia la categoria più adulta della componente “giovani” quella che naturalmente dovrebbe aver completato il percorso di transizione) era pari al 60%, circa 14 punti percentuali in meno rispetto a Francia e Germania, proporzione che per le donne giovani era ancora più penalizzante.

Negli anni ottanta il tasso di occupazione sale ma resta comunque al di sotto dei valori registrati nei nostri partener europei. Con gli anni novanta lo scenario peggiora nuovamente (nel 1995 sono occupati il 58,7% dei giovani tra i 25 ed i 29 anni contro il 73% dei tedeschi ed il 75% dei francesi) ed il divario   torna a crescere. Con il nuovo millennio la situazione non cambia e con la crisi il tasso disoccupazione cala fino a raggiungere il 54% nel 2016, quindi punti percentuali in meno della Germania e dieci della Francia.

Tasso di occupazione dei giovani tra i 25 ed i 29 anni in Italia, Francia e Germania

1970 1975 1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015 2016
Francia Uomini 95,1 93,4 91,5 85,8 85,6 80,4 81,5 83,2 81,9 78,4 79,3
Donne 54,2 61,0 64,6 64,0 66,3 64,7 67,9 71,9 72,5 68,6 70,2
Totale 74,6 77,5 78,0 74,8 75,8 72,5 74,6 77,4 77,1 73,4 74,7
Germania Uomini 93,7 85,5 84,7 77,5 79,7 79,2 81,1 74,2 78,7 80,6 80,7
Donne 49,7 54,9 60,3 58,7 63,2 67,1 70,0 65,3 72,4 75,5 75,7
Totale 72,5 70,7 72,8 68,4 71,7 73,3 75,6 69,8 75,6 78,1 78,3
Italia Uomini 90,6 89,8 87,2 82,7 79,4 71,1 69,4 72,7 66,8 58,6 61,3
Donne 31,8 37,6 47,4 47,2 49,9 46,0 48,7 53,7 50,7 45,7 46,0
Totale 60,1 62,6 66,9 64,4 64,6 58,7 59,1 63,3 58,7 52,2 53,7

Fonte: ISTAT e Ocse

 

La semplice ricostruzione storica chiarisce due aspetti:

  • in primis, che dagli anni settanta in poi una quota rilevante di giovani italiani nel pieno della maturità sociale è fuori dal mercato del lavoro (tra il 40 ed il 47%);
  • che nel tempo è aumentata la presenza delle giovani donne ma nel complesso il mercato ha continuato a penalizzare la componente giovane, quella che per definizione ha il maggior tasso di scolarizzazione rispetto ad adulti ed anziani.

Le ragioni di questo sostanziale incapacità del nostro mercato del lavoro di valorizzare il capitale umano giovanile (che appare incontrovertibile soprattutto se confrontata con le economie di Francia e Germania) sono molte e sono state oggetto di studio per anni. Ma quel che appare sempre più chiaro è che il problema non sta né nella scarsa capacità dei giovani di rapportarsi con il mercato, né in una ridotta sensibilità verso il tema del lavoro, né tantomeno nei livelli di scolarizzazione fortemente cresciuti nel tempo. I dati di una recente indagine Lavoro consapevole. Giovani e accesso la mondo del lavoro: quale futuro – condotta dal Censis e promossa da Assolavoro e dall’Associazione Job in Action– mostrano, infatti, che i giovani non solo hanno di gran lunga i livelli di scolarizzazione più elevati della forza lavoro ma anche un visione assai realistica del mercato attribuendo al lavoro una centralità addirittura superiore a quella delle generazioni passate.

A questo proposito le indicazioni fornite dai giovani intervistati dal Censis circa le ragioni del basso tasso di occupazione giovanile appaiono di notevole interesse. Il 47% del campione segnala il prolungamento dell’età pensionabile come causa primaria mentre per il 38% riconduce la riduzione della domanda di lavoro alla crisi. Accanto alle ragioni di tipo strutturale il campione, nel 40% dei casi, attribuisce le difficoltà occupazionali al mal funzionamento del sistema di incontro tra domanda ed offerta di lavoro mentre il 20% segnala le scarse opportunità di formazione professionale. Si tratta di una valutazione estremamente coerente e lucida che alle evidenti contraddizioni strutturali (anziani al lavoro e giovani fuori come ha recentemente ricordato Papa Francesco) e ai fattori congiunturali (la crisi) somma le carenze del nostro sistema di intermediazione e formazione professionale.

Inoltre è interessante notare che solo il 20% del campione ritiene che le difficoltà occupazionali dipendano dalla educazione ricevuta (a scuola o all’università) e sempre solo due su dieci fanno riferimento alla scarsa capacità di adattamento dei coetanei alle esigenze del mercato. Comunque, oltre l’80% degli intervistati sarebbe disponibili ad accettare qualunque lavoro che consenta di fare esperienza, con buona pace di chi crede nella perdita della centralità del lavoro per le giovani generazioni.

Ma la maggiore lucidità i giovani la dimostrano nella ricerca del lavoro. Come è noto da noi prevalgono i canali personali (amici e parenti) in misura molto maggiore che in altri paesi europei ed è più circoscritta la quota di giovani che ricorre ai servizi di intermediazione pubblici e privati (CPI ed APL). Ma detto ciò è interessante osservare le azioni nel dettaglio per capire se tale comportamento sia dovuto ad una scarsa capacità di orientamento o se, invece, sia consapevole e dettata semplicemente da una “strategia di sopravvivenza”.

Tra coloro che hanno fatto una ricerca di lavoro inviando il CV spontaneamente alle imprese (il 79% degli intervistati) solo l’12% dichiara che tale azione è andata a buon fine. Ed anche tra quelli che si rivolgono a parenti ed amici solo nel 14% dai casi tale azione risultata determinate per trovare lavoro. Anche la ricerca sfruttando l’attuale sistema di servizi per il lavoro da pochi risultati ed i giovani lo sanno bene. Se il 48 % degli intervistati contatta un CPI solo nell’8% dei casi il contatto risulta determinate e percentuali analoghe si rilevano per chi si è rivolto alle agenzie private (44%) e ha trovato lavoro (14%). In sostanza i giovani affrontano le diverse fasi della transizione professionale in grande solitudine, sfruttando tutti i canali a loro disposizione ma nella piena consapevolezza dei limiti di tale strategia. E non è un caso che Internet sia comunque il canale più usato per la ricerca del lavoro (64 %) dal momento che nel 25% dei casi il web risulta determinate. Si fa di necessità virtù.

Ma il dato per certi versi più interessante riguarda il contatto con il lavoro. Tra i giovani intervistati che hanno fatto colloqui o selezioni (76%) il 43% sostiene che tale esperienza è risultata decisiva a conferma che, quando il giovane riesce ad entrare in relazione diretta con il suo potenziale datore di lavoro cresce significativamente la probabilità di trovare lavoro.

La chiave di volta sta quindi nel rafforzamento delle misure di accompagnamento che puntino ad avvicinare i giovani alle imprese, senza le quali i processi di transizione diventano più difficili. Se si guarda agli ultimi tre anni, da quando sono stati introdotti dal Governo gli incentivi alle assunzioni, alcuni importanti risultati stati raggiunti. Tuttavia ad aver beneficiato degli incentivi all’assunzione sono stati soprattutto i lavoratori adulti ed anziani cresciuti significativamente di più della componente più giovane degli occupati. Ma è proprio questo il punto. Per garantire una migliore transizione al lavoro dei giovani occorre ampliare significativamente la loro partecipazione alle politiche attive sfruttando meglio i servizi, i percorsi di apprendistato duale, sostenendo l’alternanza scuola lavoro, garantendo una maggior partecipazione a programmi di formazione professionale proprio per avvicinare sistematicamente i giovani alle imprese,  sfruttando quindi gli incentivi alle assunzioni come strumento per “consolidare sul campo” un rapporto di fiducia reciproca senza il quale difficilmente saremo capaci di smantellare quelle barriere generazionali che ancora dominano la nostra cultura del lavoro.

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