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Le banche sono ad un incrocio pericoloso. In questo incrocio c’è, per esempio, una strada porta ad aprire il credito per sostenere le imprese e rilanciare l’economia. Ma di fronte c’è la strada opposta, che porta a restringere il credito per ridurre le sofferenze creditizie. Poi c’è la strada che porta ad applicare rigorosamente le norme che il “codice europeo” […]

Le banche sono ad un incrocio pericoloso. In questo incrocio c’è, per esempio, una strada porta ad aprire il credito per sostenere le imprese e rilanciare l’economia. Ma di fronte c’è la strada opposta, che porta a restringere il credito per ridurre le sofferenze creditizie. Poi c’è la strada che porta ad applicare rigorosamente le norme che il “codice europeo” impone. Ma la strada opposta porterebbe invece a sostenere le comunità e la loro vita (magari con quell’elasticità che potrebbe chiamarsi buon senso). Che si fa, allora, a questo incrocio? Le banche italiane sono mediamente in buono stato. Molte sono piccole, ma possono anche essere ben patrimonializzate e non hanno nelle loro casse troppi derivati.

Ma è lo scenario europeo ad essere cambiato. Nuove norme, più rigide e centralizzate, con lo Stato che ha deciso (oppure: versione forse più corretta, che ha delegato la decisione ai tecnici) per sé un ruolo meno pregnante. Il vigile – ora – lascia che di fronte alle crisi se la sbrighino tra di loro. In fondo il meccanismo del bail in non è forse questo?
Ma nella vita economica e finanziaria delle imprese, delle comunità, dei cittadini non tutto non si risolve con la tecnica e con una serie più o meno azzeccata di indicatori e numeri, non tutto sta nella rigida applicazione di norme uniformanti.

A noi, per esempio, stanno a cuore le banche che fanno crescere le comunità, quelle che conoscono per nome le persone e le situazioni, che rischiano di costruire quel bene comune fatto di occupazione, di imprese coraggiose, di sostegno ai bisogni sociali attraverso anche delle relazioni costruite con la scuola, con il mondo del non profit (che ha tassi di sofferenza molto bassi), con l’ente pubblico, con chi fa cultura. A noi, per esempio stanno a cuore quelle banche dove l’aggettivo popolare, piuttosto che etico, o ancora cooperativo rappresenti non tanto un brand che differenzia l’offerta all’interno di un modello che si vuole unico, con le stesse regole e gli stessi obblighi, ma una reale missione.

Ecco…queste banche, che fine faranno? Saranno facilitate? Avranno “cittadinanza” nella nostra Europa?
Ecco allora il perché di questo numero. Dopo i tumultuosi ultimi mesi che hanno “messo in croce” le banche avevamo giusto bisogno di mettere un po’ di ordine nella nostra visione delle cose, capire dove stava la posta in gioco e dove si collocavano le priorità. Per questo leggerete un interessante confronto (virtuale) tra Sergio Gatti, Ugo Biggeri e Giovanni Ferri sulle questioni del momento. Poi ci godremo qualche riflessione di fondo con i contributi di Salvatore Rizza e Luca Grion, che ci convincono nel recuperare le motivazioni di fondo del “fare banca” in un certo modo. E infine apprezzeremo il nostro direttore Leonardo Becchetti che, tra banane e biodiversità, tra uova e schizofrenie, riassumerà la storia che stiamo vivendo e le ferite inferte da una certa finanza priva di responsabilità.

Le banche sono centrali nella nostra vita: troppo importanti per lasciarle in mano solo ai banchieri…

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