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Papa Francesco, ha messo in campo una strategia definita da Padre Antonio Spadaro “geopolitica della misericordia”. Una geopolitica che sfugge alle logiche degli schieramenti e che mostra agilità nell’edificazione di ponti capaci di interconnettere posizioni lontane nel rispetto della multipolarità del mondo, con l’obbiettivo di armonizzare gli interessi di tutti.

La “terza guerra mondiale a pezzi”, per come è stata sapientemente definita da Papa Francesco, è la naturale conseguenza dell’attuale fase di transizione geopolitica in atto. Tale momento è caratterizzato dall’affermazione di un nuovo ordine multipolare che sta archiviando l’epoca dell’unilateralismo a guida statunitense, stabilitasi con l’implosione dell’URSS, dando vita a nuovi poli di potere geopolitico e geo-economico. L’emersione di questi nuovi poli, tra i quali potremmo annoverare la Cina, la Russia e l’India, unitamente al loro naturale assestamento, oltre ad incrinare il potere degli Stati Uniti e a mettere in discussione le organizzazioni mondiali e le alleanze egemoniche nate a partire dal secondo conflitto mondiale, sta di fatto generando notevoli tensioni tra i principali attori presenti sulla scena.

Queste tensioni si scaricano in quelle aree del pianeta più sensibili agli interessi di medio e lungo periodo perseguiti dalle maggiori potenze mondiali. A tal proposito si pensi all’area del Vicino Oriente e del Nord Africa, che rappresenta uno dei maggiori focolai di tensione all’interno del quale si stanno definendo gli equilibri del nuovo condominio internazionale. Essa, infatti, posta sulle sponde del bacino del Mediterraneo segue la vocazione naturale del bacino stesso che, con la sua conformazione geografica di mare chiuso che lo rende simile ad un vero e proprio lago, lo rende un naturale continuum geopolitico tra le tre grandi masse terrestri che lo limitano – Europa, Africa ed Asia – e delle quali è funzionale cerniera.

Tale ubicazione, che nel corso dei secoli ha agevolato il contatto e l’interscambio tra le popolazioni, determinando la nascita e la fioritura delle grandi civiltà di cui il Mediterraneo è stata la culla, assume nuovamente un ruolo di estrema centralità dettata dalla crescita delle nuove potenze asiatiche e dell’America del sud, unitamente alla disordinata crescita economica dei Paesi africani, che hanno determinato uno spostamento dell’asse geopolitico verso il sud del globo favorendo la concentrazione nel Mediterraneo dei nuovi flussi geo-economici dell’economia globale.

Tale cambiamento ha così introdotto sulla scena mediterranea i nuovi attori internazionali, quali India, Cina e Brasile ed ha inoltre permesso la riemersione di Russia e Turchia. conferendo quindi, nuovamente, all’area il naturale ruolo di centralità assunto nei secoli che lo rende, oggi come allora, uno dei massimi teatri di confronto globale in cui i maggiori attori in campo si confrontano per il controllo della massa euro-afro-asiatica.

L’intento di controllo, che nel medio periodo si è rivelato fallimentare, ha spinto gli strateghi del Pentagono a orientare la loro attenzione verso il Nord Africa, e quindi il Mediterraneo, alimentando i focolai di tensione che andavano sviluppandosi durante la cosiddetta primavera araba. L’attuazione di questa particolare “geopolitica del caos”, che fa leva soprattutto sulle tensioni emergenti dagli identitarismi etnici, religiosi e culturali, ha contribuito alla destabilizzazione dell’intera area con il capovolgimento o, a seconda dei casi, l’indebolimento dei regimi che avrebbero sicuramente ostacolato quest’avanzata. Su tutti basti pensare al caso libico e a quello siriano.

Non va peraltro dimenticato che nello stesso arco temporale anche alcuni Paesi dell’Europa del sud venivano sottoposti ad una serie di attacchi finanziario-speculativi che ne producevano un notevole indebolimento. Tra i paesi colpiti rientra certamente anche l’Italia che in quel periodo si mostrava maggiormente sensibile a partenariati, quali quello libico e quello russo, senz’altro in controtendenza rispetto ai diktat dell’alleanza occidentale. Secondo autorevoli analisti, tale indebolimento è stato dettato dalla paura sempre più crescente (determinata anche dagli atteggiamenti tenuti a quel tempo dalla Turchia) della formazione di una forte partnership dei Paesi del Mediterraneo che, incrociando i destini dei grandi attori globali, quali appunto la Cina o la Russia, avrebbe messo definitivamente fuori gioco gli Stati Uniti.

In tale contesto, l’Europa potrebbe conoscere una nuova fioritura, concretamente possibile se decidesse di procedere ad una vera unità politica che gli permetta di restare unita e di avanzare in maniera autonoma e indipendente. Essa, infatti, dovrebbe avere tutto l’interesse a sviluppare una visione autonoma, ambiziosa, di lungo termine e multi-dimensionale, capace di collegare le due sponde del Mediterraneo e il blocco asiatico attraverso delle solide partnership e farsi percepire come un interlocutore privilegiato capace di fornire tutto il necessario know how utile a costruire sviluppo verso quei territori in cui se ne sente il bisogno. È chiaro che per fare ciò l’Europa dovrebbe tentare di ergersi a superpotenza, rivolta maggiormente verso Africa e Asia, con un ruolo di leadership nel Mediterraneo.

L’Italia, per via della sua posizione geografica che la pone al centro del Mediterraneo, con il suoi 8.000 Km di coste che la caratterizzano, ha un enorme potenziale che potrebbe coinvolgere tutta la struttura socio-economica nazionale, ponendola come punta di lancia dei nuovi processi. La sua geografia, infatti, non determina soltanto una vulnerabilità rispetto ai settori di crisi, ma alimenta anche straordinarie opportunità, facendo di essa un grande molo naturale e insieme un piano di scorrimento posto a tagliare in due compartimenti il Mediterraneo, privilegio unico fra le potenze europee. Tale posizione, se ben sfruttata, potrebbe offrire al Paese l’opportunità per imporre un rapporto obbligato a chiunque volesse spadroneggiare in quel bacino di civiltà e di commerci. Ciò, contrariamente a quanto avvenuto negli ultimi anni in cui, pur rimanendo una delle principali realtà dell’Europa e del Mediterraneo, non è riuscita a imporsi nella prima fila delle grandi potenze o perché frammentata politicamente, o per errori politici o ancora per limitazioni oggettive.

Oggi l’Italia pur rivestendo i panni di media potenza, è alle prese con una situazione interna poco florida trovandosi a gestire una strutturale contrazione manifatturiera, una carenza di forze armate di primo piano e di capitali necessari per realizzare investimenti infrastrutturali importanti per il suo sviluppo. Tuttavia, oltre alla posizione geografica, possiede altre due preziose frecce al suo arco: la cultura e la scienza. Malgrado tutto, l’università italiana continua a produrre conoscenza a livelli eccellenti e, sebbene la cultura italiana non sia al momento tra quelle che dettano la tendenza a livello mondiale, possiede una tradizione plurimillenaria che può costituire un trampolino di lancio. Senza trascurare quella “cultura materiale”, molto ammirata nel mondo, che è spesso favorevole anche al nostro sviluppo commerciale. L’Italia, dunque, nel momento in cui il suo “potere duro” sembra insufficiente al rango che desidera mantenere, pare avere le fondamenta su cui costruire una strategia di “soft power” che, se ben utilizzata, potrebbe fungere da ottima base di partenza per armonizzare i contrasti all’interno del bacino, ormai divenuto centro di interesse dei grandi attori globali. Questo le permetterebbe di ottenere la leadership sul piano regionale.

La “geopolitica della misericordia” di Francesco
Per far ciò, l’Italia, potrebbe senz’altro usufruire della vicinanza della Santa Sede che, per opera di Papa Francesco, ha messo in campo una strategia definita da Padre Antonio Spadaro “geopolitica della misericordia”. Una geopolitica che sfugge alle logiche degli schieramenti e che mostra agilità nell’edificazione di ponti capaci di interconnettere posizioni lontane nel rispetto della multipolarità del mondo, con l’obbiettivo di armonizzare gli interessi di tutti.

Nel corso del suo pontificato Francesco ha in più occasioni dato prova di saper giocare un ruolo da protagonista in questioni intricate come ad esempio la pace in Colombia, tra il governo dei guerriglieri e le FARC, il tentativo di mediazione che sta portando avanti in Congo per evitare che nel Paese scoppi la guerra civile, il ristabilirsi delle relazioni tra Cuba e Stati Uniti, nonché il mancato bombardamento in Siria nel 2013 da parte degli americani fermato dai russi e dalla mobilitazione mossa da Francesco che per l’occasione chiese digiuno e preghiere.

L’efficacia di tale diplomazia potrebbe esplicarsi in tutta la sua forza nel ponte che Francesco sta costruendo con la Russia, in particolare, con la Chiesa ortodossa. A tal riguardo, va evidenziata la linea amichevole del Vaticano nei confronti della Federazione Russa che è andata via via solidificandosi attraverso i diversi incontri avuti con Vladimir Putin, ciò anche quando la Russia era già sotto sanzioni. Fondamentale è stata anche la linea di neutralità assunta dalla Santa Sede durante la crisi ucraina che ha parimenti contribuito a migliorare la percezione della Chiesa cattolica presso gli ortodossi. Tali elementi, unitamente al lavoro diplomatico, hanno favorito lo storico incontro avvenuto a Cuba nel febbraio del 2016 tra Francesco e Kirill, un abbraccio che potrebbe rappresentare un ulteriore elemento di vicinanza e sintonia tra il mondo ortodosso e quello cattolico nonché una pietra miliare per la realizzazione di una Pace globale all’interno di un contesto multipolare in cui la luce di Roma e dell’Italia e dell’Europa potrebbero tornare a risplendere.

Francesco, inoltre, in virtù del Suo nome che riprende quello del patrono d’Italia, potrebbe rivelarsi risolutivo anche nel dialogo con il mondo islamico fornendo un ulteriore contributo per la stabilità mediterranea e gli equilibri globali.

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