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La crisi della democrazia va combattuta attraverso una rinnovata azione culturale e spirituale capace di alimentare la speranza nell’uomo e nella sua capacità di mettersi in gioco, di compromettersi con l’altro per costruire assieme qualcosa di grande

La cronaca recente sembra evidenziare, anche al più distratto degli osservatori, il precario stato di salute di cui gode la democrazia italiana. La forte disaffezione manifestata in occasione della recente tornata elettorale, i giudizi assai poco lusinghieri che i sondaggi d’opinione riservano ai vari rappresentanti politico-istituzionali, il diffuso disincanto – spesso accompagnato da un ripiegamento nel privato – con cui il cittadino guarda alla “cosa pubblica” sono elementi noti e non certo nuovi.

In questo contesto la crisi della democrazia appare, in prima battuta, come una crisi di fiducia nella possibilità di sentirsi adeguatamente rappresentati. Problema, questo, che non riguarda solo la politica in senso stretto, ma che si estende a quelli che, un tempo, si sarebbero detti i corpi intermedi. Come non riconoscere, ad esempio, la difficoltà manifestata da molti – soprattutto tra le generazioni più giovani – a sentirsi rappresentati dal sindacato?

A ben guardare, però, tale crisi non riguarda solo la credibilità dei rappresentanti; essa investe la generalità dei rappresentati, sempre meno disposti a riconoscersi in altri, ma altrettanto poco propensi a impegnarsi in prima persona. Basti pensare alla difficoltà con la quale, durante una riunione scolastica, si riesce a trovare persone disponibili ad assumersi il ruolo di rappresentanti dei genitori o, più in generale, la ritrosia con cui ci si rende disponibili a farsi portavoce di altri all’interno di un contenzioso. Quello che sembra emergere in modo sempre più netto è la difficoltà crescente con cui le persone riescono a mettersi in gioco, aprendosi al rischio del confronto pubblico.

Molte possono essere le ragioni sottese a tale fenomeno, ma non ritengo che possano essere individuate, come troppo spesso si è tentati di fare, solo in un ripiegamento egoistico, o in una fuga dalle responsabilità e dall’impegno dettate dal disinteresse. Credo che quel fenomeno possa essere letto anche come il sintomo di una debolezza, di una paura. Sentimenti, in fondo, naturali, ma che la democrazia deve contrastare se vuole realmente affermarsi.

Nel ’43, quando il dramma della guerra non era ancora alle spalle ma già si pensava alla fatica della ricostruzione, Jacques Maritain scriveva che "la democrazia è un paradosso e una sfida alla natura, alla natura umana ingrata e ferita, dalle cui aspirazioni originali e risorse di grandezza essa però attinge". La democrazia – intesa come strumento attraverso il quale dar corpo al bene comune – scommette infatti sulla possibilità, per l’uomo, di resistere alla tentazione di chiudersi in se stesso, realizzando uno spazio di crescita integrale e personale; ma questo è un percorso tutt’altro che scontato.

Maritain stesso riconosceva, in quel saggio, che "l’ideale democratico va in direzione opposta alla natura, la cui legge non è l’amore evangelico". Dichiarazione di sano realismo, nella misura in cui riconosce la tendenza nell’uomo a rinchiudersi nell’individualismo, a difesa del proprio interesse e della propria sicurezza. Affermazione, tuttavia, che non si rassegna alla fragilità di una natura troppo incline all’autoreferenzialità, ma che scommette nella percorribilità un diverso cammino, quello che porta a uscire da sé e a entrare in comunione con l’altro. Processo, quest’ultimo, che va educato e sostenuto.
Una possibilità reale, ma ardua, mai scontata e mai acquisita una volta per tutte. "Nella grande avventura della nostra vita e della nostra storia – scrive ancora Maritain – essa [la filosofia democratica] punta sulla giustizia e sulla generosità: dunque sull’eroismo e sulle energie spirituali". Da questo punto di vista, la crisi della democrazia sembra doversi combattere, prima di tutto, attraverso una rinnovata azione culturale (e spirituale) capace di alimentare la speranza nell’uomo e nella sua capacità di mettersi in gioco e compromettersi con l’altro, per fidarsi di nuovo, per costruire assieme qualcosa di bello e di grande. Storicamente questa consapevolezza è maturata nella sofferenza e nel dolore; sarebbe auspicabile che noi riuscissimo a riattivare quel cammino senza dover pagare un prezzo così salato.
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