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Proponiamo un’intervista ad Antonio Decaro, Sindaco di Bari e Presidente dell’ANCI

Il REI, per come è stato pensato, favorisce un incontro tra politiche attive del lavoro e politiche di welfare. In che modo? Con quali obiettivi?

Il REI, come già il SIA, prevede un approccio integrato di rete tra i servizi territoriali per la costruzione di progetti personalizzati di presa in carico, al fine di attivare percorsi di inclusione sociale e lavorativa. La misura, infatti, è concepita in maniera tale da coniugare l’erogazione di un sostegno economico con un percorso di politica attiva che implica una presa in carico multidimensionale della persona. Questo, per ANCI, è certamente positivo, in quanto, oltre a segnare di fatto l’abbandono delle politiche di welfare meramente assistenziali, avvia la realizzazione di un’integrazione operativa e a rete tra i servizi socioassistenziali, i servizi per l’impiego e tutti gli altri servizi territoriali.

Al Comune, in quanto ente di prossimità, spetta la regia e il coinvolgimento dei servizi competenti in materia di formazione, lavoro, istruzione e salute, nonché del terzo settore. Al fine di definire tali percorsi di inclusione assieme al nucleo beneficiario, i servizi sociali comunali, infatti, anche coordinandosi a livello di Ambito territoriale, hanno il compito di costituire equipe multidisciplinari la cui composizione è calibrata a seconda delle peculiari esigenze del singolo nucleo. In particolare, la mancanza di lavoro costituisce uno dei requisiti preferenziali di accesso alla misura (con le modifiche apportate dalla Legge di Bilancio in corso di approvazione, da gennaio 2018 tutti i disoccupati ultra 55enni potranno accedervi).

Alla luce di ciò, la collaborazione tra servizi sociali e centri per l’impiego, come disegnata dal legislatore,  risulta centrale per la buona riuscita dei percorsi di inclusione: c’è necessità di un legame sempre più stretto perché tali dinamiche vengano gestite in stretta correlazione con le politiche sociali, in modo inclusivo anche attraverso strumenti di natura preventiva che sostengano, proteggano e aumentino la capacità dei lavoratori di reinserirsi in un contesto strutturalmente mutevole. Tuttavia, abbiamo finora scontato l’incertezza relativa alla collocazione istituzionale dei centri per l’impiego. Ora ci auguriamo che, grazie alle novità introdotte dalla Legge di Bilancio (in via di approvazione) che sancisce il passaggio del personale dei centri per l’impiego alle Regioni, si possa garantire la piena operatività di questi ultimi.

In che senso il REI può favorire lo sviluppo di sistemi di welfare più equi e adeguati ai contesti territoriali? Quale ruolo può giocare il terzo settore?

Il REI è individuato come livello essenziale delle prestazioni (il secondo dopo l’ISEE), da garantire in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. Un’altra novità è che, pur essendo una misura a livello nazionale, va attuata dai Comuni declinandola sulla base delle caratteristiche e dei fabbisogni dei contesti locali, in rete con gli altri servizi territoriali. Infine, è sicuramente positiva l’aver previsto, per la prima volta nella storia dei fondi nazionali dedicati al sociale, una quota strutturale del Fondo povertà (oggi pari al 15% ma che la Legge di Bilancio incrementa al 20%) direttamente attribuita agli stessi Comuni/ambiti per il rafforzamento degli interventi e dei servizi sociali, attraverso un consolidamento delle risorse umane, infrastrutturali e finanziarie locali.

L’esperienza maturata sinora nel percorso di attuazione ed estensione del Sostegno per l’Inclusione Attiva (SIA) e ora del Reddito di inclusione (REI), ha reso ancor più evidente il ruolo centrale e indispensabile che il Comune svolge nel garantire un’adeguata presa in carico e un’efficace gestione della misura. Non a caso, molti Comuni avevano già attivato da tempo, con risorse proprie, misure locali di sostegno al reddito, inclusione socio-lavorativa e contrasto alla povertà, che andrebbero considerate complementari, e non alternative, alla misura nazionale.

Riteniamo che proprio attraverso una reale integrazione di servizi territoriali e di misure di diversa natura all’interno del progetto personalizzato sarà possibile realizzare efficaci interventi di contrasto alla povertà. In questo quadro, è fondamentale valorizzare ancor di più le risorse provenienti dal terzo settore, che nel welfare locale gioca già un ruolo strategico al fianco del Comune.

Quale ruolo strategico può avere la Rete della protezione e dell’inclusione sociale introdotta dal decreto legislativo n. 147?

Con la riforma del Titolo V della Costituzione, nella materia delle politiche sociali allo Stato rimane il solo potere di definire livelli essenziali delle prestazioni. Le Regioni hanno la competenza sulla legislazione e programmazione, ma la gestione è affidata ai Comuni, eventualmente coordinati a livello di ambito territoriale. Non vi è quindi alcun organismo che abbia poteri di indirizzo e, in un sistema in partenza frammentato ed estremamente eterogeneo, le differenze territoriali rischiano di cristallizzarsi. La Rete si configura quale organismo di confronto politico tra i vari livelli di governo in materia di programmazione sociale volto a favorire una maggiore omogeneità territoriale nell’erogazione delle prestazioni nonché di definire linee guida e con finalità di coordinamento del sistema degli interventi e dei servizi sociali di cui alla legge n.328/2000. E’ un luogo di decisioni condivise e di programmazione partecipata: si confronta infatti con le parti sociali e con gli organismi rappresentativi del Terzo Settore. La sua funzione è di strategica importanza, superando la frammentarietà nella programmazione degli interventi e dell’utilizzo delle principali risorse in ambito sociale; è infatti responsabile dell’elaborazione dei seguenti piani:

  1. Il Piano Sociale nazionale, quale strumento programmatico per l’utilizzo delle risorse del Fondo nazionale per le Politiche Sociali;
  2. Il Piano per gli interventi e servizi sociali di contrasto alla povertà, quale strumento programmatico per l’utilizzo delle risorse della quota del fondo Povertà destinato al rafforzamento dei servizi territoriali;
  3. Il Piano per la non autosufficienza, quale strumento programmatico per l’utilizzo delle risorse del fondo omonimo destinate alla copertura dei costi di rilevanza sociale dell’assistenza sociosanitaria.

Per la prima volta, su sollecitazione dell’ANCI, è stata prevista la pariteticità del numero dei rappresentanti comunali e regionali. Inoltre, l’organismo avrà un’articolazione in tavoli regionali e a livello di ambito territoriale.

Quali misure possono accompagnare l’introduzione del REI per consentire una sostanziale riduzione delle situazioni di disuguaglianza presenti nei diversi contesti territoriali?

Oltre alle varie misure di sostegno economico e i servizi dedicate alle persone in condizione di vulnerabilità che i Comuni abitualmente attivano, come già detto, nel corso di questi ultimi anni, molte amministrazioni hanno messo in campo alcune misure locali anche anticipatrici e/o integrative del Sia (e poi del Rei). Personalmente posso raccontare l’esperienza di Bari, dove il Comune ha previsto un reddito di supporto con i “Cantieri attivi di cittadinanza”, che è una misura nata nel 2014 e finalizzata a promuovere l’inserimento socio-lavorativo di persone disoccupate e inoccupate della città di Bari. Alla misura si accede con un reddito ISEE inferiore ai 3000 euro, attraverso l’attivazione di tirocini formativi presso operatori economici e sociali del territorio. Si tratta di una iniziativa che ha registrato numeri importanti: a luglio 2017 abbiamo 1149 cittadini ammessi al progetto, 190 imprese, 1147 persone che hanno sostenuto almeno un colloquio per un totale di 4735 colloqui, 575 tirocini avviati e 362 conclusi, e 45 rapporti trasformati in contratti di lavoro, con un investimento comunale di 1milione e 200mila e altri 800mila euro del 2016.

Posso inoltre richiamare altre esperienze locali, quali quelle del Comune di Livorno, che dal 2016 ha previsto un “Reddito di cittadinanza locale”; quella del Comune di Piacenza, con il Fondo Anticrisi 2016, o il Comune di Ragusa, che nello stesso anno ha adottato il “Reddito minimo di cittadinanza”. Si tratta dunque di misure sociali importanti di sostegno al reddito che hanno preceduto quelle nazionali (e in alcuni casi anche quelle regionali) e che oggi andranno armonizzate con il REI, come abbiamo chiesto al tavolo con il Ministero, Regioni e INPS il 20 dicembre scorso.

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