L’Unione Europea vive un momento di crisi profonda e il patto e l’idea su cui si fonda hanno perso la forza originaria, restando vittime di forti tensioni nazionalistiche. L’immigrazionè è un banco di prova, un crinale che può determinare il fallimento o il rilancio del progetto europeo 

Purtroppo è vero: l’Unione Europea vive un momento di crisi profonda e il patto e l’idea su cui si fonda hanno perso la forza originaria, restando vittime di forti tensioni nazionalistiche.

In questi giorni Andrea Bonanni su La Repubblica ci ha ricordato come le radici di tali difficoltà si siano manifestate in maniera palese con la bocciatura della Costituzione Europea ad opera dei referendum francese e olandese nel maggio 2005. Quella che doveva essere una ratifica storica si è trasformata nella consapevolezza dell’incompiuto.

Un popolo che si dota di una Costituzione dovrebbe infatti metterla a fondamento della propria cittadinanza. Si doveva essere prima di tutto cittadini europei e quindi italiani, francesi, tedeschi, austriaci, spagnoli ma così non è stato perché nelle intenzioni dei governi che nel 2001 hanno avviato la Convenzione Europea non voleva esserci nessuna delega di sovranità, nessuna cessione di legittimità.

Romano Prodi, all’epoca presidente della Commissione europea, ricorda come il suo intento di lanciare un progetto federalista, per la creazione di un super governo europeo, venne fatto a pezzi, lasciando ai Paesi più forti i ruoli di maggior rilievo.

In poche parole, oggi a partire da allora, l’Europa continua a morire per l’incapacità di saper creare un piano che trovi nella condivisione politica, economica e sociale la sua ragione d’essere. Il senso dell’incompleto, conclamato nel non voler conferire a Bruxelles maggiori poteri, è stato il più grande errore che ha dato origine a vasti movimenti populisti che oggi minano la stabilità del continente. E allora saremo sempre popoli l’un contro l’altro armati, che pensano che soltanto difendendo i confini nazionali si possano trovare soluzioni a problemi endemici. Ma così non è. La Cancelliera Merkel ha dovuto ammettere che se chiudiamo il Brennero l’Europa è distrutta, riconoscendo al nostro Paese uno sforzo significativo nel gestire le ondate di migranti e un impegno vero con la stesura del migration compact e l’Alto rappresentante della Ue Federica Mogherini e il vice presidente vicario della Commissione europea Frans Timmermans hanno comunicato un piano di investimenti per risolvere il problema della migrazione alla radice, mostrando di prendere in seria considerazione la proposta italiana.

Del resto, come ha sottolineato anche il professore della New York University Paul Romer, nel suo intervento al Festival dell’economia di Trento, “sicurezza e pacificazione sono gli elementi essenziali per ricostruire una nazione”. Ha definito la crisi dei rifugiati il fallimento del mondo degli Stati e indicato nella creazione di insediamenti fortemente urbanizzati e caratterizzati anche da un tessuto agricolo l’unico modo di risolverla. Non parliamo certo di realizzazione di muri o ghetti come vorrebbe l’Austria ma di aree dove si possano creare le condizioni per attivare servizi primari e far crescere forme di società con una forte spinta alla autodeterminazione democratica.

Dello stesso avviso anche Giovanni Peri, docente e preside del Dipartimento di economia presso l’Università della California, che ha ribadito come sia impossibile affrontare i problemi migratori “con la vecchia e stantia idea di una inefficace sovranità nazionale al centro di tutto, oppure con istituzioni internazionali prive di poteri e lente nelle decisioni". C’è bisogno di più Europa per fare scelte decisive e collaborare per contrastare la migrazione irregolare e favorirne una ordinata che possa portare benefici sia ai migranti sia ai Paesi di destinazione.

Oltre a invocare una responsabilità più solida della politica europea e italiana nella guida al cambiamento, condivido quello che ha scritto Alessandro Rosina, curatore del “Rapporto giovani 2016” dell’Istituto Toniolo: “se l’immigrazione è una di quelle sfide a cui non possiamo sottrarci, è anche vero che senza un ruolo positivo delle nuove generazioni difficilmente possiamo pensare di vincerla”.

Oggi i ragazzi italiani sono diffidenti nei confronti dello straniero che sbarca in Italia, convinti che sottragga risorse al nostro Paese; rischiano così di passare dalla diffidenza all’ostilità, ascoltando le incitazioni di alcune forze politiche che speculano sulle paure e sanno alzare solo muri. Sta a noi invertire la tendenza e spiegare ai nostri ragazzi che siamo stati migranti anche noi e che solo risolvendo la crisi sociale, favorendo l’integrazione, si può risolvere anche la crisi economica e guardare a un nuovo futuro di prosperità per il nostro Paese.

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