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Le presenze di Trump negli Usa e quella delle Le Pen in Francia ci dicono che l’Italia è un laboratorio politico che anticipa alcune tendenze. Trump sembra la fotocopia (sbiadita) di Berlusconi, e le Le Pen un misto della peggior destra che abbiamo conosciuto in questi anni. Quando – da qualche parte del mondo – arriverà un qualcosa simile al […]

Le presenze di Trump negli Usa e quella delle Le Pen in Francia ci dicono che l’Italia è un laboratorio politico che anticipa alcune tendenze. Trump sembra la fotocopia (sbiadita) di Berlusconi, e le Le Pen un misto della peggior destra che abbiamo conosciuto in questi anni. Quando – da qualche parte del mondo – arriverà un qualcosa simile al M5S, allora potremo dire di aver completato il nostro ruolo di anticipatori di formule, formulette e altre balzane esperienze per recuperare un minimo senso alla politica. Perché sta qui la grande questione: il senso. Quello che genera appartenenza, fiducia, entusiasmo e concretezza delle cose da fare: un senso popolare.

Per recuperare il senso popolare della politica, la cronaca ci informa del fatto che siamo disposti a sacrificare le istituzioni rappresentative (considerate astratte e burocratiche) per un leaderismo (concreto, carismatico) che scaldi i cuori; a rifiutare il legale-razionale-burocratico finanziamento pubblico dei partiti per cercar soldi tra i cittadini attivi e rigenerare la partecipazione; rifiutare di elaborare piani e progetti a lunga scadenza (astratti) per concentrarsi solo sul presente (concreto e immediato); mettere in discussione un disegno istituzionale compiuto e meditato, per desiderare un cambiamento che semplifichi, renda più diretto e meno mediato il rapporto tra potere e cittadinanza. Insomma, tutto sta girando in direzione di una maggior concretezza, immediatezza. In termini weberiani potremmo dire che si sta accettando un potere meno razionale, meno burocratico, meno astratto, meno legato a grandi principi a favore di un potere più comprensibile, più carismatico, più immediato.

Ma non tutto questo è un bene. Infatti gli articoli che vi presentiamo oggi mettono in luce i rischi e i lati negativi di questa svolta, di questo mutamento strutturale. Carlo Buttaroni – in un pezzo ricco di analisi – mette in guardia sulla caduta delle tensioni progettuali che si ripercuotono sul lavoro e quindi sui fini generali della Repubblica; Gianni Bottalico sulla crisi dei corpi intermedi e lo strapotere delle élite; Mauro Calise e Stefano Semplici sui limiti della personalizzazione leaderistica; Ernesto Preziosi sul sistema della rappresentanza e Giorgio Sorial sul finanziamento del sistema della rappresentanza…

Pareri anche differenti. Come è giusto che sia in questa fase di ibridazione, dove è chiaro da dove veniamo – da quali principi e da quale set istituzionale da essi derivato – ma non è ancora chiaro dove andiamo, verso quale patto istituzionale fondato su quali principi. Certamente siamo di fronte ad un cambio d’epoca, dove i soggetti sociali e politici necessitano di un ripensamento e di riproporsi con un significato rinnovato. Perché siamo tutti più fragili (tutti meno legittimati e tutti con meno risorse) e il cambiamento – quando parte – non aspetta nessuno. Ma a noi non deve far paura il cambiamento: occorre capirne il verso. C’è chi lo traduce in pulsioni e paure.

Noi vorremmo tradurlo in senso, in significato per rileggere il senso della politica nelle nostre ricche e complesse (e fragili) società occidentali. Noi siamo speranzosi (e – per dire una cosa inattuale – siamo vicini al Parlamento e alle istituzioni politiche che, con fatica, si impegnano). È una ricerca da compiere. Altrimenti ci rimarrà solo un senso, quello del vuoto, che non ci aiuterebbe molto.

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