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Proponiamo un’intervista all’onorevole Mario Marazziti (Democrazia solidale – Centro Democratico) Presidente della XII Commissione (Affari Sociali) della Camera dei deputati

Può descrivere brevemente il percorso che ha portato al decreto legislativo n.147 del 15 settembre 2017 e quali sono state le principali difficoltà incontrate?

Governo e Parlamento, le Commissioni lavoro e Affari sociali, con un ruolo centrale dell’Alleanza contro la povertà, che rende il Reddito di Inclusione uno degli esempi migliori di partecipazione in sussidiarietà al procedimento normativo.

Non è un caso se il reddito di inclusione è una cosa vera, diversa dalle favole del reddito di cittadinanza venduto da M5S come se fosse la soluzione ai problemi dei giovani e della povertà senza creare né formazione, né istruzione, né lavoro e impoverendo di 17 miliardi l’anno la spesa nazionale che, visto come stanno le cose, non potrebbe che essere a danno di sanità e stato sociale. Vista la necessità di andare verso la Difesa europea e la crisi internazionale di guerra mondiale e pezzetti, infatti, appare surreale l’idea che questa spesa (comunque improduttiva e senza sviluppo) potrebbe essere coperta da tagli alle spese della Difesa.

Come si è arrivati?

Con la legge di stabilità del 2016 (legge n. 208/2015) è stato creato un fondo ad hoc per il contrasto alla povertà, dando precisa indicazione di attuare da subito una misura ponte, il Sostegno per l’inclusione attiva (SIA), per utilizzare le risorse messe da subito a disposizione (750 milioni nel 2016, oltre 1 miliardo per l’anno in corso) in vista dell’approvazione di un disegno di legge delega volto ad introdurre la prima misura nazionale per il contrasto alla povertà: il Reddito di Inclusione per l’appunto. Il disegno di legge delega del Governo è giunto alla Camera in un clima abbastanza esasperato dalla notizia fuorviante sulla possibilità di eliminazione della pensione di reversibilità. Una eventualità mai presa in considerazione ed agitata strumentalmente. Grazie al lavoro delle Commissioni lavoro e affari sociali della Camera dei Deputati sono stati precisati i contorni della delega legislativa, approvata poi definitivamente al Senato. Successivamente il Governo ha siglato con l’Alleanza contro la povertà un memorandum di intenti in vista dell’emanazione del decreto attuativo, memorandum che assieme alle osservazioni sul decreto formulate dalle Commissioni congiunte lavoro e affari sociali di Camera e Senato hanno stabilito poi la normativa attuativa confluita nel decreto di settembre. La nascita della prima misura unica a livello nazionale per il contrasto alla povertà rappresenta un risultato importantissimo, frutto di grande lavoro e collaborazione istituzionale e grazie all’apporto della rete del terzo settore che da anni si occupa di questa tematica: un risultato agevolato dalla capacità di agire in sinergia.

Quali sono i limiti di questa misura? Quale è la caratteristica principale?

E’ la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana che c’è una misura universalistica di lotta alla povertà assoluta, con un sostegno in denaro e, assieme, percorsi che dovranno essere personalizzati di inclusione sociale, riattivando i centri per il lavoro e il sostegno e l’assistenza sociale nei comuni, nei quartieri. Tutte le misure di contrasto al disagio sociale in Italia sono state settoriali e se ne contano fino a 12 mila, comunali, regionali, speciali per categorie, con sgravi fiscali, incentivi, card. Qui l’obiettivo è attaccare la povertà assoluta, progressivamente, tutta, fino a quando saranno disponibili 7 miliardi l’anno, per rompere il circolo vizioso della povertà che crea nuova povertà strutturale, quella dei figli, e marginalità sociale. Peccato che non sia stato possibile fin dall’inizio disporre dei 7 miliardi di fabbisogno valutati necessari da Acli, Sant’Egidio, Caritas e tutti i soggetti che hanno contribuito a individuare l percorso. Perché inizialmente sembrava possibile lavorare anche a una ristrutturazione del tema delle pensioni lavorando sul cumulo delle reversibilità delle categorie più abbienti. Ma il rischio che andare a toccare quel comparto potesse creare involontariamente danni a cittadini in difficoltà, anche se statisticamente non individuabili, ha spinto a non procedere in quella direzione. E nella situazione data la prima provvista è quindi non sufficiente per tutta la platea. Ma il percorso è chiaro e è una svolta culturale e sociale, che darà i suoi frutti progressivamente.

Il REI, per come è stato pensato, favorisce un incontro tra politiche attive del lavoro e politiche di welfare. In che modo? Con quali obiettivi?

Il Reddito di Inclusione non si riduce a un beneficio meramente economico ma presenta una forte componente di servizi alla persona che deve dettagliarsi in un progetto personalizzato volto ad attivare le competenze dei richiedenti e a rispondere ai loro bisogni attraverso l’interazione dell’intera rete di servizi territoriali: dalle istituzioni scolastiche agli enti di formazione, dalla sanità agli enti che si occupano di politiche abitative. E’ la dimensione di inclusione attiva il nodo centrale della misura: attivare le persone per accompagnarle all’uscita dalla condizione di povertà. Una sfida importante, che vuole creare una dimensione di sostegno in cui politiche attive del lavoro, per il reinserimento lavorativo e la presa in carico multidisciplinare da parte dei servizi possano dare una prospettiva diversa alle persone in maggiore difficoltà. Per questo motivo è previsto un forte rafforzamento della rete territoriale dei servizi, a cui è destinato in maniera strutturale il 15% del Fondo (percentuale che grazie alle modifiche introdotte dalla legge di bilancio salirà dal 2020 al 20%): parliamo di 300 milioni di euro a partire già dall’anno prossimo, per giungere sino ai 470 milioni previsti dal 2020.

In che senso il REI può favorire lo sviluppo di sistemi di welfare più equi e adeguati ai contesti territoriali? Quale ruolo può giocare il terzo settore?

Come detto, una delle principali novità introdotte con il Reddito di Inclusione è il rafforzamento della rete dei servizi territoriali. Un percorso già iniziato attraverso il riparto di oltre 500 milioni di euro del PON inclusione agli ambiti territoriali: risorse ripartite in modo considerevole in quei contesti territoriali (specie nel Mezzogiorno) dove maggiore è l’esigenza di interventi e dove l’infrastruttura sociale è più debole. Potenziare l’infrastruttura sociale significa ridurre il gap territoriale nell’erogazione di servizi fondamentali, di assistenza e sostegno. Un tema che stiamo continuando ad affrontare anche nelle legge di bilancio in via di approvazione. In questo obiettivo ruolo decisivo potrà essere giocato dal terzo settore, attore protagonista nel Reddito di Inclusione, non solo nella dimensione di inclusione, ma anche nella progettazione degli interventi: far ripartire la dimensione della coprogettazione, come individuata dalla legge n. 328/2000, rappresenta infatti uno dei percorsi interrotti negli ultimi anni che si vuole ripristinare.

Quale ruolo strategico può avere la Rete della protezione e dell’inclusione sociale introdotta dal decreto legislativo n. 147?

Il decreto legislativo sul Reddito di Inclusione affronta l’esigenza di rafforzamento nel coordinamento degli interventi in materia di servizi sociali, nel pieno rispetto delle competenze a livello organizzativo e di erogazione che rimangono a livello regionale. La Rete della protezione e dell’inclusione sociale vuole essere l’organismo di coordinamento tra i livelli istituzionali, Regioni, comuni, INPS e Ministero che si pone l’obiettivo di favorire una maggiore omogeneità territoriale nell’erogazione delle prestazioni, anche attraverso la definizione di linee guida  per  gli interventi. Una Rete che dovrà consultarsi con le parti sociali, con le realtà attive sul campo anche attraverso le proprie articolazioni regionali e territoriali. Molto importanti sono gli obiettivi di pianificazione posti in capo a questo organismo, per riportare a sistema tutti gli interventi in materia di politiche sociali, attraverso elaborazione programmatica, da cui scaturiranno piani ad hoc in merito proprio all’utilizzo delle risorse del Fondo nazionale per le politiche sociali, del Fondo per la non autosufficienza e del Fondo povertà.

Quali misure possono accompagnare l’introduzione del REI per consentire una sostanziale riduzione delle situazioni di disuguaglianza presenti nei diversi contesti territoriali?

Il Reddito di inclusione è pensato come strumento attorno al quale coordinare i diversi interventi di contrasto alla povertà sorti negli ultimi anni in numerose esperienze regionali. Attraverso appositi protocolli di intesa le Regioni infatti possono delineare attorno al Rei eventuali misure regionali di sostegno al reddito e di contrasto alla povertà: sarà possibile dunque rafforzamento della dimensione economica del beneficio o allargamento della platea dei beneficiari senza dar vita a sistemi disomogenei. Saranno passaggi che richiederanno un grande sforzo e un faticoso lavoro di monitoraggio e coordinamento, ma il cammino intrapreso può rappresentare veramente un svolta per l’intero nostro sistema di welfare.

Resta chiave ripensare la formazione professionale, per cui ci sono grandi investimenti, soprattutto a livello regionale, ma che allo stato attuale sembra poco attuale rispetto ai bisogni nazionali e a quelli giovanili e del mercato del lavoro in evoluzione. E fare diventare i centri per l’impiego luoghi di incontro reale tra lavoro e persone, anche mettendo in comunicazione le banche dati dei diversi centri, dell’associazionismo, degli enti locali: come ancora non avviene.

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