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Il libro contiene molti spunti che tessono il filo di un ragionamento serio e assai fine. Sarebbe interessante giocarsi molte provocazioni nel dibattito pubblico, che ribadisce in modo stereotipato alcune categorie del passato senza preoccuparsi di ciò che sarà: la profezia giace abbandonata ai margini di un progresso che vende un futuro migliore preoccupandosi di raccogliere già da subito gli utili del presente

Tommasi ci presenta una lucida riflessione sui rapporti tra cattolicesimo e cultura contemporanea argomentando – si specifica fin dalle prime righe – a favore di una strutturale contaminazione reciproca dei due, a partire anche da un semplice suggerimento etimologico che lega culto e cultura.

Ma si arriva subito al dunque, all’immediato retropensiero verso il quale è inutile far finta di nulla, perché quando ci si confronta con la cultura di questo mondo, e con la politica in particolare, anche i cattolici si dividono secondo il criterio destra/sinistra, conservatori/progressisti.

Lo vediamo anche in questi giorni: anzi, la faglia sembra addirittura precedere l’appartenenza al mondo cattolico stesso. L’orizzontalità che si snoda tra i due poli, forse non a caso trova una mediata compensazione nel posizionamento centrista, il luogo dove la politica mostra un volto mite ma stanco, come lo era il volto di Aldo Moro, qui ripreso in uno straordinario ritratto di Sciascia. Il centro diviene il luogo dove l’orizzontalità destra / sinistra trova un punto di sintesi che, in via non proprio incidentale, si compie miracolosamente anche nella sua verticalità, tra l’immanenza delle cose che stanno in basso su questa terra, e la trascendenza dell’alto, che apre alle cose del divino.

Ma se è possibile – per quanto non sempre auspicabile – la mediazione centrista tra destra e sinistra, ha senso mediare tra Dio e l’umanità terrestre? Non è forse una perversione? Non è forse un mortificare contemporaneamente entrambe le istanze? Ogni impresa umana è immanente, eppure essa possiede una irriducibile eccedenza di senso. La carne non è mai solo carne, così come il sangue non è mai solo sangue. In questo senso il rapporto tra cattolicesimo e cultura apre anche un altro fronte: perché la carne non è solo natura. O è forse un dato culturale? In questi tempi di lotta al gender, il tema diviene caldo.

Eppure Tommasi, con colta naturalezza, affronta il falso dilemma, riconducendo il naturale al culturale, senza cadere nella fallacia naturalistica ma senza neppure far finta di non capire che dove si parla di educazione si sta esprimendo un’opzione culturalmente fondata. In fondo la natura è affidata alla cultura umana, alla sua opera di dissodamento, che si traduce in educazione. Insomma la natura non è mai semplicemente natura: perché tutto nell’uomo eccede la mera fisicità. D’altra parte se è vero che la parola si è fatta carne, è altrettanto vero che la carne si fa parola.

Immanenza e trascendenza non si possono mediare, perché devono mantenere una tensione all’interno della quale si leggono le cose di questo mondo con uno sguardo che sa relativizzare, che sa cogliere l’infinito esattamente nel limite. Lo sguardo profetico possiede caratteristiche simili: sa vedere gli scenari futuri a partire dalla visione reale, in una tensione che gli permette di esprimere autorità. Il profeta scrive il testo in un contesto. E allora la narrazione diviene spiegazione, comprensione, senso, significato. E non pretesto.

Il cattolicesimo potrebbe recuperare l’eccedenza di senso senza dissociarla dalla realtà delle cose rivalutando la dinamica del sacramento, come processo che combina le parole, con la vita, col mistero. Un giuramento che ri-lega le persone: ecco dove si colloca l’elemento religioso.

Il cattolicesimo politico può assumersi la sfida della contemporaneità rinunciando a vecchie (e in questo caso impossibili, se non in termini pretestuali) mediazioni, senza nostalgie del passato, senza rifugiarsi in uno spiritualismo astratto e senza limitarsi a combattere le diseguaglianze. Le “strutture di peccato” richiedono qualcosa di più, il generare “strutture di grazia” che lasciano aperta la via della trascendenza per rendere più sana la “naturale” immanenza. In questo senso il cattolicesimo può esprimere una sorta di anarchia che gli deriva dal saper cogliere la relatività delle cose e il pluralismo delle voci. È la via – conclude l’autore – di un umanesimo profetico, che sa dire oltre senza essere oltre: che sa stare al mondo senza essere di questo mondo.

Il libro va letto perché contiene molti altri spunti (che in queste poche battute non posso proprio riprendere), che tessono il filo di un ragionamento serio e assai fine. Sarebbe interessante giocarsi molte provocazioni nel dibattito pubblico, che ribadisce in modo stereotipato alcune categorie del passato senza preoccuparsi di ciò che sarà: la profezia giace abbandonata ai margini di un progresso che vende un futuro migliore preoccupandosi di raccogliere già da subito gli utili del presente. Che, peraltro, vanno a pochi: a quei pochi che sanno manovrare bene le leve di una cultura senza fede, facendo anche leva su coloro che si limitano a vivere una fede senza cultura.


Francesco Valerio Tommasi, Umanesimo profetico. La complicata relazione tra cattolicesimo e cultura, Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2015.

Citazioni
“L’azione dei cristiani e dei cattolici nella società non può essere impostata secondo l’esigenza di dedurre dall’ideale trascendente un punto di riferimento fisso per contingenza mondana. […] Molto di più, i punti di vista dei cristiani stessi possono essere – sono di fatto, ed è persino auspicabile che siano – plurali, molteplici e confliggenti, pur trovando – o forse proprio perché hanno – una fonte di ispirazione comune”.

“L’idea cattolica della politica […] sembra essere stata retta da questa logica raccomandata da Paolo: amministrare l’ordinario, senza progettare sul lungo periodo; sradicare e dissodare il terreno, per quanto possibile, con la consapevolezza che ogni giorno di nuovo l’opera andrà sostanzialmente ripetuta, senza poterla mai definitivamente portare a compimento”.

“Natura è cultura. Non esistono tratti culturali che sono prima naturali: tutto è soggetto a interpretazione umana, in un processo di continua rimessa in discussione. Invece, al contrario: i caratteri antropologici presuntamente naturali sono immediatamente culturali".

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