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Di fronte ai pericoli che minacciano la specie umana e la Terra, un altro Sessantotto non basterebbe: occorre qualcosa di più e di meglio, un nuovo, generalizzato (som)movimento delle coscienze, capace di affrontare e risolvere le contraddizioni più lancinanti della contemporaneità

“E’ da allora che il potere va in giro nudo” (E. Balducci)

“Questa specie di rivoluzione, di cui sono certamente riflessi i fatti operai del ’69, ebbe il respiro di un fenomeno mondiale pur con caratteristiche peculiari nei singoli paesi.

Esso ebbe da noi una vibrazione singolare e certo non è passato senza lasciare tracce durevoli.

Ed anzi non è passato. Ma resta come un modo di essere vitale della nostra società ed un fattore di maturazione umana e civile che, con rilevanti cambiamenti di stati d’animo e di fattori istituzionali, ha dato i suoi frutti e altri ne darà” (A. Moro, postumo, 1979)

 

La simultaneità planetaria del Sessantotto è una sua caratteristica fondamentale.

Per la prima volta nella storia, è avvenuto sotto ogni cielo, sui continenti, che ampi movimenti di lotta di giovani, di studenti, di lavoratori, di intellettuali irrompessero sulla scena pubblica contemporaneamente, ponendo, con lingue e accenti diversi, ma convergenti, gli stessi obiettivi di radicale rinnovamento, della scuola e delle università, dei rapporti di lavoro, della funzione dell’autorità, dei rapporti interpersonali.

Abbiamo fratelli in ogni parte del mondo: questa era la consapevolezza di ciascun militante, di ogni settore di lotta.

E’ agghiacciante, anche a cinquant’anni di distanza, vedere che la reazione dei poteri fu ovunque analoga, sia nei paesi a democrazia parlamentare sia nei regimi a partito unico: non già il dialogo, ma una repressione violente, sistematica, fino agli assassinii.

Venimmo bombardati a tappeto in Vietnam (per inciso: sul Vietnam furono esplose più bombe che in tutta la seconda guerra mondiale!) e schiacciati con i carrarmati a Praga; negli Usa furono decine di migliaia i neri denunciati, imprigionati, persino esiliati, senza dimenticare l’assassinio di Martin Luther King e di Bob Kennedy; la strage a Città del Messico, nell’imminenza delle Olimpiadi; l’attentato a Rudi Dutschke a Berlino Ovest; la minaccia di colpo di stato di De Gaulle, con cui viene spento rapidamente il maggio francese; in Cina è l’esercito che viene chiamato a porre fine alla rivoluzione culturale; da noi l’eccidio dei braccianti di Avola, il 2 dicembre ’68 ( la ragione di fondo per cui realizzammo la famosa contestazione alla Scala) e la strage di stato di Piazza Fontana a Milano (12 dicembre 1969), proprio al culmine dell’intenso biennio di lotte studentesche, operaie e sindacali.

Spesso questa repressione globale del Sessantotto viene messa in ombra: così, su di esso, si possono dire sciocchezza, come per esempio negare che i movimenti siano stati pacifici, e tali rimasti per lungo tempo. Nonostante la repressione generalizzata, sono state raggiunte conquiste di cui ancora oggi godiamo i frutti.

Se in Italia c’è uno Statuto dei diritti dei lavoratori – l’unica riforma sociale degna di questo nome in cinquant’anni (pur con la cancellazione dell’art.18 imposta ignobilmente dal governo Renzi) – lo si deve a quelle lotte; idem per il sistema sanitario nazionale, per la legge sul divorzio, per quella sulla interruzione volontaria della gravidanza, per il nuovo diritto di famiglia, che sancisce la parità giuridica uomo-donna, per la legge Basaglia ecc.

A riprova, tutto questo, di uno degli insegnamenti maggiori del Sessantotto: solo quando le idee di rinnovamento camminano sulle gambe di milioni di giovani, di donne e di uomini è possibile acquisire risultati altrimenti irraggiungibili.

La conferma è data dalla situazione attuale: prevalendo oggi la delega, la passività e la rassegnazione, i problemi non vengono risolti, così si moltiplicano e si aggravano.

Vuol dire che la lotta corale paga: la “politica degli assenti” no. Mezzo secolo dopo è il lasso di tempo giusto per presentare qualche conto…

I poteri (politici, militari, finanziari, istituzionali), che hanno fatto di tutto per contrastare le idee, i progetti e le speranze del Sessantotto, dove hanno portato il mondo in questi cinquant’anni?

In concreto e in sintesi: hanno portato il mondo “alla terza guerra mondiale a pezzi” – secondo la pertinente definizione di Papa Francesco – da tempo in corso, e alla ripresa della corsa agli armamenti; l’hanno portato ai mutamenti climatici, che stanno pregiudicando il futuro della specie umana e della Terra; l’hanno portato, con la bugia della globalizzazione che avrebbe dovuto essere una cornucopia di beni per tutti, alla società dell’1 per cento (l’1 per cento dell’umanità possiede beni e ricchezze superiori al 99 per cento!) e alla creazione di un precariato planetario, di cui i fenomeni migratori sono una delle conseguenze più evidenti e drammatiche.

Chi, dunque, aveva ragione allora? Noi, convinti che la guerra dovesse diventare un tabù (come l’incesto e il cannibalismo), o voi, che invece avete continuato imperterriti a farla, per di più sulla base della menzogna, come l’aggressione all’Iraq, con la bugia delle sue armi di distruzione di massa, che sapevate benissimo non esserci, e infatti non sono mai state trovate?

Chi aveva ragione allora, noi che criticavamo il profitto e il consumismo derivante dai bisogni indotti o voi, che inseguendo invece il profitto come stella polare di riferimento, con la società dell’1 per cento state distruggendo immense forze produttive a beneficio di pochissimi, e state portando al collasso il pianeta che abitiamo?

Sono queste le ragioni di fondo per cui, cinquant’anni dopo, il Sessantotto si erge sul banco dell’accusa e costringe i poteri su quello degli imputati. Chiunque abbia onestà intellettuale non può, alla luce dei fatti, non giungere a questa conclusione.

Proprio per la sua dimensione mondiale e l’intensità dei mutamenti determinati, l’anno 1968 (più del Quarantotto e dell’Ottantanove) ha raggiunto i galloni di sostantivo – il Sessantotto, appunto – e si staglia come spartiacque della storia, perché collega il passato al futuro, attraverso uno sconvolgimento di paradigmi per cui la visione del mondo – su tutte le cose del mondo – non è più uguale a prima.

Ogni aspetto della vita ne fu permeato: il rapporto uomo-donna, fra cittadino-istituzioni-stato, fra credenti e religioni, fra studenti e professori, nelle fabbriche e negli uffici.

Un’esperienza nuova affiorò nella storia: milioni di esseri umani sperimentarono la solidarietà, fra persone e popoli, quasi come una simbiosi fra tutti gli esistenti e, in questo, il cattolicesimo conciliare si intrecciò in modo fecondo con il pensiero laico progressista.

Il mio io cresce non in antagonismo al tuo, ma insieme al tuo, sicché l’emancipazione di ognuno è reciprocamente vantaggiosa, e quando questo si verifica su larga scala è capace di generare gioia, una consapevolezza globale oltre che una forza di trasformazione pressoché irresistibile e beneficamente contagiosa.

Perciò: al di là delle conquiste, pur rilevanti, l’importanza maggiore del Sessantotto è che c’è stato. Perché, da allora, l’umanità sa per diretta esperienza – per averlo toccato con mano, attraverso una costruzione corale – che cambiare il mondo è possibile.

Certo, lo sapevamo in qualche modo anche prima, ma dai libri… Ce l’avevano detto Platone, Gesù, gli eretici, i filosofi utopisti, Marx ecc. Il dato inedito è che ora lo sappiamo per verifica accertata.

Al di là dei limiti e degli errori (degli uni e degli altri i miei scritti danno conto senza reticenze) il Sessantotto ha vinto sul piano culturale. Sul piano politico non ha – ancora – vinto: il discorso rimane aperto, continua e continuerà.

Infatti, per esempio: i 2500 scienziati che, per conto dell’Onu, redassero nel 2007 il rapporto sui mutamenti climatici, ci hanno consegnato, all’unanimità, un monito cogente e urgente.

Dopo aver rilevato che con l’inquinamento atmosferico siamo giunti “alle soglie dell’irreversibile”, ci dicono che “non è più il tempo delle mezze misure” (come quelle adottate nella Conferenza di Parigi) e che “è il tempo della rivoluzione delle coscienze, della rivoluzione dell’economia, della rivoluzione dell’azione politica”.

Non c’è, qui, un’eco diretta delle inderogabili necessità di trasformazioni indicate dal Sessantotto? O continuiamo a pensare che siano i governi a risolvere i problemi creati … dai governi?

Nel mio libro Noi Tutti (Garzanti, 2018) sottolineo come, di fronte ai pericoli che minacciano la specie umana e la Terra, un altro Sessantotto non basterebbe: occorre qualcosa di più e di meglio, un nuovo, generalizzato (som)movimento delle coscienze, capace di affrontare e risolvere le contraddizioni più lancinanti della contemporaneità.

Grazie al profitto e all’uso distorto della tecnica, dopo avere costruito l’assurda economia dell’1 per cento, oggi ci siamo costretti alla più terribile e alienante devastazione: stiamo transitando dal futuro come promessa al futuro come minaccia.

E’ pura illusione pensare che a liberarci sarà la tecnica, per tanta parte responsabile della prigione in cui abbiamo deciso di rinchiuderci.

A salvarci potrà essere il superamento dell’irrazionalità contemporanea, attraverso la ricostruzione di alleanze di solidarietà fra gli esseri umani – fra loro e fra i popoli e la Terra – capaci di sospingere le persone fuori da quell’isolamento mortale determinato dal micromaterialismo individualistico e volgare, sostanzialmente nichilista, e da quel cinismo corrosivo che oggi dominano le società.

Un cammino che fu incominciato, e venne interrotto. A maggior ragione va ripreso.

Solo se noi – noi tutti – ricominciamo a guardare lontano, l’umanità potrà ricostruirsi la speranza di andare lontano.

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