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La finanza è come il genio della lampada. Lo strumento più potente che abbiamo per realizzare i nostri obiettivi. Il genio viene però spesso usato da apprendisti stregoni per coprire le falle del sistema e, nei momenti di apice delle diseguaglianze, per soddisfare l’imperativo di consumare di più guadagnando di meno. Le nuove frontiere della finanza si propongono invece di rispondere a due mali del nostro paese. La difficoltà delle piccole imprese di accedere al credito e i limiti nel finanziamento del welfare.

La finanza è come il genio della lampada. Lo strumento più potente che abbiamo per realizzare i nostri obiettivi. Il genio viene però  spesso usato da apprendisti stregoni per coprire le falle del sistema e, nei momenti di apice delle diseguaglianze (ai massimi nel ’29 e nel 2007 negli Stati Uniti), per soddisfare l’imperativo altrimenti impossibile di consumare di più (necessario per far andare avanti le economie) guadagnando di meno. Così i debiti e la finanza “creativa” crescono e si preparano le grandi crisi finanziarie.

Ma la vera finanza creativa è un’altra e senza fare lo stesso rumore e clamore sta lentamente crescendo per risolvere i problemi dei cittadini. Banche cooperative e di territorio, fondi etici, banche etiche, microfinanza e bond ad impatto sociale sono gli strumenti più interessanti per aumentare la generatività della finanza al servizio del bene comune. Strumenti che nascono al principio come piccoli semi ma che poi germogliano e contagiano diventando patrimonio comune di tutto il mondo finanziario.

Le banche di credito cooperativo, nate storicamente in Italia nell’alveo della dottrina sociale, evitando il dogma della massimizzazione del profitto non s’imbattono nel paradosso di non aver alcun interesse a finanziare le piccole e medie imprese e le imprese artigiane che restano la parte principale del sistema produttivo del nostro paese. Ancora oggi i dati confermano che questo modello di banca finanzia quel segmento dell’economia in misura significativamente superiore. Le nuove nate banche etiche (raccolte a livello mondiale nell’alleanza della Global Alliance for Banking on Values e rappresentate in Italia da Banca Etica) hanno introdotto elementi d’innovazione e di generatività importanti che hanno parzialmente contagiato il resto del sistema. In primis il voto col portafoglio delle proprie scelte di finanziamento attraverso la doppia valutazione della profittabilità dell’investimento e della sua qualità sociale ed ambientale. Modalità che si è rivelata vincente anche per la riduzione dei crediti in sofferenza. Il modello prevede anche una forte partecipazione dal basso dei soci e una struttura delle remunerazioni lontana dagli eccessi del sistema bancario tradizionale. Il valore del suo impatto sociale è stato recentemente riconosciuto con una legge multipartizan che prevede agevolazioni fiscali per gli utili reinvestiti nel capitale. In un recente rapporto che confronta la performance delle grandi banche sistemiche e quella della Global Alliance negli ultimi venti anni le seconde fanno registrare una maggiore quota di attività bancaria tradizionale e, paradossalmente, anche maggiori utili indicando che il loro modello di sviluppo è interessante ed innovativo.

I fondi etici che votano con il portafoglio titoli investendo i soldi dei risparmiatori solo in quelle imprese quotate che superano standard minimi di sostenibilità sociale ed ambientale sono ormai diventati mainstream. Il seme gettato una decina di anni fa da Etica sgr in Italia è germogliato ed oggi una quota sempre maggiore di fondi utilizza lo stesso approccio. Un esempio di questa crescita è il Montreal Pledge, l’accordo con il quale un numero importante di fondi d’investimento le cui masse gestite assommano complessivamente a 12 trilioni di dollari ha deciso di iniziare a misurare l’impronta di carbonio del proprio portafoglio titoli con l’obiettivo di fare pressione sulle multinazionali dell’energia in direzione della decarbonizzazione.

La microfinanza produce soluzioni al problema della concessione del credito ai non bancabili, ovvero a coloro che non hanno quelle garanzie patrimoniali necessarie per accedere al credito degli intermediari tradizionali. La microfinanza è più forte dove la materia prima (non bancabili con buoni progetti imprenditoriali) è maggiore come nei paesi poveri ed emergenti ma si è sviluppata anche nei paesi ad alto reddito per favorire l’accesso al credito di fasce di popolazione più disagiate.

Le nuove frontiere della finanza si propongono in forme nuove di rispondere a due mali del nostro paese. La difficoltà delle piccole imprese di accedere al credito e i limiti nel finanziamento del welfare. Nel primo caso arrivano i nuovi strumenti dei Piani Individuali di Risparmio, fondi d’investimento con forti agevolazioni fiscali che devono obbligatoriamente investire il 22% delle masse gestite in piccole e medie imprese italiane. Lo strumento ha avuto una crescita enorme ma si è indirizzato prevalentemente verso l’ambito limitato delle piccole e medie quotate creando il rischio bolla speculativa. Per questo motivo nelle Settimane Sociali di Cagliari abbiamo proposto un emendamento per indirizzare, come avviene ad esempio nel Regno Unito, parte di queste risorse verso le piccole e medie imprese non quotate attraverso strumenti come i fondi chiusi (preferibilmente quelli ad impatto sociale) e l’equity crowfunding che è la raccolta in rete di capitale sociale.

I nuovi arrivati bond ad impatto sociale sono uno strumento interessantissimo per aumentare la leva finanziaria di progetti di welfare in un quadro di sussidiarietà, spinta verso la qualità in un contesto di riduzione di spesa pubblica. In sostanza stato e finanziatori privati individuano un ambito nel quale con un investimento di capitali sostanzioso è possibile migliorare la qualità del servizio affidandolo ai migliori del settore. Lo stato mette un fondo di garanzia che copre una piccola percentuale dell’investimento. Il resto è finanziato dal capitale privato. In caso di successo del progetto i proventi sono ripartiti tra stato e privato che ottiene una remunerazione del capitale competitiva. I social impact bond sono nati da poco e si stanno diffondendo rapidamente in diverse parti del mondo. I settori più promettenti di attuazione sono quelli del contrasto alla recidiva carceraria attraverso il finanziamento di progetti di lavoro in carcere o di giustizia riparativa, di intervento a favore di pazienti con problemi psichiatrici (budget di salute), di politiche di prevenzione sanitaria che possono ridurre l’insorgere di patologie e i costi di ospedalizzazione e di cura.

Tutte le iniziative di cui abbiamo parlato hanno una duplice caratteristica. Perseguono in primis un obiettivo di benessere equilibrato e sostenibile, ovvero sono al servizio di una creazione di valore economico che sia anche socialmente ed ambientalmente sostenibile. E, in secondo luogo, possono crescere ancora più rapidamente nella misura in cui i cittadini e i risparmiatori danno loro sostegno con il loro voto col portafoglio. Le vecchie e nuove frontiere della finanza per il bene comune sono grandissime occasioni di generatività e di ricchezza di senso per tutti noi piccoli e grandi risparmiatori. In un’ottica di economia a quattro mani dove i problemi del sistema e il cammino verso l’orizzonte del bene comune ha bisogno di tutti noi. Perché mercato e istituzioni non possono portarci da sole verso la meta senza la collaborazione della cittadinanza attiva e delle imprese responsabili.

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